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Da Vicenza all’Iran passando per Ghedi e Aviano

7 luglio 2007
Luca Benedini (lettore di PeaceLink)

Il 16 gennaio scorso il primo ministro
Prodi ha voluto giustificare la sua decisione favorevole a un sostanziale
raddoppiamento della grossa base militare statunitense di Vicenza
dichiarando pubblicamente, in sintesi, che si trattava semplicemente della
conferma di un impegno preso dal precedente governo Berlusconi col
governo statunitense e che questa conferma era necessaria a causa della
fondamentale esigenza di una continuità nell’operare dei vertici di uno
Stato e negli impegni da essi presi.

Il fatto tuttavia è che, in primo luogo, si tratterebbe comunque di
un impegno preso in modo del tutto scorretto dal governo Berlusconi
perchè questo, su una questione politicamente e socialmente così rilevante
dal punto di vista sia nazionale che locale, non aveva consultato nè
il Parlamento nè la popolazione vicentina, e veneta in generale. In
aggiunta a questa grave scorrettezza (lamentata tra l’altro dallo stesso
Prodi), va inoltre ricordato che il governo statunitense sta utilizzando
da anni il suo esercito in estremo contrasto con la Carta dell’Onu e
con altre leggi internazionali, come ha dichiarato più volte anche il
Segretario uscente dell’Onu Kofi Annan e come chiunque, del resto, può
verificare di persona. Un accordo concluso in queste circostanze da
Berlusconi e Bush sull’allargamento della base di Vicenza non potrebbe avere
dunque alcun vero valore nè giuridico nè politico, essendo inadeguati i
suoi presupposti dal punto di vista tanto delle dinamiche interne!
italiane quanto di quelle internazionali.

Ma le cose non stanno neanche in questo modo, perchè in realtà -
come il ministro della Difesa Parisi aveva dichiarato ufficialmente in
Parlamento il 27 settembre 2006 (e spiegato altrettanto ufficialmente l’8
settembre precedente al sindaco di Vicenza in una lettera apparsa in
seguito anche sulla stampa) - tra Berlusconi e Bush «non sono stati
sottoscritti impegni di alcun genere. La disponibilità di massima
manifestata dal precedente governo non si è tradotta, infatti, in alcun accordo
sottoscritto». Lo stesso ministro ha riconfermato, in dichiarazioni
apparse sul Corriere della Sera del 18 gennaio 2007, che «il
governo Berlusconi non aveva sottoscritto nessun impegno con Washington.
Aveva solo manifestato una disponibilità a considerare il progetto,
riservandosi di dare una valutazione» quando fosse stato completato il
progetto statunitense. E tale completamento è avvenuto solo mesi dopo
l’insediamento del governo Prodi, come ha ampiamente documentato Angelo M!
astrandrea sul Manifesto dello stesso 18 gennaio.

Vicenza: quante falsità sulla base "Dal Molin"

Prodi ha dunque scelto di mentire deliberatamente agli italiani,
cercando di scaricare su Berlusconi una responsabilità che invece è in
sostanza soltanto di Prodi stesso, avendo egli - oltre tutto - deciso su
Vicenza pressochè per conto proprio, mentre si trovava in visita
ufficiale in Romania. Questo è forse l’aspetto più impressionante nella
vicenda: il fatto che il primo ministro, ed evidentemente una parte dei suoi
colleghi di governo, desiderino fare un favore alle élite
politico-militari di Washington ma non abbiano nemmeno il coraggio di
parlarne in modo scoperto a chi li ha eletti nè di decidere collegialmente
nell’ambito governativo, e il primo ministro stesso finisca con
l’inventarsi pubblicamente delle circostanze "giustificative" che invece non
esistono affatto (e che per di più, se anche esistessero, non
giustificherebbero nulla...).

