Quando il segreto diventa una condizione di normalità
Ma è addirittura un segreto anche il cosiddetto “piano d’emergenza”, che dovrebbe scattare in caso di incidente nucleare. Come dire: nella malaugurata ipotesi si verificasse una fuga radioattiva dalla base americana, alla Maddalena nessuno sa come deve comportarsi, quali cautele deve adottare e cosa deve fare per ridurre i rischi di contaminazione. L’assurdo è proprio questo: pare che la cosa più importante sia non tanto l’esistenza di un piano d’emergenza che dovrebbe garantire e tutelare la popolazione civile, ma che questo piano sia un segreto.
Altro esempio. Quando nell’aprile del 2001, dopo una complicatissima indagine della Dia, la procura di Torino fece arrestare il petroliere russo Alexander Zukhov per un colossale traffico d’armi, si cercarono le duemila tonnellate di fucili mitragliatori e razzi, sequestrate nel marzo del 1994 nello stretto di Otranto. Si disse che quella impressionante quantità di armi fosse custodita in un deposito in Sardegna. Le autorità militari negarono con decisione. Ma qualche giorno dopo gli uomini della Dia entrarono nelle gallerie di Santo Stefano e fecero l’inventario: 30 mila kalashnikov, 400 missili filoguidati Fagot, 48 postazioni missilistiche, oltre 5 mila razzi katjuscia, 10 mila razzi anticarro, 5 mila spolette per armare razzi e quasi 35 milioni di cartucce. Sì, le armi erano proprio lì. Perché, dunque negare? Forse proprio perché nell’arcipelago maddalenino il segreto è una surreale condizione di normalità. Non vogliamo pensare che qualcuno pensi che Santo Stefano non faccia parte della Sardegna e dell’Italia...
Per concludere: la rete di monitoraggio ambientale, che dovrebbe verificare un possibile inquinamento radioattivo, non funziona perché la Us Navy non ha mai consentito il posizionamento della centralina vicino alla base. Perché? Ma perché è un segreto. Semplice, no? (p.m.)
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- Obiettivo della pubblicazione è di portare a conoscenza dell’opinione pubblica italiana la realtà
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