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TESI DI LAUREA

Questione ambientale e guerra nei Balcani - Capitolo 1

Breve inquadramento storico, politico e socio-economico del conflitto in Kosovo. Un sintetico excursus dall' ante - guerram ai tentativi di ricostruzione.
21 novembre 2003
Federica Alessandrini
Questione ambientale e guerra nei Balcani

Federica Alessandrini
Danni sociali, ambientali e sanitari dei bombardamenti del 1999 attraverso la stampa locale yugoslava.


Parte I
Premessa teorica

CAPITOLO 1

Breve inquadramento storico, politico e socio-economico del conflitto in Kosovo. Un sintetico excursus dall'ante-guerram ai tentativi di ricostruzione.

1.1 Repubblica Federale di Yugoslavia (RFY), quale contesto per il conflitto in Kosovo?

Una sintetica panoramica storico/geografica della RFY [18] presenta il quadro seguente:


Capitale : Belgrado (Beograd; 1.168.000 abitanti)
Superficie : 102.173 kmq
Popolazione e densita' : 10.570.000 abitanti (1996); 104 ab./kmq
Tasso di crescita della popolazione : 0.1 %
Tasso di alfabetizzazione : 93 %
Nazionalita' presenti : serbi 63 %; albanesi 17 %; ungheresi 3 %; montenegrini 6 %; musulmani (Sanggiacato) 3% [19]
Religioni diffuse : Ortodossi 65 %, cattolici 4%; protestanti 1%; musulmani 19%
Lingua ufficiale : Serbo
Altre lingue diffuse : albanese (in Kosovo); ungherese (in Vojvodina)
Divisione amministrativa : Repubbliche di Serbia e Montenegro; Vojvodina e Kosovo (regioni interne alla Serbia).

Cenni storici: [20]

La Repubblica Federale di Yugoslavia (RFY) e' nata il 27 aprile 1992 come risposta alla disgregazione della Yugoslavia e con lo scopo di rivendicare continuita' e controllo sia sul nome che sulle proprieta' dello Stato.
L' "anima yugoslava" e' datata nel tempo e riconducibile, perlomeno nella sua prima formazione concreta, al tempo delle Province Illiriche (1805-1811). [21]
L'idea della costruzione di uno Stato unico dei popoli slavo-meridionali fu accarezzata dalle menti piu' illuminate di Slovenia, Croazia e Serbia. Sul piano pratico fu poi la Serbia indipendente [22] a fungere da vero e proprio traino politico- militare di ricongiungimento della varie comunita' slave. Fu forse, in parte, a causa di cio' che anche le successive tappe (Guerre Balcaniche del 1912-13 e Prima guerra mondiale) verso la formazione della Yugoslavia (ossia "terra degli slavi del Sud") furono caratterizzate da un' approccio serbo che confondeva, talvolta ambiguamente, Yugoslavia e Grande Serbia.
Con l'invasione del 6 aprile 1941 la Prima Yugoslavia scomparse, ma grazie all'insorgere del forte movimento partigiano guidato dai comunisti di Tito, l'ideale yugoslavo resuscito' sotto la spinta dell'emancipazione sociale e dell'internazionalismo. Cosi' nacque la Repubblica socialista federativa di Yugoslavia ( la Seconda Yugoslavia) di cui facevano parte le repubbliche di Serbia, Montenegro, Slovenia, Croazia, Bosnia- Erzigovina e Macedonia. Risale quindi al 1945 la successiva creazione delle province autonome di Kosovo e Vojvodina, abitate rispettivamente da considerevoli maggioranze albanese ed ungherese.
Nel 1948 la rottura decisiva tra Belgrado e Mosca decreto' il passaggio della Yugoslavia da un vecchio modello di sviluppo economico sovietico ad un innovativo sistema autogestito, diventato poi peculiare di questa terra. Elementi altrettanto caratterizzanti della stessa furono:

  1. scelta politica di non- allineamento nelle relazioni internazionali tra i due blocchi, durante la Guerra Fredda;
  2. progressiva concessione di ampie autonomie [23] sia alle repubbliche che alle regioni gia' autonome.