In aggiunta, per prendere questa decisione Prodi ha anche dovuto
calpestare in toto quanto stabilito nel programma dell’Unione
presentato ufficialmente prima delle elezioni 2006 (a pag. 109): «È
necessario arrivare a una ridefinizione delle servitù militari che gravano
sui nostri territori con particolare riferimento alle basi nucleari.
Quando saremo al governo daremo impulso alla seconda Conferenza nazionale
sulle servitù militari coinvolgendo l’Amministrazione centrale della
Difesa, le Forze Armate, le Regioni e gli Enti Locali al fine di arrivare
ad una soluzione condivisa che salvaguardi al contempo gli interessi
della difesa nazionale e quelli altrettanto legittimi delle popolazioni
locali».

Dov’è finita dunque la "Conferenza nazionale" in questione? E,
soprattutto, dov’è finita la salvaguardia dei legittimi interessi della
popolazione vicentina? Non si tratta certo di una salvaguardia attuabile
mediante solo ed esclusivamente la frettolosa richiesta governativa di un
rapidissimo parere al Consiglio comunale di Vicenza (amministrato tra
l’altro da una maggioranza di centro-destra quanto mai fedele a
Berlusconi), com’è avvenuto nel settembre 2006....

Bombe atomiche a Ghedi e Aviano e in altre basi militari
europee


Il brano appena citato del programma dell’Unione rimanda anche a
un’altra questione sostanziale della politica italiana: come ha messo in
particolare evidenza il mensile locale mantovano La Civetta nei
suoi numeri di febbraio e marzo 2007, «non si possono più avere
dubbi
sulla presenza di ordigni atomici sul suolo italiano» per lo
meno «a partire dal 1985».

Tra gli svariati indizi più o meno evidenti emersi in questi anni e
ricordati dalla Civetta, vi è ad esempio il fatto che durante
un’ispezione parlamentare nella base militare di Ghedi «è stata
accertata la presenza di un corpo militare americano specificamente dedicato
alla manutenzione di ordigni nucleari». Inoltre, «nel febbraio del 2005,
il Sen. Natale Ripamonti [...] dei Verdi [...] in
un’interrogazione rivolta all’allora Ministro della Difesa Antonio
Martino, [...] partendo dalla constatazione che "nella base NATO di Ghedi
Torre ci sarebbero 40 testate nucleari degli Stati Uniti d’America, tutte
bombe di tipo B61", [...] chiedeva "se non si intenda informare il
Parlamento ed il Paese sulla dislocazione delle armi nucleari in Italia
[...]"» e su altre questioni collegate. Nella «risposta il Ministro
confermava implicitamente la presenza a Ghedi di bombe atomiche, senza
contestare né confermare i dati esposti dal sen. Ripamonti, ma esaltando!
il "valore della deterrenza nucleare"».... Anche un’inchiesta di
Greenpeace del 2006, basata su ampie documentazioni e
testimonianze, «ha confermato [...] la presenza di ordigni atomici sul territorio
italiano» (una novantina secondo dati del 1995, cui se ne aggiungevano
circa altre 400 in altri cinque paesi europei anch’essi della Nato). Più
recentemente - a metà gennaio 2007, in una dichiarazione alla
trasmissione radiofonica Radio anch’io, della Rai - «Andrea
Nativi
, direttore della Rivista italiana di difesa, [...] alla
domanda precisa "Ci sono testate nucleari in Italia?"» ha risposto
senza incertezze e «con altrettanta precisione "Certamente, ce ne sono una
sessantina divise tra Ghedi ed Aviano"» (due basi militari in provincia
rispettivamente di Brescia e di Pordenone).

