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«Vicenza? Un esempio dello shock capitalista»

Movimenti In Veneto si prepara l'opposizione agli States. E arriva l'autrice di No LogoIntervista a Naomi Klein, a Venezia per presentare un cortometraggio nato dal suo nuovo libro. «Bisogna riflettere sul perché negli Stati uniti continuano ad appoggiare un governo militarista» La base Usa è un ottimo esempio di shock su cui esercitare una pressione capitalista. Si costruisce uno spazio chiuso, militare, anzi legato alle guerre, che modifica radicalmente la vita degli abitanti di una città
9 settembre 2007
Cristina Piccino
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Il film, un cortometraggio, si chiama The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism, la prima immagine è presa da un archivio, una donna distesa di forza su un lettino viene sottoposta a elettroshock. Seguono immagini dall'attualità, bombe, guerre, tutte con lo stesso effetto di devastazione. Poi le catastrofi naturali, l'acqua che sommerge New Orleans, case distrutte, ambiente devastato. E di nuovo i disastri «umani», le Twin Towers. Il corto è stato realizzato da Jonàs e Alfonso Cuaron, padre e figlio, due generazioni del nuovo cinema messicano, all'origine c'è il libro di Naomi Klein, stesso titolo in inglese che in Italia uscirà il 12 come Shock Economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri (Rizzoli). L'idea è quella di una «grande crisi» o del «grande shock» che permette al capitalismo di sfruttare in suo favore le risorse di uno stato approfittando del disorientamento dei cittadini. Per questo si deve fare in fretta a rendere la riforma da «momentanea» a «permanente». All'origine della riflessione di Klein c'è lo studio delle dottrine di Milton Friedman, «guru» dell'economia globale contemporanea, e in particolare l'editoriale che scrisse sul Wall Street Journal dopo l'uragano Katrina. Nel quale proponeva di non ricostruire le scuole pubbliche distrutte, frequentate da bambini le cui case erano state a loro volta distrutte, ma di dare alle famiglie dei buoni a spendere presso istituzioni private. «L'amministrazione Bush si è gettata su questa proposta trasformando dopo l'uragano le scuole di New Orleans in "scuole charter", che sono scuole pubbliche gestite da privati secondo le loro regole. In questo modo si creano enormi disuguaglianze applicando standard educativi differenziati» spiega Naomi Klein, faccia da ragazzina, determinazione sorridente. Ma è solo uno degli esempi del libro, e anche del cortometraggio: sia guerra in Iraq sia l'uragano Katrina il risultato non cambia. Lo shock della gente è l'utile terreno d'azione per l'agire di multinazionali della ricostruzione. Il cui senso è tutto da stabilire. Friedman, ricorda Klein, è stato il consigliere favorito di Pinochet, dopo il colpo di stato, approfittando del trauma del paese, gli suggerì di applicare radicali tagli a spesa pubblica, istruzione, etc. Tutto questo entra nel corto, misto di animazione e tecniche diverse. Lo shock oggi produce Guantanamo, privazione dei diritti civili trasformata in difesa di civiltà, censura dell'informazione che diventa un modo di proteggere i cittadini.
Ieri sera, dopo la presentazione alla Mostra del corto, insieme a Cuaron Naomi Klein è partita per Vicenza, a sostenere la manifestazione contro la nuova base americana. Al mattino alcuni rappresentanti della protesta erano arrivati al Lido, sulle note dell'accordeon di Oreste Scalzone.
Perché Vicenza? Qual è la ragione che la fa partecipare alla manifestazione di oggi?
Credo che la ragione sia già nel soggetto del libro, lo abbiamo fatto anche ai tempi di No logo, andavamo laddove c'erano situazioni reali di quello che vi veniva teorizzato. E' molto importante per me lavorare sulla teoria del contemporaneo, sistematizzarne i conflitti e dunque essere laddove si producono, viverli e non solo parlarne. La base di Vicenza è un ottimo esempio di shock su cui esercitare una pressione capitalista. Si costruisce uno spazio chiuso, militare, anzi legato alle guerre, che modifica radicalmente la vita degli abitanti di una città. Non è solo questione del paesaggio, dell'ambiente etc. Tutte queste cose sono importanti ma quello che conta è soprattutto il modo in cui questa scelta andrà a incidere sulle politiche sociali, economiche, emozionali di un luogo. Approfittando del trauma si faranno passare una serie di conseguenze che il progetto della base si porta dietro. Per questo è importante per me esserci, trovo spaventoso che si investa in basi militari calpestando i desideri delle persone.
Nel suo libro, e nel film, viene citato Martin Friedman, che è un po' il riferimento antagonista di questo suo lavoro.
Nelle sue teorie sull'ascesa del capitalismo Friedman ignora completamente i corpi, le persone. Ci descrive le varie soluzioni del capitalismo come se fossimo in una fiaba, un mondo meraviglioso dove tutti sono liberi, e dal quale la sofferenza reale viene esclusa. Manca il dolore, che cosa significa la catastrofe, lo shock per gli esseri umani che lo subiscono. Ho studiato a lungo per scrivere questo libro, non volevo limitarmi a dire che una cosa è giusta e un'altra sbagliata. Il film è stato il passo successivo, mi sembrava che l'immagine potesse rendere l'esperienza fisica ancora più presente almeno nel sentimento di chi lo guarda.
Cosa l'ha spinta a questa riflessione?
Il disorientamento politico che viviamo dall'11 settembre in poi. Sento un grande bisogno di mettere a fuoco le cose, di confrontarmi con me stessa e con gli altri. Non credo che la soluzione oggi possa essere solo liberarci di Bush, anche se naturalmente tutti noi speriamo che i conservatori americani siano finalmente sconfitti alle prossime elezioni. Ma una cosa è il sistema economico, un'altra l'ideologia con cui hanno bombardato gli americani in questi anni. Non voglio che il libro e neppure il film siano considerati antiamericani, ci sono molte identità in America. Credo invece che sia molto più utile riflettere sul perché nel tuo paese si continua a appoggiare un governo complice nell'espansione del militarismo. In questo senso l'informazione è fondamentale. Nel film leggiamo un cartello: informare è resistere, su immagini che ricordano Guantanamo. Alcuni registi americani passati al Lido in questi giorni, come De Palma, ci hanno detto coi loro film che in questo momento negli Stati uniti è molto ristretta. Si parla dei grandi media, stampa e tv. E' vero, ma si possono costruire delle alternative. Ho molta fiducia nella rete, che permette un processo di democratizzazione delle informazioni. Abbiamo voluto mettere il film in rete, in questo modo può arrivare direttamente a tante persone prima del libro. E' vero che la rete ha i suoi rischi, si può manipolare, c'e di tutto ma questo vale per il sistema di informazione in genere. Credo che la scommessa pr rendere la rete ancora più solida sia combinare informazione a educazione, discriminando una serie di offerte all'interno della rete stessa. C'è bisogno di profondità, non si può cadere nello stile tabloid o nella teoria della cospirazione. Credo anche che sia importante una profondità nell'analisi, non basta seguire il trend del momento.Adoro persone come Harold Pinter, che lavorano su una visione chiara e corretta delle cose.

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