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Affari d'oro per le banche armate

Le più grandi banche ricavano miliardi dal boom dell'export di armi made in Italy, mai così florido da vent'anni a questa parte. Solo sui conti di San Paolo-Imi le transazioni hanno superato i 446 milioni di euro.
6 aprile 2007
Giorgio Salvetti
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Boom. L'Italia da venti anni a questa parte non ha mai venduto così tante armi come nel 2006, e a guadagnarci moltissimo sono le «banche armate», gli istituti di credito che garantiscono servizi e incassano succulente percentuali sulle transazioni legate all'export made in Italy. Prima su tutte, San Paolo-Imi che da solo controlla il 30% del mercato. Sui suoi conti a nome delle ditte italiane sono previsti incassi fino a 446 milioni di euro, l'anno precedente erano 164 milioni. Ma nell'affare sono coinvolti alcuni fra i maggiori istituti di credito italiani. E anche gli istituti esteri con filiali in Italia accrescono la propria quota di mercato. Come dire ce n'è davvero per tutti.
Secondo il rapporto della Presidenza del consiglio, le vendite di armamenti all'estero autorizzate dal governo italiano nel 2006 sono salite addirittura del 61%, passando da 1,36 miliardi del 2005 a 2,19 miliardi. Mentre le consegne già effettuate hanno fruttato 970,4 milioni. Le ditte esportatrici sono sempre le stesse, Augusta (810 milioni di euro), Alenia (311), Oto Melara (283), Avio (127), Lital (123), Selex (81,5), Aermacchi (73,4), Alcatel Alenia (71,5), Iveco (49,6). Delle prime dieci aziende esportatrici, ben sette appartengono a Finmeccanica di cui lo Stato è principale azionista. In pratica lo Stato autorizza se stesso a vendere armamenti all'estero.
Ma a fare da intermediarie con grossi profitti sono le banche. Gli istituti di credito hanno avuto maggiore libertà di operare e fare soldi. Le banche hanno più modi per lucrare sul traffico d'armi, innanzitutto guadagnano sui pagamenti che dall'estero arrivano sui loro conti. In totale le autorizzazioni di pagamenti rilasciate dal ministero delle Finanze nel 2006 sono aumentati del 6% con un incremento in termini monetari che è salito da 1.125 a 1.492 milioni di euro (pari a circa il 32% in più). Dietro San Paolo-Imi (446,7 milioni di pagamenti ricevuti), seguono Bnp-Parisbas (290.5), Unicredit (86,6), Bnl (80,4), Banco di Brescia (76), Commerz Bank (74,3), Banca Popolare Italiana (60,6), Banca Intesa (46,9). Scende da 133 a 36 Banca di Roma, che nei mesi scorsi ha partecipato ai convegni organizzati dalla «Campagna banche armate», una iniziativa lanciata nel 2000 da Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia che monitorizza e cerca di sensibilizzare gli istituti bancari e di ridurre gli affari legati al traffico d'armi.
Il business va ben oltre la gestione passiva degli incassi. I flussi finanziari legati alle armi nel 2006 sono saliti fino a 2,27 miliardi di euro (nel 2005 ammontavano a 1.775 milioni). E poi ci sono le percentuali sulle transazioni, in pratica su ogni pagamento le banche incassano una percentuale che varia da affare ad affare ed aumenta a seconda del rischio. «Una vendita agli Usa o alla Gran Bretagna - spiega Giorgio Beretta di Unimondo - può valere una percentuale del 2-3% mentre un affare con uno stato meno sicuro, magari del terzo mondo, permette di guadagnare fino al 10%». I compensi di intermediazione nel 2006 superano i 32,6 milioni di euro.
Si tratta di un boom bipartisan che coinvolge il governo di destra e di centrosinistra, alla faccia del programma dell'Unione che prometteva, tra le altre cose, un controllo più attento sulla vendita di armi. Un problema non da poco se si considera che molti dei paesi acquirenti sono in guerra e che la legge italiana (185/90) in questo caso proibirebbe di vendere ai belligeranti. A cominciare dal primo importatore, gli Stati Uniti: l'affare più consistente riguarda gli elicotteri Augusta Marine One (810 milioni, da solo rappresenta il 38% delle vendite). Seguono gli Emirati Arabi Uniti che comprano dai caccia ai siluri per 338,2 milioni di vendite. E ancora Nigeria (74,4) milioni, Pakistan e India con armi già consegnate per un valore di oltre 66 milioni di euro.
E la passione per le armi è non solo un grosso affare fra stati, perché il 96% dei contratti all'estero riguarda piccole partite, senza calcolare il mercato interno di armi «da caccia» o «da difesa» sempre più in crescita, tra paranoie securitarie e voglia di sentirsi più forti. Lo dimostra il successo di Exa, la fiera delle armi sportive e di security, in programma dal 14 al 17 aprile a Brescia.

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