Ma - sottolineava la rivista mantovana presentando il clou
della sua inchiesta - «la certezza assoluta ce la dà un documento
militare americano
top secret [...], tecnicamente denominato
"Procedura WS3" (Weapons Storage and Security Systems - Sistema di
sicurezza e deposito d’armi)», che «è dedicato al corretto stoccaggio ed
alla adeguata manutenzione delle armi [...] atomiche» e che «dà anche
l’esatta collocazione di queste in Europa» nel «febbraio 2004»: nelle
basi di Ghedi e Aviano, e inoltre in quelle di Ramstein e Spangdahlem
(Germania), Lakenheath (Gran Bretagna), Volkel (Olanda), Kleine Brogel
(Belgio) e Incirlik (Turchia). Si tratta di dati che tra l’altro
confermano sostanzialmente l’esattezza di quelli raccolti in precedenza da
Greenpeace. Dopo la pubblicazione di estratti del documento
statunitense in febbraio, sulla stessa rivista è apparsa in marzo
un’intervista col sindaco di Ghedi, che ha un po’ sibillinamente dichiarato che delle testate nucleari locali l’amministrazione comunale era «a
conoscenza ma non attraverso comunicazioni da parte delle Istituzioni o
Enti preposti»....

Non stupisce la misteriosità e la segretezza con cui la questione è
trattata da tutte le pubbliche istituzioni italiane al corrente di
queste bombe: nel 1975 l’Italia ratificò, come paese non atomico, il
"Trattato di non proliferazione nucleare", e con ciò si era impegnata a non
produrre armi atomiche di alcun genere nè a riceverne da altri paesi,
mentre risale addirittura al 1970 la ratifica con cui gli Usa, come paese
atomico, si erano a loro volta impegnati a non cedere o trasferire a
paesi terzi le loro armi di questo tipo. Inoltre la legge n. 185 del 9
luglio 1990 stabilisce che in Italia «sono vietate la fabbricazione,
l’importazione, l’esportazione ed il transito di armi biologiche, chimiche
e nucleari». La presenza di bombe atomiche (statunitensi) in almeno
due località italiane costituisce dunque una duplice flagrante violazione
sia del trattato del 1970 sia della legge del 1990: violati l’uno e
l’altra tanto dalle autorità italiane quanto da quelle statunitensi.!


Violazioni consapevoli

Ora, poichè il governo Prodi non ha "battuto ciglio" dopo che è
apparsa sulla stampa la prova dell’esistenza di queste bombe sul suolo
italiano, risulta quanto mai evidente che almeno diversi dei membri del
governo ne fossero a conoscenza già precedentemente, e avessero però
taciuto anch’essi sulla questione con molti loro colleghi di partito o di
coalizione (come ad esempio il sen. Ripamonti) e più in generale con la
popolazione del paese. E in effetti appare pressochè impossibile che per
lo meno tra il 1996 e il 2001 i governi Prodi, D’Alema e Amato, o
almeno i loro esponenti più "di spicco", non fossero venuti a sapere di
questa "faccenduola".... Del resto, se in una situazione numericamente
traballante come quella dell’attuale governo Prodi - che al Senato si
regge su una maggioranza fragilissima - il governo stesso avesse scoperto
improvvisamente una così grave violazione di leggi e trattati da parte
dei vertici militari nazionali e soprattutto del precedente governo!
di centro-destra (evidentemente coinvolto anch’esso come mostrava la
"non smentita" del ministro Martino nel 2005), come pensare che questa
scoperta non sarebbe stata utilizzata pubblicamente con rapidità e con
grande insistenza dai partiti al governo per acquisire maggiore
apprezzamento dall’elettorato e per mettere in pesante difficoltà
l’opposizione?

In altre parole tutto ciò significa che, come i loro colleghi del
centro-destra, i principali esponenti politici del centro-sinistra
italiano erano da tempo al corrente di reati molto gravi, che oltre tutto
esponevano - ed espongono tuttora - milioni di persone al rischio sia di
incidenti con forti emissioni di radioattività sia di pericolosi
attentati su queste basi militari, e hanno lasciato correre la faccenda
perpetuando il segreto su di essa e, pressochè certamente, anche partecipando
come membri del governo alla prosecuzione dei reati stessi. Altri
esponenti politici facenti parte di amministrazioni locali o regionali
hanno probabilmente condiviso anch’essi, in misura più o meno grande, la
connivenza con tutto questo.

