Introduzione
Perché la questione ecologica.
"One of the great untold stories of the Balkan conflict is that of the enviromental damage caused by it ·"
[1]
Uno dei principali motivi che mi hanno spinta ad intraprendere la ricerca che ora andro' ad illustrare e' proprio la untold story di cui parla Andrew Dobson, riferendosi implicitamente alla problematica questione ecologica nei Balcani, rimasta drammaticamente nel backstage rispetto ad altri immediati quanto catastrofici effetti della guerra. Secondo lo specialista in teoria politica ambientale esistono at least due importanti ragioni per cui la questione ecologica meriterebbe una maggiore considerazione:
- alcuni delle piu' tragiche conseguenze del conflitto sono direttamente legate e connesse alla questione ambientale;
- il danno ecologico e' profondamente "insidioso" sia per la notevole difficolta' di valutazione immediata e di serio monitoraggio, sia a causa del tentacolare estendersi delle conseguenze nell'incontrollabile sfera del futuro.
Se anche in tempo di pace l'inquinamento ambientale non ha certo rispetto dei confini nazionali [2], non sarebbe affatto ragionevole aspettarsi che per qualche strano motivo in guerra accada qualcosa di diverso, ed ecco che:
"· enviromental effects travel through time as well as space, and some of the unintended casualities of the war have yet to be born ·"
[3]
Quando si parla di "danni collaterali" di una guerra bisognerebbe quindi tenere conto anche degli effetti ambientali imprevedibili, gli stessi verosimilmente responsabili della nascita di bambini affetti da gravi deformazioni in Serbia, Kosovo, etc · e della "trasformazione cromatica" che, in alcuni suoi tratti, ha contribuito a trasformare il Danubio da blu in nero.
La poco conosciuta dimensione ambientale del conflitto chiama in causa anche un altro aspetto di non marginale rilevanza: quello sanitario. Quando si parla di danni ecologici dovrebbe infatti essere automatico il passaggio all'analisi della situazione sanitaria, vista la strettissima connessione tra i due ambiti. Grazie ad una sorta di invisibile cordone ombelicale che collega l'enviromental natural system con l' health system in modo quasi indissolubile, gli spargimenti di VCM ed altri agenti inquinanti in acqua e/o aria si ripercuotono direttamente sulla salute delle popolazioni locali incidendovi assai negativamente. E non e' tutto, poiche' le sostanze tossiche sparse nell'ambiente possono influire ngativamente sulla catena alimentare, introducendosi in essa attraverso l'acqua o i prodotti della terra. Un discorso a parte meriterebbero poi gli inquietanti danni subiti dal patrimonio naturale in generale, dai verdeggianti Parchi Nazionali alle rarissime specie protette, alcune delle quali probabilmente scomparse per sempre a causa dei pesanti danni inferti dalle bombe e dai proiettili inesplosi.
Dopo aver introdotto l'argomento dei discutibili targets colpiti dalle bombe, non e' di secondaria importanza soffermarsi per un attimo sulla natura degli stessi armamenti e subito l'attenzione viene catalizzata da due parole : uranio impoverito. Al di la' di dubbi, incertezze, equivoci, esagerazioni ed insabbiamenti, resta il fatto che nei Balcani, nel 1999, si e' fatto uso di proiettili all'uranio impoverito, nonostante la nota esistenza di molti rapporti su deformazioni e leucemie insorte in veterani e figli di veterani al ritorno da missioni in Iraq, senza considerare poi gli effetti diretti sulla popolazione del posto.
Detto cio' sarebbe lampante la grande incompletezza di un lavoro che cerchi di approcciare, anche se limitatamente, la questione ecologica senza esprimersi per lo meno en passant sugli effetti diretti/indiretti della guerra sulla salute della popolazione locale e dei militari operanti nella zona.
E' cosi' che nasce la Parte I di questo elaborato, con il duplice intento di fungere sia da introduzione e premessa teorica alla ricerca svolta, sia di breve approfondimento dell'enviromental dimension del conflitto del Kosovo (CAP. II), con un occhio di riguardo per dimensione sanitaria (CAP. III).
Media & guerra: un rapporto difficile ed ambivalente.
"· There is no question but the government managment of opinion is an unscapable corollary of large-scale modern war ·"
[4]
Questa citazione tratta da un pionieristico studio accademico sulla propaganda, svolto da Lasswell negli anni '30 ma ancora attuale, puo' fungere da trampolino di lancio per esporre il secondo motivo che fondamentalmente mi ha stimolata ad addentrarmi in questo preciso percorso di ricerca.