Nel corso degli anni settata la Yugoslavia miglioro' via via la propria situazione economica fino a divenire uno dei piu' avanzati fra i paesi comunisti europei, con la morte di Tito (1980) pero' questa "prospera" fase si interruppe per lasciare spazio ad un periodo di crisi che ben presto dilago' su tutti i fronti. La brusca inversione di tendenza che causo' la rapida crisi economica, divenne ben presto funzionale alla strumentalizzazione che la fece sfociare anche in crisi politica a livello nazionale. In questo frangente emersero due figure politiche di notevole rilievo: Slobodan Milosevic, Segretario della Lega dei comunisti dal 1987, e Milan Kucan, Segretario dell'omonima Lega, nel medesimo periodo, in Slovenia. Proprio il forte scontro tra i due porto' alla dissoluzione della Lega dei comunisti di Yugoslavia (1990), squarciata da spinte interne opposte : centralismo estremo da una parte e decentramento esasperato dall'altra. In un tale clima di disordine politico crebbero sempre piu' il nazionalismo serbo, sloveno e croato, al punto da giungere prima alla secessione di Slovenia e Croazia (giugno 1991) e poi alla fine della Federazione stessa . Sorse cosi' la neonata Repubblica Federale di Yugoslavia.
L'inizio dei conflitti militari in Slovenia (1991), Croazia (1991-1995) e Bosnia- Erzegoina (1992-1995) vide la tumultuosa precipitazione della RFY, causata principalmente dalla disgregazione della ex - Yugoslavia e dall'embargo internazionale nei confronti di Serbia e Montenegro.
Nonostante il crescente malcontento della popolazione nei confronti del governo Milosevic, come emerso dai risultati elettorali del 1996, la fondamentale mancanza d coesione nella coalizione dell'opposizione permise al leader serbo una sostanziale tenuta politica.
Avvicinandosi di piu' al presente, gli anni 1998-1999 sono stati particolarmente turbolenti in quanto hanno visto susseguirsi scontri ,sempre piu' ampi e violenti, dovuti soprattutto alle crescenti tensioni interetniche in Kosovo. Precisamente nel 1999, dopo il fallimento della mediazione internazionale di Rambuillet tra serbi ed albanesi (Uck), la situazione e' oltremodo peggiorata portando all'intervento diretto della Nato concretizzatosi sotto forma di bombardamenti [24] sulla RFY.
Giunta infine a sperimentare l'occupazione territoriale del Kosovo, diventato Protettorato delle Nazioni Unite, la federazione ha continuato a soffrire ancora, subendo sia gli scossoni causati dal separatismo montenegrino ed ungherese da un lato, sia i colpi inflitti dal nazionalismo serbo dall'altro.

Cenni di politica interna ed internazionale:

Nel 1998 il governo della Serbia ha deciso di integrare i leader del Partito Radicale serbo e del Partito per il rinnovamento serbo. In questo modo e' contemporaneamente stato possibile sia limitare il potenziale eversivo di Seselj e Draskovic sia coinvolgere tutte le forze politiche serbe nella lotta antialbanese (sotto il controllo di Milosevic). Risulta evidente quale sia stata l'abilita' strategica di Milosevic nell' approfittare della situazione di emergenza impellente, provocata dagli attacchi Nato, per imbrigliare i suoi principali avversari politici in un governo in stato di guerra ed impedire loro di porsi come valida alternativa a lui. [25]
A fronte di tutto cio' non e' difficile capire come e perche' l'opposizione non sia stata in grado di assumere posizioni efficaci, in quanto schiacciata dalla ventata di rinvigorito nazionalismo serbo.
In un clima tale l'unico soggetto contrappostosi alla linea politica di Belgrado e' stato il Montenegro, che, esplicitamente incoraggiato da Washington, ha ripetutamente tentato di riabilitare la propria immagine a livello internazionale, probabilmente anche per cercare di ottenere - a guerra finita - gli agognati finanziamenti per lo sviluppo, "premio" per una politica fondamentalmente anti - Milosevic.
Sull'onda della presa di posizione montenegrina anche Vojvodina e Sangiaccato si sono poi dissociati dalla politica serba antialbanese, la prima soprattutto perche' ancora ferita dalla perdita della propria autonomia (e percio' vicina ai problemi del Kosovo), il secondo per la paura di fondo di poter diventare l'eventuale capro espiatorio del nazionalismo serbo.
Alla fine del 1999 ,quindi, la situazione interna alla Repubblica Yugoslava risultava decisamente fragile e confusa, anche se:
"· Milosevic appariva ancora saldo al potere, nell'autismo politico di un paese che si preparava ad altri giorni drammatici."[26]
Per quanto riguarda l'ambito della politica internazionale le trattative diplomatiche svoltesi a Rambouillet [27] potrebbero, a ragion veduta, definirsi quanto meno un po' maldestre se non addirittura alquanto ambigue in alcuni passaggi:

  • Washington ha tentato di tenere ai margini del negoziato la Russia, con conseguente, nonche' prevedibile, sospetto da parte della Serbia verso gli intenti dei mediatori internazionali;
  • la Nato ha voluto agire nei territori in qualita' di forza di peacekeeping, al posto dell' Onu, influendo in modo ulteriormente negativo sullo stato d'animo di Belgrado;
  • si e' constatato un atteggiamento "eccessivamente amichevole" da parte del Segretario di stato americano Madeleine Albright nei confronti della delegazione albanese, compresi i rappresentanti del famigerato Uck.
Un contesto di questo tipo ha certamente contribuito a danneggiare la Serbia, spingendola a "· rinchiudersi in un frustrato vittimismo che l'ha ulteriormente isolata nel contesto internazionale, portando ad un nulla di fatto la mediazione diplomatica."[28]
In seguito ai bombardamenti Nato l'instabilita' dell'aerea balcanica e' poi andata in peggiorando, dal momento che in risposta agli attacchi aerei le forze di sicurezza serbe hanno espulso dal Kosovo circa 800.000 albanesi, distruggendo sistematicamente anche i villaggi. Cio' ha chiaramente provocato un incontrollato riversarsi di migliaia di profughi in Albania e Macedonia, mettendo a dura prova i loro fragili equilibri. Romania e Bulgaria hanno poi sofferto forti disagi ed indebolimenti dell'economia locale a causa della distruzione di alcuni ponti sul Danubio.
A fine guerra la messa sotto accusa del Presidente federale, da parte del Tribunale Internazionale dell'Aja, ha reso ancora piu' problematico il quadro diplomatico, dal momento che Milosevic non poteva piu' essere considerato come un valido interlocutore diplomatico.
Nonostante il fatto che il Kosovo sia stato dichiarato protettorato Onu, la comunita' internazionale non e' stata in grado di proteggere adeguatamente le minoranze serbe e rom dalla vendetta albanese, causando quindi un problematico esodo di massa di tali popolazioni dai territori in questione.
Spostando infine l'attenzione sulla RFY e' opportuno sottolineare come l'embargo abbia prodotto un isolamento della federazione dal resto della comunita' internazionale, congelando percio' la totalita' delle sue attivita' economico- commerciali.

