Armi: l'Europa tenta qualche passo. Ma l'Italia esporta sempre di più
Il 2007 potrebbe essere un anno cruciale per la possibilità di regolamentare in maniera univoca e stringente il mercato delle armi. Ultima in ordine cronologico, rispetto a questa prospettiva, è la decisione del Consiglio d'Europa, che ha recentemente stanziato 828 mila euro per ampliare le adesioni alla Convenzione sulle armi convenzionali, un documento adottato dall'Onu nel 1981 contro le armi che causano sofferenze eccessive e pericoli per i civili.
Ma a che punto è, a livello globale, la mobilitazione contro il proliferare delle armi? «Il nodo centrale - spiega Vittorio Agnoletto, eurodeputato della Sinistra Europea - è l'Att, il Trattato internazionale sul commercio delle armi, un documento ben noto a chi, nel movimento, si batte da anni su questo tema, che subordina il mercato delle armi al rispetto dei diritti umani, del diritto umanitario internazionale e dello sviluppo sostenibile. E' infatti il risultato dell'impegno di Control arms, la campagna globale che dal 2003 rappresenta il principale strumento contro la proliferazione e il "cattivo" uso delle armi. Alla fine del 2006 l'Assemblea Generale dell'Onu ha adottato una risoluzione che rappresenta l'inizio formale del processo verso l'Att, con il sostegno di 153 Stati (esclusi gli Stati Uniti). Ad ottobre il Segretario generale dell'Onu presenterà alla prima commissione dell'Assemblea Generale per il disarmo e la sicurezza internazionale i pareri dei membri delle Nazioni Unite sulla fattibilità, il campo di azione e i parametri di base del nuovo strumento». Ban Ki-Moon dovrà verificare gli orientamenti degli Stati membri sulla proposta di Trattato, per poi riferire all'Assemblea generale alla fine dell'anno. A quel punto, verrà nominato un gruppo di esperti governativi che saranno incaricati di esaminare i diversi aspetti del Trattato e relazionarne all'Assemblea generale del 2008.
A questo proposito, il Parlamento Europeo ha anche approvato una risoluzione, il 21 giugno scorso, nella quale «invita tutti gli Stati membri ad inviare senza ulteriori indugi i loro pareri a sostegno dell'ATT» e, nell'attesa della creazione di quest'ultimo «invita tutti gli stati a prendere misure efficienti per porre fine all'irresponsabile attività di intermediazione e trasporto di armi».
Contemporaneamente è ripresa la mobilitazione della società civile. Control Arms, in particolare, ha dato vita negli scorsi mesi alla People's Consultation sul Trattato, ovvero una consultazione popolare tesa a sostenere i principi dell'ATT, per fare pressione sui governi affinchè a loro volta si impegnino per la realizzazione del documento.
Nel frattempo, il commercio di armi miete vittime a ritmi impressionanti. E purtroppo l'Europa, e l'Italia in particolare, sono ai primi posti nelle classifiche mondiali come produttori ed esportatori di armi.
Sebbene infatti l'Unione europea abbia adottato, con una decisione del Consiglio del 1998, un codice di condotta sull'export di armi, tale documento non è vincolante. Lo scorso gennaio, a tal riguardo, l'Europarlamento ha adottato una relazione annuale (redatta dal deputato spagnolo Raul Romeva) sull'implementazione del codice di condotta europeo per l'esportazione di armi, nella quale si chiede un'applicazione legalmente vincolante del codice.
«Pensiamo alle armi leggere - continua Agnoletto - cioè le armi di piccolo calibro, i loro accessori d'uso militare e le armi che possono essere trasportate da una o più persone, da animali o piccoli veicoli. L'Italia è il secondo esportatore e il quarto produttore al mondo, e la vendita di queste armi non è soggetta ad autorizzazione. Oltre tutto le armi prodotte nel nostro Paese vanno ad alimentare conflitti tra i più drammatici e letali per i civili: dalla Colombia al Pakistan, dalla Nigeria alla Libia. Il business delle armi in Italia muove somme enormi, oltre sette miliardi all'anno di fatturato, e conta sulla complicità di vari istituti di credito, che, nonostante un furbo repulisti all'immagine, continuano a gestire le operazioni economiche del settore».
I numeri dicono di più: la spesa militare pro capite è aumentata dai 468 dollari del 2005 ai 514 dollari del 2006.
«E' un affronto all'enorme, trasversale, movimento pacifista sceso in piazza più volte contro la guerra, - conclude il parlamentare europeo - che si è battuto per la riconversione dell'industria bellica negli ultimi anni. Ora il boom della vendita di armi, pari a una crescita del 61 per cento delle autorizzazioni alle esportazioni rispetto al 2005, e l'aumento delle spese militari stravolgono di fatto la legge 185/90, che avevamo strenuamente difeso. Al comma 3 dell'articolo 1 la suddetta legge prevedeva infatti «misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie del settore della difesa». Perché non è stata applicata? Anche questi temi dovranno essere al centro della manifestazione del 20 ottobre e delle verifiche che il popolo pacifista chiederà al governo».
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