A ulteriore aggiunta, vi è anche il fatto che sono rimasti del tutto
segreti i patti intergovernativi che da mezzo secolo regolano le basi
militari statunitensi in Italia. L’art. 80 della Costituzione
stabilisce che «le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati
internazionali che sono di natura politica». In una tavola rotonda a Padova
l’8 agosto 2005, l’assessore regionale friulano alle Politiche della
Pace, Roberto Antonaz, sottolineava che in merito alla base militare
statunitense di Aviano la Regione aveva «chiesto che venga reso pubblico
l’accordo riguardante l’utilizzo della base e che esso venga adeguato
pienamente alla Costituzione e all’ordinamento giuridico italiano». La
richiesta della Regione Friuli, tuttavia, non è mai stata accolta dal
governo. Greenpeace, nel suo dossier del 2006, avvertiva
che le testate atomiche sono presenti in Italia «in virtù di un trattato
segreto - Stone Ax - mai comunicato al Parlamento». In ef!
fetti, è ben difficile poter argomentare che simili patti tra nazioni
non costituiscano trattati e non siano di natura politica...: infatti
nessuno lo fa e coloro che conoscono la questione si limitano a tenerla
segreta e a non dire nulla, senza rivendicare pubblicamente un "diritto
costituzionale alla segretezza".

Dunque, l’installazione di bombe atomiche in Italia e più in
generale le modalità con cui sono state assegnate all’esercito statunitense
diverse basi militari italiane violano palesemente anche il dettato
costituzionale
. Di ciò si parla in vari modi da tempo, esistono
addirittura richieste ufficiali avanzate da istituzioni regionali sulla
questione, ma i governi si susseguono e ognuno di essi persiste, come
niente fosse, nel calpestare su temi di grande significato socio-politico
internazionale trattati pressochè mondiali, leggi, la Costituzione
stessa....

Per l’Iran una nuova "trappola bellica" Usa

Lo stesso genere di violazioni di leggi e trattati vale, in misura
più o meno parallela, anche per i governi e i vertici militari degli
altri cinque paesi europei che risultano detenere sul loro territorio
bombe atomiche statunitensi pur avendo tutti ratificato, tra il 1968 e il
1980, il "Trattato di non proliferazione nucleare" (entrato
ufficialmente in vigore nel 1970). Eppure negli ultimi cinque anni il governo
statunitense e l’Unione Europea sono stati i principali accusatori del
governo iraniano per la sua insistenza nel voler costruire impianti per
l’energia nucleare "civile" (in particolare, gli impianti per
l’arricchimento dell’uranio) che sarebbero in grado di produrre anche materiali
utilizzabili come componenti per la fabbricazione di bombe atomiche.
Specialmente da parte di Washington, l’Iran è stato spesso minacciato anche
di attacchi armati per questo suo comportamento accusato di violare
proprio il trattato del 1970 (che anche l’Iran ha ratificato in quell’!
anno). Ma la realtà è che il trattato riconosce inequivocabilmente a
ogni nazione «il diritto inalienabile [...] di sviluppare la ricerca, la
produzione e l’uso dell’energia nucleare a scopi pacifici, senza
discriminazioni». L’unica limitazione che il trattato pone a questo diritto
è l’accettazione di controlli della Iaea (l’Agenzia internazionale per
l’energia atomica) mirati a verificare il fatto che nelle attività
industriali della nazione vengano effettivamente applicati gli obblighi
stabiliti nel trattato, tra i quali in particolare il divieto che
materiali o tecnologie nucleari vengano sviati «dagli usi pacifici» e siano
usati per la fabbricazione di «armi atomiche» di qualunque genere. Poichè
l’Iran non si sottrae a tali controlli e non è mai emersa alcuna
indicazione concreta dell’esistenza di programmi iraniani volti alla
costruzione di ordigni atomici, l’Iran non si trova in violazione di alcuna
prescrizione del trattato.

