Lo «scudo» di Hegel
C'è sempre una razionalità, anche nelle cose apparentemente insensate come può sembrare lo «scudo» antimissile americano da piazzare in Polonia, ufficialmente in funzione anti-iraniana. Facili lumi suggeriscono piuttosto che lo «scudo» possa essere un altro sofisticato prodotto d'intelligence degli americani per meglio controllare gli amici europei. Né dovrebbe aver perso la ragione il generale statunitense responsabile del progetto, quando sostiene che è stata raggiunta un'intesa con il governo Prodi, perché lo «scudo» protegga anche l'Italia, a sorpresa «scoperta» nella prima versione. Il generale parla, perché sa. Come è razionale l'assonanza di due quotidiani che ieri si sono dilungati sull'ipotesi di accordo, dei suoi punti ancora oscuri e soprattutto di quanto sarebbe bene che anche l'opinione pubblica italiana sapesse la verità, sollecitata da alcune interrogazioni parlamentari.
Il governo però tace. Che già di per sé è un fatto: una compagine tanto loquace sui temi di politica interna, ai limiti della cacofonia alla faccia del portavoce unico, quanto silenziosa sui temi di politica estera, sui quali notoriamente si può raccontare qualsiasi cosa, perché più difficilmente verificabile. Per capire il contesto di un'intesa sullo «scudo» così non resta che ricorrere a quel che viene definita la «razionalità hegeliana»: i fatti accaduti in questi mesi nei rapporti tra Roma e Washington.
E' che le fatiche di Prodi e D'Alema per accreditarsi come interlocutori seri presso l'amministrazione Bush non finiscono mai. Un gioco dell'oca: i due tirano i dadi, finiscono sulla casella «oca bianca» e tornano da regolamento al punto di partenza. Un giorno i magistrati di Milano vogliono arrestare agenti della Cia per il sequestro di Abu Omar, un altro i magistrati romani vogliono processare il soldato che sparò a Nicola Calipari e a Giuliana Sgrena, un altro ancora si mette in discussione l'allargamento della base americana di Vicenza. Per non dire dello scontro più serio in Afghanistan.
Qui il governo italiano risponde picche - e in pubblico - alla richiesta del Pentagono di aumentare il numero dei soldati presenti e di spostarli nel sud del paese, dove i militari anglo-americani combattono quotidianamente contro i talebani. Come se non bastasse, Prodi e D'Alema ottengono il rilascio del collega di Repubblica sequestrato dai talebani attraverso una trattativa politica che coinvolge il governo afghano e che porta alla liberazione di cinque detenuti «terroristi».
E' hegeliano, suggeriscono alcuni osservatori molti interni alla Realpolitik, che la crisi diplomatica Italia-Usa seguita al rilascio del giornalista italiano in Afghanistan si sia chiusa in sole 36 ore. Le relazioni con l'America di Bush non sono una casa delle libertà, dove l'Italia fa come gli pare. E' verosimile che Washington abbia chiesto e ottenuto molto o qualcosa in cambio. Dal sì italiano allo «scudo», sensatamente con annessa una nuova postazione radar nel sud est del paese connessa al nuovo sistema (molto più utile agli americani di una batteria di missili intercettori a terra), alle concessioni oggi «allo studio» del ministero della difesa sull'incremento dei mezzi militari per il nostro contingente in Afghanistan. «La lista americana di richieste è enorme», dice un altro osservatore molto interno al dossier, basta scegliere. E' così che la prima quasi innocua concessione di due aerei da ricognizione senza pilota Predator e di un aereo da trasporto Hercules C-130 potrebbe allargarsi presti a elicotteri d'attacco Mangusta. Con qualche decina di militari d'assistenza, necessari alle armi, ai sistemi di guerra elettronica, ai pilotaggio, alla motoristica. Poi, chissà. Ma certo un governo che si fa scudo con il silenzio non è politicamente sensato.
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