Ogni volta che scoppia un conflitto di qualche interesse [5] nel mondo, televisioni e giornali iniziano a "bombardare" il pubblico con centinaia, migliaia di messaggi relativi ai perche' e per come della guerra, soprattutto se viene ipotizzata la possibile (o probabile, a seconda dei casi) partecipazione dei Paesi Occidentali, dagli Stati Uniti all'Europa.
Ora, un apparentemente banale, in realta' basilare, quesito si affaccia alla mente: in che misura media e guerra si rispecchiano l'uno nell'altra? Fino a che punto e' il sistema informativo che, piu' o meno influenzato dalla sfera politico-militare, incide sull'opinione pubblica spingendola pro o contro la guerra del momento o quanto la guerra incide sui media fino a diventare la protagonista assoluta fino quasi a "schiavizzarli"?
Secondo Anthony Weymouth, facendo una panoramica sul XX secolo, sono individuabili due fasi principali di attivita' mediatica interna alle democrazie liberali occidentali: [6]
- la prima va dal 1945 e si sviluppa in un climax, fino alla caduta del muro di Berlino;
- la seconda invece inizia proprio con il 1989 ed e' segnata in modo significativo dalla guerra civile in Bosnia (1994) e dalla crisi in Kosovo (1999), per continuate fino ai giorni nostri.
Si potrebbe quindi arguire che il 1989 ha segnato il momento di passaggio da una prima fase post-guerra in cui i mezzi di comunicazione hanno contribuito alla formazione di un nuovo ordine mondiale ad una seconda in cui l'attivita' dei media occidentali era basata sulla proposta di una nuova rappresentazione di societa' dominata dai principi "umanitari" del liberal capitalismo.
Il Prof. Weymouth sostiene che la crisi in Kosovo ha visto lo svilupparsi di due dinamiche di rilievo incrociate tra loro. Se infatti, da un parte, i media hanno giocato un ruolo fondamentale adottando una prospettiva morale e offrendo un'interpretazione emotivamente coinvolgente sia per gli europei che per gli americani - tirando in ballo la memoria storica di fascismo e comunismo nella lettura gli eventi - dall'altra hanno favorito una ridefinizione della Nato che essa cercava fin dal dopo Guerra Fredda.
"· while they do not create events, it can be argued that the media do make the news, in the sense that they draw attention to specifics issues at the expense of others, interpret them in certain ways, and are able to sustain public interest in them, influence opinion or terminate it, almost at will ·" [7].
Il grande potere dei media nel fare (do make) la notizia e' noto a tutti, cio' che non sempre risulta lapalissiano e' piuttosto la connessione tra interessi politici e commerciali nel fare in modo che l'opinione pubblica sia puntata in una direzione rispetto ad un' altra ed e' cosi' che da un momento all'altro la difesa dei piu' elevati valori umanitari occidentali puo' repentinamente passare in secondo piano dopo le luci della ribalta.
Per non rischiare di scadere in una visione assurdamente manichea della realta', si potrebbe affermare che molto probabilmente le pubblicizzate quanto supposte brutalita' [8]
effettuate dai Serbi in Kosovo (1998/1999) siano state presumibilmente utilizzate in maniera meramente strumentale, al fine di forzare la mano ai governi occidentali nei confronti di Milosevic, pur tuttavia e' ugualmente improbabile che il solo giudizio dell'opinione pubblica abbia garantito le scelte politiche e gli interventi militari che sono seguiti.
Cio' che e' incerto quando si parla soltanto di possibilita', diventa pero' certo nel momento in cui si ragiona per cifre:
"· Nato hits Serbs as fear rise for 100.000 'disappeared' ·" [9]
"· Tens of thousands of young males have been executed ·" [10].
"· 500.000 Albanian Kosovars · are missing and feared dead ·" [11].
"· Ten thousand people has been killed in more than 100 massacres ·" [12]
Non e' affatto semplice cercare di capire cosa possa essere realmente accaduto e quali siano le stime piu' ragionevoli delle perdite umane verificatesi, l'unico elemento certo e' che per diversi motivi, tra cui magari la parziale incompetenza di taluni giornalisti nel verificare certi dati o la scarsa affidabilita' delle "fonti attendibili" di cui si servono gli editori, etc · , la verita' a volte fatica ad emergere.