La realtà dunque è che il governo statunitense sta cercando di usare
la Iaea per imporre all’Iran, sulla base del trattato in questione,
ciò che il trattato assolutamente non prevede, cioè la fine di una serie
di attività nucleari civili che fino ad ora non risultano collegabili
alla produzione di armamenti e che sono analoghe ad attività
correntemente praticate, anche da decenni, in altri paesi senza che nessuno pensi
che in questi paesi la Iaea debba cercare di interromperle. Negli
ultimi anni il comportamento della diplomazia statunitense e le
dichiarazioni della Casa Bianca hanno mostrato chiaramente quali sono i progetti di
Washington sulla vicenda: una volta che la Iaea avesse richiesto
all’Iran la rinuncia all’arricchimento dell’uranio e alle altre attività
"civili" collegate e che eventualmente Teheran avesse respinto questa
richiesta (come appare altamente probabile dalle dichiarazioni effettuate
in questi anni dal presidente iraniano e da altri esponenti dei ver!
tici politici del paese), Washington intenderebbe coinvolgere il
Consiglio di Sicurezza dell’Onu in sanzioni sempre più dure nei confronti
dell’Iran, fino ad arrivare anche a degli attacchi armati possibilmente
autorizzati da tale Consiglio ma, nel caso, anche realizzabili da una
coalizione militare di paesi "volenterosi". E tutta questa "procedura"
esclusivamente sulla base di sospetti che Washington nutre nei confronti
del governo iraniano.... In pratica, si tratta di una sostanziale
ripetizione del canovaccio già utilizzato col regime iracheno di Saddam
Hussein, aggredito in modo totalmente illegale da Usa e Gran Bretagna nel
marzo 2003 sulla base, per di più, di semplici sospetti e illazioni
privi di attendibilità e rivelatisi poi - alla prova dei fatti - del tutto
infondati, fasulli e sostanzialmente falsificati.

Il paradosso più incredibile di questa situazione è che i governanti
di alcuni paesi che da decenni violano indiscutibilmente e molto
gravemente il "Trattato di non proliferazione nucleare" stanno usando il
medesimo trattato per accusare un altro paese di violazioni di gran lunga
meno gravi - e soprattutto prive di alcuna prova nonostante i ripetuti
controlli che la Iaea effettua da anni - e su questa "base" pretendono
di minacciare quest’ultimo paese di gravi sanzioni economiche ed
eventualmente anche belliche....

È quanto mai evidente che, di nuovo, non è una questione di diritto,
legalità e coerenza; è solo una questione imperiale di potere: secondo
Washington, alla stessa Washington e ai suoi alleati deve essere
permessa qualsiasi violazione di trattati, patti, statuti, Costituzioni,
leggi, ecc., mentre a chi non si accorda con tale alleanza non deve essere
concessa nemmeno la più piccola violazione e talvolta - come ha
dimostrato appunto la vicenda di Saddam Hussein e delle "armi di distruzione
di massa" che Saddam aveva accettato di far cercare ovunque in
tutto l’Iraq da ispettori dell’Onu aiutati ampiamente anche dai
servizi segreti dell’Occidente stesso - non gli viene concesso nemmeno di
poter "non violare" il diritto internazionale.... Se dà troppo fastidio
agli interessi economico-militari di Washington, gli si accollerà una
qualsiasi falsità pur di poterlo accusare di qualche violazione, anche
minuscola, ma certamente da punire dapprima con minacce di vario tipo!
e tentativi di strangolamento economico e poi eventualmente con un
colpo di Stato o con una guerra. E questo mentre nel contempo Washington
e i suoi alleati commettono violazioni certe e molto più grandi di cui
però le loro istituzioni nazionali e le istituzioni internazionali non
si occupano praticamente mai, se non per nasconderle.

