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Armi non letali?

Si sta assendo ad una rapida accelerazione della ricerca nel settore delle cosiddette armi inabilitanti non-letali, ossia "armi esplicitamente progettate ed impiegate con lo scopo primario di inabilitare le persone o i mezzi materiali rendendo minima la probabilità di causare loro danni permanenti". Ma le armi pubblicizzate come incruente, pulite ed appunto "non-letali", nascondono invece almeno due grandi ipocrisie.
9 novembre 2003
Marita Villa (Amnesty International)

In un articolo apparso sulla Rivista Militare (N. 5/2000, settembre-ottobre 2000) il Colonnello Giovanni Caravelli dello Stato maggiore della Difesa descrive l’interesse dell’Esercito italiano per un futuro acquisto ed impiego di armi non-letali. Cosa che non sorprende più di tanto considerando che a partire dall’inizio degli anni ’90 si è assistito ad una rapida accelerazione della ricerca nel settore delle cosiddette armi inabilitanti non-letali, ossia "armi esplicitamente progettate ed impiegate con lo scopo primario di inabilitare le persone o i mezzi materiali rendendo minima la probabilità di causare loro danni permanenti". Ma se non ci sono grandi motivi di stupore, ci sono invece innumerevoli motivi di preoccupazione. Analizziamo contesto e conseguenze.

La necessità per gli strateghi militari di orientarsi verso questo tipo di equipaggiamenti deriva sostanzialmente da due fattori: l’indisponibilità dell’opinione pubblica internazionale, che assiste alle "Cnn wars", a tollerare perdite di vite umane né fra gli uomini dei propri contingenti né fra i civili delle popolazioni locali; la necessità di risolvere il dilemma nel quale si sentono sempre più spesso imprigionate le Forze armate dei moderni eserciti occidentali durante le missioni internazionali (indicate nelle loro varie tipologie come "operazioni diverse dalla guerra"), frenate da regole di ingaggio che ritengono estremamente restrittive. I contingenti chiamati ad intervenire in operazioni di polizia, di protezione civile o di assistenza umanitaria, si trovano a dover "riempire il pericoloso gap fra l’inazione e l’uso della forza armata".

Così una pubblicazione del Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS), l’organismo che gestisce, nell’ambito e per conto del Ministero della Difesa, la ricerca sui temi di carattere strategico, motiva la scelta di ricorrere a questo tipo di armi in base ai possibili scenari di applicazione. Ad esempio in un contesto urbano, caratterizzato da un’intricata rete di costruzioni, dove ogni casa può trasformarsi in una fortezza, e dove le truppe incontrano difficoltà di movimento, queste armi possono superare tutti gli ostacoli strutturali ed essere impiegate in modo indiscriminato e a largo raggio. Così pure nel caso di controllo di una sommossa (ma questo si potrebbe tradurre anche in un mezzo per controllare e disperdere qualsiasi manifestazione pacifica e democratica) si potrebbe sparare sulla folla una schiuma irritante e, nel caso non bastasse, si potrebbe lanciare dal cielo uno spray irritante ed alcune granate inabilitanti nella folla.

Le armi pubblicizzate come incruente, pulite ed appunto "non-letali", nascondono invece almeno due grandi ipocrisie. Innanzitutto gli effetti di queste tecnologie, in quanto dipendenti da una moltitudine di fattori incontrollabili (quali le condizioni ambientali, fattori relativi alle condizioni fisiche del soggetto colpito e/o psicologiche degli operatori, ecc.), sono effetti solo in parte prevedibili. Tra gli effetti indesiderati: esplosione delle orbite, combustione degli organi interni, morte per soffocamento. In secondo luogo vengono spesso utilizzate come armi pre-letali: un esercito che avesse a disposizione un arsenale in grado di immobilizzare il proprio avversario si lascerebbe difficilmente sfuggire l’occasione di impiegarlo anche nelle azioni letali al fine di aumentarne l’efficacia. In questa categoria di armi troviamo:

- laser a bassa energia. Hanno lo scopo di accecare sia gli individui in modo temporaneo che sistemi sensori. Questo tipo di armi è stato in uso per 10 anni sulle navi da guerra della British Royal Navy per accecare i piloti nemici. In Afghanistan, dove le truppe sovietiche hanno usato queste armi, si sono verificati numerosi casi di cecità. In Italia le tecnologie laser sono sviluppate in particolare dalla Galileo Sma.