Detto cio', non si puo' fare di tutta l'erba un fascio e pur essendo consapevole della difficolta' di un approccio totalmente neutrale a questi temi, mi sembra d'obbligo sottolineare l'esistenza di dissident voices , ossia di nuotatori controcorrente nel mare della cosiddetta omogeneita' d'informazione, come Robert Fisk (Indipendent) e John Simpson (BBC), critici nei confronti delle strategie Nato ed attenti ai cosiddetti "danni collaterali" spesso colpevolmente sottostimati.
Concludendo si potrebbe citare un articolo scritto da Halimi e Vidal [13] in cui si sostiene con forza la tesi secondo cui la rappresentazione degli eventi e la stima dei morti tra le file dei kosovari albanesi e' stata significativamente esagerata rispetto ai danni subiti dai serbi a causa dei bombardamenti Nato. Gli autori isolano tre osservazioni chiave a tale proposito:
- l'effettiva ed estrema difficolta' di produzione di stime numeriche su morti e dispersi nel caotico esodo dei kosovari albanesi nell'Aprile 1999;
- il problema di interpretazione della crescente violenza in quelle aree, alla luce dello spettro dell'olocausto e della pulizia etnica;
- il pesante errore, da parte delle autorita' politiche, costituito dalla scelta di non esporre chiaramente e prima dell'inizio del conflitto, la grande probabilita' di elevate perdite a livello di civili serbi, grazie al tipo di strategia militare (puramente aerea) adottata.
Davanti ad un simile quadro sullo stato dei media a livello generale, e' nata in me la curiosita' rispetto ai media locali yugolavi ed allo spazio che hanno riservato alla questione ecologica in relazione alla guerra.
Media locali e danni socio-ambientali del conflitto.
Durante gli anni '80 i media nella Repubblica Federale Yugoslava (FRY) godevano di un controllo politico meno oppressivo rispetto ad altri Stati comunisti, ma erano pur sempre tenuti d'occhio dalla Lega comunista attraverso le sue branche nelle sei repubbliche ( Bosnia-Erzegovina, Croazia, Montenegro, Macedonia, Serbia e Slovenia) e nelle due province autonome interne alla Serbia (Kosovo e Vojvodina) costituenti la federazione. Nel 1989 una legge federale permetteva la fondazione di compagnie private, comprese compagnie di media, cosi' sono nate diverse stazioni radio, giornali e Tanjug un'agenzia stampa dal profilo internazionale. [14] La decentralizzazione a livello politico si rifletteva anche a livello mediatico con un aumento di informazione regionalizzata, ma quanto la devolution di potere fortificava la Lega senza democratizzarla, tanto accadeva ai media.
Il concetto di liberta' dei media nella Costituzione [15] e nelle leggi suonava piu' o meno cosi': i media erano liberi di supportare il sistema politico esistente nelle maniere prescritte (art. 166). Altre leggi interessanti erano poi quelle sulla Prevenzione agli Abusi della Liberta' di Stampa ed Altri Media e quella sulla Circolazione dei Mass- Media Stranieri e sulle Attivita' di Informazione Straniera, entrambe volte alla protezione da qualsiasi rischio nei confronti dei "fondamenti del sistema politico".
I media pan-yugoslavi [16] in posizione chiave erano Tanjug, l'agenzia di notizie statale, Borba, il quotidiano e Yutel, una stazione televisiva. Nonostante le differenze questi tre media rappresentavano un' informazione unificata in Yugoslavia percio' le leadership repubblicane che negli anni '90 cercavano di estendere il loro potere o di rompere con la federazione dovevano sempre confrontarsi con questi tre importanti punti di riferimento.
Allargando per un attimo il campo si nota che nel primo 1998 la Serbia poteva vantare una dozzina di quotidiani a tiratura nazionale ed a questo proposito T. Pancic afferma:
"· il piu' grande contenuto alla distruzione di una versione della realta' generata dal regime - a parte rispetto alla vera realta' - e' venuto dall'emergere di nuovi ed economici quotidiani commerciali · il lettore medio aveva accesso, per la prima volta, a giornali che non erano obbligati ad obbedire alla linea propagandistica ufficiale ·"[17]
Proprio da diversi quotidiani sia nazionali che regionali sono stati tratti gli articoli su cui si e' basata la ricerca qui esposta (Parte II), intrapresa allo scopo di verificare l'impatto mediatico - ed attraverso esso la percezione delle comunita' locali - dei danni ambientali-sanitari seguiti ai bombardamenti del 1999, prendendo come campione un corpus di articoli estratti da diverse fonti di stampa yugoslava raccolti, tradotti ed archiviati dalla Dott.ssa Zivkica Nedanovska. E' d'uopo specificare che nel costituire l'archivio di cui sopra, la Dottoressa si e' mossa seguendo il filo rosso della tematica ambientale - sanitaria, ricorrendo percio' a testate che hanno affrontato la questione con una certa omogeneita' diacronica.