La connivenza europea

Il ruolo dell’Unione Europea in questo non è affatto trascurabile. È
vero che i governi dei paesi dell’UE hanno regolarmente assunto in
questa vicenda posizioni alquanto più "moderate" di quella statunitense,
ma è anche vero che hanno sempre tenuto bordone a quest’ultima, senza
mettere affatto in evidenza - nella Iaea, all’Onu e di fronte
all’opinione pubblica internazionale - la sua scandalosità e la sua assoluta
infondatezza. Oltre tutto, il principale "cavallo di battaglia" della
posizione statunitense è costituito dal fatto che un po’ di anni fa il
governo iraniano organizzò e avviò delle attività di arricchimento
dell’uranio senza informarne la Iaea, che ne venne a conoscenza solo per una
denuncia effettuata da degli oppositori del regime di Teheran nel 2002. Ma
si trattava comunque, da quanto è emerso, solamente di attività
"civili" e non "militari" (e quindi di attività che in fondo erano permesse
dal trattato), ed esponenti politici iraniani spiegarono la scelta d!
i tenere nascoste quelle attività col timore - ampiamente giustificato
all’epoca - di rappresaglie economiche statunitensi ed europee.
Qualunque fosse effettivamente l’intenzione di Teheran, non è ammissibile che
una violazione secondaria del trattato del 1970 (senza per di più che
sia stato accertato un desiderio governativo di produrre la bomba
atomica) venga usata per delegittimare per sempre un governo sulle
questioni nucleari e pretendere che ogni sua dichiarazione e azione in
merito all’arricchimento dell’uranio siano sistematicamente
false e inaffidabili al punto da giustificare sanzioni, da parte della
Iaea, analoghe a quelle che verrebbero emesse nel caso di impianti
dimostrabilmente utilizzati per realizzare armamenti nucleari. Questo tanto
più se si considera che in questi anni, a non grandi distanze dall’Iran,
alcuni governi alleati di Washington e non aderenti al trattato del
1970 hanno cominciato veramente a produrre bombe atomiche i!
n proprio senza che la diplomazia statunitense ponesse loro sostanzial
i problemi. Ma, soprattutto, se quella violazione iraniana dovesse
essere veramente motivo per delegittimare il governo di Teheran sulle
questioni nucleari, allora molto più delegittimati su tali questioni
dovrebbero essere necessariamente proprio i governi degli Usa e dei
sei paesi europei in cui sono illegalmente presenti da decenni bombe
atomiche dell’esercito statunitense.... E se a ciò si aggiungono
l’assoluta e inequivocabile illegalità dell’invasione dell’Iraq del 2003 e le
innumerevoli falsità dichiarate tra il 2002 e il 2003 dai governi
statunitense e britannico su Saddam Hussein, Al-Qaeda e le armi di distruzione
di massa, ne consegue che la delegittimazione di Washington e Londra
su questo genere di temi internazionali dovrebbe essere totale.

In altre parole, non vi è solo il fatto che la comunità dei paesi
aderenti al trattato del 1970 dovrebbe imporre gravi sanzioni agli Usa e
a quei sei paesi europei fino a quando tutte le atomiche "a
stelle e strisce" non siano ritornate in territorio statunitense e non si
sia verificato che nel frattempo nessuna atomica sia divenuta di
proprietà di qualcuno di quei sei paesi o degli altri tantissimi paesi che
hanno aderito al trattato come "nazioni non nucleari", vi è anche il
fatto che la comunità internazionale dovrebbe chiarire inequivocabilmente
a Washington e ai suoi alleati che, il giorno in cui la Iaea dovesse
richiedere ufficialmente all’Iran la chiusura dei suoi programmi di
arricchimento dell’uranio semplicemente sulla base dei sospetti ingenerati
dalla violazione iraniana di alcuni anni fa, automaticamente e in
contemporanea dovrebbero venire richiesti altrettanto ufficialmente agli Usa
la distruzione di tutti i suoi arsenali nucleari (con tutte le ver!
ifiche del caso da parte della comunità stessa) e a quei sei paesi
europei l’obbligo di far entrare ciclicamente per almeno diversi anni in
tutte le loro basi militari (nazionali, statunitensi o della Nato) un
gruppo di "ispettori nucleari" internazionali. Ciò sulla base del
principio, chiaramente utilizzato da Washington nei confronti di Teheran in
questi anni, che chi viola un trattato non può più essere degno di fede
sulle questioni inerenti il trattato stesso. E nel caso in questione si
tratta di una grave violazione attuata in modo continuato e per
decenni
dai governi e dalle principali autorità militari di quei
sette paesi: chi potrebbe pensare dunque che i vertici delle istituzioni
politiche e militari di tali paesi possano recuperare la loro
affidabilità nel giro solamente di qualche anno...?

