Lotti: «Troppi soldi per le armi in Italia, Afghanistan, un disastro, cambiare strada»
A Colleferro una fabbrica di armi esplode ed uccide; in Senato la commissione d'inchiesta conta i morti e gli ammalati che sono stati colpiti dall'uranio impoverito, il micidiale fuoco "amico" che brucia a distanza di tempo. Tre giorni fa, invece, duecentomila persone hanno manifestato da Perugia ad Assisi per la pace e i diritti umani. Sono due mondi opposti.
Proprio ieri, la Tavola della pace e il ministro della Difesa Arturo Parisi si sono seduti a colloquio. Non è la prima volta che i pacifisti incontrano esponenti di governo ma con un capo-dicastero delle Forze armate non era mai accaduto.
«Finalmente», ha commentato prima dell'incontro Flavio Lotti, coordinatore della Tavola, «ci si poteva arrivare anche un anno fa visto che chiedemmo l'incontro il 26 agosto 2006 nel corso di una manifestazione contro la guerra in Libano». Appena uscito dal ministero, Lotti ci racconta come è andata. «Abbiamo presentato tutta la nostra agenda toccando in sintesi l'Afghanistan, il Libano, le spese militari, il ruolo dell'Onu, l'organizzazione delle Forze armate. Al cuore di tutto, la nostra richiesta di un confronto diverso sulle missioni militari, su quanto costano, sulla loro reale efficacia. Parisi ha accettato l'invito e si è preso il tempo per avanzare programmi di dialogo».
La Tavola ha proposto anche un faccia a faccia con gli stati maggiori. «I militari sostengono sempre di lavorare per la pace e dunque siano conseguenti», insiste Lotti che tuttavia riferisce le obiezioni mosse dal ministro: «Parisi ha sottolineato che in Italia le Forze armate obbediscono al potere politico, non sono un corpo separato; che la qualità del personale è coerente con l'articolo 11 della Costituzione; ha anche rimarcato l'importanza di questo a confronto con la tendenza a privatizzare la difesa» «Ad esempio con i mercenari impiegati in Iraq», precisa a sua volta Lotti.
Avete contestato scelte del governo?
La nostra piattaforma contro gli armamenti è chiara e l'abbiamo ribadita anche il 30 settembre, avviando una raccolta di firme per l'eliminazione delle armi nucleari in Italia e durante la Perugia-Assisi gridando per l'ennesima volta contro la scelta di destinare altri soldi alle spese militari. Abbiamo insistito sulla necessità di cambiare sia la struttura sia l'utilizzo delle forze armate, una discussione che non deve essere affrontata solo nel governo ma deve coinvolgere le organizzazioni della società civile e gli enti locali impegnati per la pace. E' insostenibile che ogni nove euro spesi per un soldato in Afghanistan se ne spenda uno solo per gli interventi civili ed è altrettanto grave che la finanziaria destini altri sette miliardi e 400 milioni per quattro programmi di armamento in aggiunta ad altre spese militari. Abbiamo chiesto inoltre al ministero della Difesa un bilancio più trasparente.
Torniamo alla Marcia. Vi siete detti sorpresi del successo.
Sì, avevamo la sensazione che sarebbe stata una grande manifestazione ma non con queste proporzioni.
Quest'anno la Perugia-Assisi si è intitolata ai diritti umani e la nuova definizione aveva suscitato qualche perplessità. Come ha influito sull'esito?
Devo correggere: non abbiamo mutato né il carattere né gli obiettivi della Marcia, li abbiamo solo resi più espliciti. E' stata ancora la Marcia per la pace ma, più delle altre, ha messo in evidenza che la pace si raggiunge promuovendo il rispetto dei diritti umani. Non è giusto contrapporre pace e diritti. E' ancora presto invece per valutare se questa impostazione abbia influito sulla buona riuscita. Certo ha richiamato tante persone che magari avvertivano la pace come obiettivo più lontano.
E' balzata in primo piano la tragedia della Birmania.
L'abbiamo trattata con l'urgenza che merita ma cercando di evitare l'errore in cui cadono i mezzi di informazione quando enfatizzano una vicenda in un determinato momento per poi spegnere i riflettori. Ci sono molte birmanie nel mondo.
I diritti umani come via alla pace: ma i sostenitori delle guerre "umanitarie" non sono lì pronti a farsene un alibi?
A conclusione della Marcia ho ricordato che troppo spesso il tema dei diritti umani viene usato come clava contro il nemico. Non devono essere strumentalizzati o trattati con pesi diversi, sono universali e indivisibili, richiedono un atteggiamento coerente e - riconosciamolo - molto faticoso.
Come valutate l'Afghanistan?
Si sono compiuti sei anni di quella guerra, un tragico errore, una risposta sbagliata al terrorismo, tale da rompere la stessa solidarietà che aveva scosso il mondo dopo l'11 settembre, dando luogo ad una tragedia ancora più grave. Oggi anche i signori del realismo politico dovrebbero aver constatato che la guerra, dapprima vantata come lo strumento più efficace per sconfiggere i terroristi, non li ha sconfitti, anzi ha provocato un disastro in cui crescono terrorismo e insicurezza.
Ritirare le truppe occidentali?
Nell'ambito dell'Assemblea "Onu dei popoli" abbiamo elaborato un documento anche con l'apporto di amici afghani. Se questa guerra ha provocato già tanti danni è evidente che bisogna cambiare strada. Ciò non significa abbandonare il popolo afghano ma neanche perseverare sulla stessa rotta.
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