- mine non-letali. Possono impiegare sfere di plastica o sostanze irritanti. Gli Stati Uniti non ratificheranno il Trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine anti-persona finché non avranno trovato l’alternativa. Hanno già progettato un tipo di mina immobilizzante che chiude la vittima in una rete. Tra i "miglioramenti" già sperimentati: l’aggiunta di materiale adesivo o irritante, di elettroshock o di un effetto "lama di rasoio" che costringe le persone colpite a rimanere completamente immobili per evitare ulteriori ferite laceranti. La mina Fishook, fabbricata nel 1996 dalla ditta Alliant (New Jersey), proietta una rete ricoperta di ami su una zona dell’ampiezza di un campo di calcio. Il responsabile marketing della Alliant, assicura che questo sistema è fatto "per immobilizzare le vittime, non ucciderle". Almeno fintantoché non si fanno prendere dal panico…

- schiume paralizzanti. Se lanciate contro il viso possono causare la morte per soffocamento e comportano complicazioni nella fase di rimozione dalla pelle. Se applicate su vasta scala possono causare danni ambientali.

- supercolle. Possono avere conseguenze fatali qualora vadano ad ostruire le vie respiratorie dei soggetti colpiti.

- reti. Possono essere pungenti. Appiccicose o elettrizzate.

- stimolazioni ed illusioni visive. Causano vertigini, disorientamento e nausea.

- sistemi acustici ed infrasuoni. Causano disorientamento, nausea, vomito e spasmi intestinali. A distanza ravvicinata possono causare danni permanenti agli organi interni. La pistola Vortex, ad esempio, emette onde d’urto verso il corpo umano che, a seconda della regolazione d’intensità, possono provocare un lieve fastidio oppure emettere onde di 170 decibel capaci di ledere organi interni, creare cavità nel tessuto umano e causare traumi potenzialmente letali. In una conferenza a Londra nel 1998 organizzata dalla rivista militare Jane’s venne proiettato un video dimostrativo in cui si vedevano alcuni soldati fare uso di armi a microonde e al loro fianco personale medico che si prendeva cura delle vittime in coma.

- supercaustici. Sono composti più corrosivi dell’acido solforico di diversi ordini di grandezza. Producono incalcolabili sofferenze se l’obiettivo è un essere umano. Possono inoltre provocare danni sul piano ecologico se applicati su larga scala.

- taser. Sono armi elettriche a mano che provocano un effetto di stordimento.

- cannoni ad acqua elettrizzata.

- munizioni di gomma e plastica. Tra le altre sono state progettate munizioni "doppio uso", che a seconda della velocità con cui vengono sparate possono essere letali o non-letali. Uno dei fattori di rischio più rilevanti è la distanza dell’individuo colpito da chi spara. Più saranno vicini, più il colpo potrebbe essere fatale.

I corpi di polizia e di sicurezza, dagli Stati Uniti all’Africa, ricorrono sempre più frequentemente all’uso di gas lacrimogeni ed irritanti chimici direttamente all’interno di edifici o in altri spazi chiusi, dove le persone non possono uscire o perché porte e finestre sono sbarrate o per la paura di essere picchiate, arrestate o fatte "sparire" una volta fuori. In diversi casi in cui sono stati utilizzate queste sostanze si sono verificati ferimenti e decessi.

É inquietante il carattere intrusivo di queste armi che non prendono di mira solo il corpo delle persone. Sono programmate per disorientarle o destabilizzarle a livello mentale. Possono interferire con i regolatori biologici di temperatura del corpo umano; le armi a frequenza radio, per esempio, agiscono sulle connessioni nervose del corpo e del cervello; i sistemi laser provocano, a distanza, scosse elettriche paralizzanti.

Certo è che, con la diffusione di queste tecnologie, si rischia di fornire ai regimi oppressivi un potente strumento per il controllo di ogni opposizione. Otterrebbero quindi il duplice risultato di bloccare le proteste e contemporaneamente evitare scomodi massacri alla luce del sole e delle telecamere. Il passo dal non-letale al letale è assai breve. Spesso si tratta solo di una questione di regolazione della potenza in funzione delle condizioni ambientali. Si corre il grave rischio che, nel bel mezzo di un’operazione di polizia, lo stress possa spingere alcuni a non limitarsi a fare uso di opzioni invalidanti, ma ad usare le opzioni più violente, a portata di interruttore… con il rischio che semplici operazioni di vigilanza si trasformino in esecuzioni sommarie.

Note: Per saperne di più: Jan Alhadeff, Le armi inabilitanti non-letali, Franco Angeli, Milano 1999

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