Ecco perchè l’Unione Europea è sostanzialmente connivente con
Washington nell’illegalità della trappola che la diplomazia statunitense sta
predisponendo nei confronti dell’Iran: per il loro attuale ruolo
internazionale, i governi dei maggiori paesi dell’UE - Italia compresa -
sarebbero pienamente nella condizione di porre l’attenzione mondiale su
tale illegalità e sulle enormi violazioni del diritto internazionale
compiute dal governo statunitense e dai suoi alleati negli ultimi anni. Ma
non lo fanno - anche perchè pure molti di essi sono coinvolti in diverse
di queste gravi violazioni... - e preferiscono dare all’opinione
pubblica l’impressione che comportamenti e atteggiamenti del tutto privi di
profondità umana e politica e di fondamento giuridico abbiano invece
una loro apprezzabile dignità umana, giuridica e politica.

Istituzioni sempre più povere di valori umani

Il senso imperiale di impunità caratteristico del governo degli Usa
e di vari governi suoi alleati è evidente da molti esempi. Addirittura
"pittoresca" è l’intervista al ministro statunitense della Difesa
Donald Rumsfeld pubblicata su uno dei maggiori periodici tedeschi, Der
Spiegel
, il 31 ottobre 2005. A una domanda sul futuro degli ordigni
nucleari statunitensi dislocati in Germania, Rumsfeld ha risposto:
«Penso che lascerò la decisione ai tedeschi e alla Nato. Alcuni paesi
europei hanno deciso di consentirne la presenza sul continente. Si è
ritenuto che fosse nel loro interesse e si ritiene ancora oggi che lo sia. Si
può quindi presumere che continui ad essere nel loro interesse».
Rumsfeld ha in tal modo riconosciuto senza alcun problema e senza alcuna
remora l’esistenza di tali ordigni in Germania e in altri paesi europei,
in totale dispregio di quanto stabilito dal "Trattato di non
proliferazione nucleare". Nel contempo, il governo di Rumsfeld continuava ad !
essere impegnato a minacciare di attacchi armati gli iraniani a
seguito di una loro violazione al medesimo trattato avvenuta alcuni anni
prima e non di tipo concreto, come quella di Washington e dei suoi
alleati, ma di tipo esclusivamente informativo. Come dire:
"Noi possiamo fare qualsiasi cosa. A noi non ci tocca nessuno. Noi siamo
al di sopra di qualunque regola, però le regole le facciamo valere per
chi ci dà fastidio, e anzi per loro le cambiamo di volta in volta sul
momento, così da poterli colpire in base ai nostri interessi...".

Tra l’altro, l’intervista di Rumsfeld costituisce un’evidente
conferma del coinvolgimento - da molti supposto da tempo - della struttura
fondamentale della Nato in queste violazioni del trattato del 1970.
Nemmeno questo significa alcunchè per i governi (di svariate tendenze
politiche) e per le magistrature della ormai trentina di paesi facenti parte
della Nato?

E anche tutto questo contribuisce in modo pesante a rendere sempre
più flebili i valori umani nella vita politica e istituzionale della
società contemporanea così come nell’odierna "cultura di massa",
profondamente influenzata da mass-media a loro volta profondamente
condizionati dalle élite economiche e politiche.


Note:

Nota: Alcune delle questioni giuridiche internazionali qui
accennate sono state prese in esame in modo molto più approfondito in alcuni
precedenti interventi dell’autore disponibili su questo stesso sito
nel settore "Diritto internazionale" della tematica "Pace".


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