Gli articoli di cui sopra sono stati selezionati sia secondo un criterio cronologico, dal 1999 al 2002 circa, che tematico. Tra le fonti principali:
- l'agenzia di stampa yugoslava Tanjug, nata con Tito e diventata compagnia pubblica nel 1994;
- Radio B-92, inquadrabile come centro di trasmissione ed organizzazione di eventi politici e culturali "alternativi";
- quotidiani di fama filo governativa come Politika e Vecernje Novosti;
- Dnevni Telegraf, Blic, Glas Javnosti e Danas, tutti giornali nati durante il boom del 1996/1997, il secondo dei quali e' partito grazie ad una grossa iniezione di capitale (presumibilmente) austriaco ed e' stato la culla del terzo;
- quotidiani regionali come Pancevac, etc ·
La catalogazione e la successiva analisi dei quasi 600 articoli a disposizione sono state funzionali alla verifica di alcune ipotesi formulate a riguardo dello status attribuito dalla stampa locale alle notizie di carattere ambientale rispetto a quelle di altro tipo, ipotesi che sono state in un secondo momento rilette e discusse alla luce dei dati ottenuti dall'insieme di 9 interviste semi strutturate, somministrate ad esperti attentamente selezionati per le diverse competenze, piu' un colloquio in profondita' con un tecnico impiegato al Petrolchimico di Pancevo duramente bombardato all'epoca del conflitto.
Le ipotesi in questione riguardano sia il lato propagandistico della guerra che la sua natura di enviromental conflict, fino a spingersi nel terreno delle possibili dinamiche scattate nella popolazione locale a fronte dei gravi danni subiti e non subitamente riconosciuti (tanto meno pubblicizzati).
La seconda parte del lavoro e' costituita da tre capitoli in cui si espongono ordinatamente metodologia di ricerca ( CAP. IV ), analisi dei contenuti ( CAP. V ) ed, in ultimis, verifica delle ipotesi (CAP.VI ).
Infine una breve e concisa Conclusione cerca di tirare le somme dell'intero lavoro.
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Note:
1 A. Dobson in M. Waller, K. Drezov, B. G¢kay Kosovo, the politics of delusion, Frank Cass Ed., London, 2001, p. 138
2 A questo proposito vanno ricordate le serie minacce per Bulgaria e Grecia, costituite dai flussi di olio e derivati fuoriuscite dalle raffinerie serbe piu' volte bombardate.
3 Ibidem, p.139.
4 S. L. Carruthers, The media at war. Communicatoin and Conflitct in the Twentieth Century, St.Martin's Press Inc., New York, 2000, p.54.
5 Questa affermazione non deve essere interpretata come pretesa di giudizio di valore riguardo alla presunta maggiore/minore importanza di certi conflitti rispetto ad altri. Si riferisce soltanto alla diversa rilevanza mediatica attribuita a determinate guerre ( non a tutte).
6 T. Weymouth & S. Henig, The Kosovo Crisis. The last American war in Europe?, Reuters, London, 2001, p.143.
7 Ibidem, p.145.
8 Un esempio per tutti e' la presunta strage di Racak (15/01/'99), dove in seguito ad uno scontro armato tra forze serbe ed UCK, sono stati ritrovati i cadaveri, trucidati ed ammassati, di 45 persone i cui vestiti facevano pensare a contadini del villaggio. Molto tempo dopo indagini indipendenti hanno dimostrato la falsita' della notizia riguardo alle supposte fosse comuni scavate e riempite dai militari serbi.
9 Indipendent, 12 Aprile 1999.
10 ABC Television, 18 Aprile 1999.
11 US State Department, 19 Aprile 1999.
12 British Foreign Office, 17 Giugno 1999.
13 S. Halimi, D.Vidal, "Media and Disinformation " in Le Monde Diplomatique, marzo 2000.
14 G. Robinson, Tito's Maverick Media: the Politics of Mass Communication, University of Illinois, Chicago, 1977.
15 Il riferimento e' alla Costituzione yugoslava del 1974.
16 M. Thompson, Forging War. The media in Serbia, Croatia, Bosnia and Erzegovina, University of Luton Press, 1999, p.21.
17 Ibidem, p.131.
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