Disarmo, una discontinuità solo annunciata
Pace fatta nella maggioranza di governo: la riaffermazione della «discontinuità» in politica estera sembra aver messo d'accordo tutti i partiti del centrosinistra - anche se rimangono «alcune divergenze». Ma davvero questo governo ha affermato tale «discontinuità»? I provvedimenti di questi dieci mesi sembrano dimostrare esattamente il contrario.
Se è vero che finalmente i militari italiani si sono ritirati dall'Iraq - dove comunque rimane una presenza con la Nato per l'addestramento delle forze di sicurezza del governo iracheno - le altre missioni militari sono state tutte confermate e si è aggiunta l'operazione in Libano. In questo caso si tratta di una missione conseguente ad una risoluzione dell'Onu (piuttosto ambigua, peraltro), attraverso la quale il ministro D'Alema prova ad affermare un ruolo italiano ed europeo di «stabilizzazione» attraverso una presenza politica e militare nel solco dell'imposizione di veri e propri «protettorati» (come nei Balcani). Una missione che si sposa con l'appoggio al governo Sinora dichiarato da D'Alema, proprio quando sono in corso le manifestazioni dell'opposizione in Libano. Naturalmente è la missione in Afghanistan quella dove si è mostrata la più forte continuità - dentro le scelte della Nato e della «guerra globale» statunitense. L'Italia è già in guerra in Afghanistan - e non saranno le promesse di una «conferenza di pace» a poterlo nascondere.
Ancora peggiore è stato il comportamento riguardo le politiche di «difesa e sicurezza», a partire dall'incredibile aumento delle spese militari per il 2007 - che hanno superato i 20 miliardi di euro (spese per le missioni escluse), proprio per mantenere continuità dei programmi di riarmo, visto che tutti quei soldi servono per costruire gli Eurofighter, la seconda portaerei, lo sviluppo del supercaccia statunitense Jsf (il sottosegretario Forcieri ha appena firmato il protocollo d'intesa per la progettazione), e così via.
Che fine ha fatto il passaggio del Programma che recitava: «L'Unione si impegna, nell'ambito della cooperazione europea, a sostenere una politica che consenta la riduzione delle spese per armamenti»? Forse l'Ue non lo consente - e il programma è buttato nel cestino!
La decisione su Vicenza non può essere separata da questo quadro ed è coerente con un ridisegno della presenza militare Usa e Nato in Europa e con la riqualificazione delle infrastrutture anche nel nostro paese: raddoppio della base di Aviano, allargamento di Camp Darby, nuovo porto militare di Taranto, rilancio del Comando alleato di Napoli, nuove funzioni del comando di Solbiate Olona («Forza di rapido intervento» Nato), la scelta di fare dell'aeroporto di Cameri (Novara) la sede per la manutenzione dei caccia Jsf, il rilancio della base di Sigonella. Decisamente nulla di «urbanistico» ma una precisa politica di militarizzazione del territorio funzionale alle missioni della «guerra globale permanente».
Le conclusioni del vertice della maggioranza di governo e le dichiarazioni degli esponenti - «sinistra radicale» inclusa - suonano quindi davvero ipocriti. In particolare troviamo indecente il richiamo all'articolo 11 della Costituzione, sul quale ha scritto parole importanti il 2 febbraio scorso su queste pagine Giovanni Ferrara: «Ci sia risparmiata la miserabile risposta che quella disposizione normativa è seguita dal consenso a limitazioni della sovranità nazionale(...) perché sia le limitazioni della sovranità sia la promozione e la partecipazione alle organizzazioni internazionali sono previste e prescritte al solo scopo di assicurare la 'pace e la giustizia fra le nazioni', di certo non le guerre preventive dell'imperialismo americano».
Il movimento contro la guerra «senza se e senza ma» non può lasciarsi incantare. Da Vicenza il 17 febbraio prossimo, alle iniziative per il ritiro delle truppe dall'Afghanistan (prima tra tutte l'assemblea del 24 febbraio a Roma) deve saper mettere al centro della sua iniziativa l'opposizione alle politiche di riarmo, per sostenere una politica estera alternativa a partire dalla riduzione delle spese militari e rifiuto di partecipare a programmi di acquisizione di armamenti offensivi e legati alla Nato, dalla chiusura delle basi militari Usa e Nato sul territorio italiano (rifiutando la concessione dell'aeroporto Dal Molin di Vicenza e immediatamente eliminando le armi nucleari presenti a Ghedi e Aviano), dal finanziamento della riconversione dell'industria bellica senza scaricare i costi su lavoratrici/lavoratori, dalla cancellazione degli accordi militari e di ricerca bellica con paesi in guerra e/o che violano i diritti umani (a partire da quello con Israele approvato dal governo Berlusconi).
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