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Armi all'uranio, un libro nero per non dimenticare le vittime

Nuovi casi di morti dopo missioni all'estero o servizio in poligoni. Dossier di Falco Accame
20 giugno 2007
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Ormai sono già 50 i militari italiani uccisi dall'uranio impoverito dopo le missioni nel Golfo, in Somalia, nei Balcani o nei poligoni e depositi militari, oltre a due casi di gravissime malformazioni alla nascita nonchè tre casi di vittime civili. A 14 anni dalla prima morte, un ufficiale di artiglieria in servizio nel poligono di Perdasdefogu, l'Anavafaf presenta un Libro nero dedicato al «presunto killer», amara definizione che vuole stigmatizzare le manovre da azzeccagarbugli di una burocrazia che pretende di stabilire la certezza del legame tra uranio e patologie anziché applicare le misure di protezione e riconoscere le morti sul lavoro. Falco Accame, ex ammiraglio, ex presidente della commissione difesa, da tempo alla guida di Anavafaf, prova a ribaltare il ragionamento in una sala romana affollata da parenti, in molti casi con gli occhi arrossati dalla commozione, dei caduti di cui il Libro nero racconta le storie. «Le norme di massima sicurezza - dice - vanno applicate già se non si può escludere che l'uranio sia nocivo».
Durante la presentazione, organizzata con il portale vittimeuranio.com , Accame ha denunciato tre casi finora sconosciuti. Il primo era un ufficiale del Sismi, Antonio Caruso, originario di Catania, deceduto di tumore al cervello nel '99 dopo aver prestato servizio in diversi teatri come Somalia e Bosnia. «La sua scomparsa è stata resa nota solo oggi data la particolarità del soggetto impiegato alle dirette dipendenze della presidenza del consiglio dei ministri. La vedova dell'ufficiale ha lamentato il fatto di essere ancora in attesa dopo otto anni di una risposta da parte della Difesa sul riconoscimento della causa di servizio». Degli altri due casi, Accame può fornire solo informazioni limitate per la volontà di riservatezza espressa dai familiari. Uno di loro era caporalmaggiore, Roberto C. di Taranto, morto nei mesi scorsi a causa di un tumore, al rientro da una missione operativa in Kosovo. L'altro, Paolo C. di Messina, era sottufficiale reduce dai Balcani ed èmorto un anno fa. Tutto ciò mentre restano gravissime le condizioni del ventitreenne di Catanzaro rimpatriato dal Libano all'inizio di giugno con un tumore in stadio avanzato. Accame si chiede se siano state effettuate tempestivamente le visite di controllo anche su tutti gli altri miliari in Libano. E solo in queste ore un ex sergente dell'esercito si è rivolto all'associazione denunciando di essere affetto da un linfoma di Hodgkin al quarto stadio dopo tre missioni nei Balcani. «Il filo rosso tra queste vittime è la totale assenza di misure di protezione (sulla carta esistono dal '99 ma chissà se vengono applicate, ndr)», insiste l'ex presidente della commissione difesa che spera che il dossier sia acquisito agli atti della Commissione di inchiesta del senato. Resta il dramma di chi vive nelle aree contaminate da montagne di proiettili: uomini, animali, piante. «L'unica soluzione - per l'Anavafaf - è mettere al bando le armi all'uranio impoverito»

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