«Base Usa, prontia metterci davanti alle ruspe»
Marghera nostro servizio
Olol Jakson, a capo del presidio permanente contro il raddoppio della base Usa di Vicenza. Cosa è il "patto di mutuo soccorso" che avete creato con gli altri movimenti?
Si tratta di un'esperienza interessante e innovativa. Non è il tentativo di costruire una sintesi a livello nazionale di istanze locali, ma è il rovesciamento di questo ragionamento: è la valorizzazione, all'interno di uno spazio comune, di nodi di una rete che producono poi nei territori, a livello comunitario, delle forme di conflitto sul terreno ambientale, del contrasto alla guerra, ecc.
Come è organizzato?
Periodicamente c'è una riunione a livello nazionale dove ogni realtà porta alla discussione quella che è la propria specificità. Rispetto alle problematiche si individuano scadenze che poi coinvolgono i territori. Anche quando ci sono esperienze "sotto attacco", come Vicenza o la Val di Susa, tutto il patto si mobilita: è una federazione di realtà locali. Tutti i sottoscrittori convergono per dare manforte alle singole lotte.
Questo esercito di No che si muove compatto non rischia di apparire "ideologico" e di indebolire le ragioni delle singole lotte?
No perché il patto si sostanzia in esperienze concrete locali. Se queste esperienze sono deboli non riescono a coinvolgere le altre realtà. Queste realtà crescono in rapporto alle altre perché hanno la capacità di radicarsi nel proprio territorio.
I maligni però sospettano che il vostro collante sia la cosiddetta sindrome del Nimby...
Io parto dall'esperienza che abbiamo fatto noi come vicentini. Inizialmente il 90% dei comitati dei cittadini contro il Dal Molin esprimeva istanze espressamente localiste. La famosa sindrome Nimby. Il problema è stato come far entrare nell'immaginario collettivo la complessità dei fattori in campo, per fare esplodere la contraddizione nel suo insieme. Parlare della costruzione della caserma è parlare di un problema urbanistico locale, del territorio, delle risorse, ma è anche un problema che attiene alle politiche di guerra. Oggi il movimento nella sua interezza dice "né qui né altrove", quindi supera la dimensione della difesa di interessi localistici.
C'è la sensazione che il caso Vicenza sia stato gettato nell'agone politico e poi abbandonato. Vi sentite rappresentati da alcuni pezzi delle istituzioni o la disillusione declina verso quella che ormai è comodo definire antipolitica?
E' vero, c'è disillusione verso una certa politica. Non capiamo come pezzi del centrosinistra abbiano potuto voltare la faccia dall'altra parte, come del resto sul finanziamento delle missioni militari, su Cameri e gli F35. Ma la nostra mobilitazione è esattamente il contrario dell'antipolitica. E' la riappropriazione di un ragionamento e di una pratica sulla gestione della cosa pubblica. Io temo che quello dell'antipolitica sia un argomento strumentale usato proprio da chi dovrebbe rappresentare la politica e si sente defraudato di questo ruolo. Quando con la tua mobilitazione togli potere a chi dovrebbe decidere, aprendo una contraddizione, una crisi, dall'altra parte si è costretti a definire quel movimento come un movimento antipolitico.
Il cortocircuito tra movimenti e Palazzo vi impone di essere autosufficienti?
Non abbiamo mai ragionato in termini di autosufficenza. Abbiamo tentato di parlare con tutti, non c'è nessuna preclusione ideologica. Ma non abbiamo trovato risposta. Prodi prima di vincere le elezioni rimproverava a Berlusconi il fatto di prendere le decisioni sulle spalle delle comunità locali. E poi...
Con il campeggio nei pressi del presidio cosa sperate di ottenere?
Questa iniziativa andrà avant fino al 16, con incontri - a cui prenderanno parte persone come Naomi Klein, Alex Zanotelli e Mustafa Barghouti - su tre temi: ambiente, guerra, crisi della rappresentanza e nuove forme di intervento dei movimenti. Vogliamo riaprire le stagione del conflitto che ci porterà, come estrema ratio, a metterci davanti alle ruspe e bloccare i lavori. Lì si tratterà di vedere se il governo avrà la capacità di tornare sui propri passi e ascoltare non solo la comunità locale ma la gran parte del proprio elettorato, oppure andare a verificare se i manganelli del centrosinistra fanno più male di quelli del centrodestra.
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