Cenni socio - economici:

Ricollegandosi a quanto detto sopra riguardo all'arretratezza di tutta la regione balcanica nel post guerra, e' opportuno considerare qualche dato puramente quantitativo per cercare di inquadrare "tecnicamente" la situazione. Nel settembre 1999:

  • l'inflazione ha registrato un aumento del 45% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
  • la produzione industriale e' diminuita di circa 1/3;
  • le esportazioni hanno subito una decrescita del 52.8 % e le importazioni del 36.5%.
In realta' tutto cio' non dovrebbe stupire piu' di tanto se si tiene presente che i bombardamenti Nato sono stati studiati soprattutto per colpire le infrastrutture industriali, gli snodi delle principali vie di comunicazione e le fonti di approvvigionamento energetico. [29] I danni risultanti da tale strategia non sono certo stati di poco conto, senza dimenticare poi il fatto che la perdita del Kosovo, da parte della Serbia, ha comportato un'impossibilita' della stessa ad accedere alle risorse minerarie del luogo, precedentemente utilizzate sia sul piano delle operazioni economiche interne che delle esportazioni. In questo modo si e' verificata una ovvia contrazione dei settori dell'industria tradizionale serba: metallurgico, chimico e tessile.
Focalizzandosi piu' precisamente sui riflessi sociali dei problemi economici si riscontrano:
  • riduzione (o mancato pagamento, in toto) degli stipendi dei dipendenti pubblici;
  • disoccupazione dilagante (800.000 unita' coinvolte) e condizioni di vita del 60% della popolazione sotto la soglia di poverta';
  • forte presenza del welfare informale dell'economia sommersa, pari a circa il 40% del prodotto sociale del paese.
Per completare infine la bozza del quadro economico yugoslavo si consideri inoltre che l'adozione del Marco tedesco come valuta ufficiale da parte del Montenegro [30] e l'introduzione in Bosnia- Erzegovina del "Marco convertibile" (1998) hanno da parte loro contribuito ad indebolire la gia' malconcia economia della RFY.


1.2 Questione Kosovo: dai prodromi della guerra ai tentativi di ricostruzione economica.

Costituito come provincia autonoma all'interno della Repubblica di Serbia, con la riforma costituzionale del 1974, il Kosovo ha visto la sua autonomia cancellata dalla riforma costituzionale varata dallo Stato Federale nel 1990. [31] Gia' dopo la morte di Tito nella regione si erano succeduti diversi disordini quando, dopo il 1987, Milosevic legava il suo destino politico alla situazione dei serbi locali, discriminati dagli albanesi. Successivamente gli albanesi stessi subivano atti di discriminazione per mano dei serbi come allontanamento dai propri posti di lavoro pubblici, separazioni nelle scuole, etc · Alla perdita dell'autonomia amministrativa essi rispondevano con un referendum segreto, una dichiarazione d'indipendenza e l'elezione di Ibrahim Rugova [32] a Presidente del Kosovo. Non bisogna pero' tralasciare il fatto che agli antipodi della parte moderata esisteva (ed ancora esiste) l'Uck (Fronte di Liberazione albanese) frangia estremista che grazie ad un ricco arsenale - in parte fornito dall' Albania - combatteva e combatte per l'indipendenza della provincia, cercando di marginalizzare la Lega democratica.


1.2.1 Gestione delle relazioni internazionali ed intervento Nato.

Quando le capitali alleate hanno deciso di intervenire con la forza nella regione serba del Kosovo, nel marzo 1999, si sono trovate ad operare in una situazione di crisi istituzionale e sociale incancrenita da un ventennio circa.
Gia' dal 1992 il Presidente americano George Bush minacciava Belgrado di ricorrere alla forza se avesse attuato un intervento armato per reprimere le spinte autonomiste. Anche con l'amministrazione Clinton il discorso non cambiava e le preoccupazioni americane erano soprattutto in direzione di un dilagare di instabilita' regionale, dal Kosovo alla zona albanese e macedone.
All'indomani degli Accordi di Dayton (1995) [33] l'intensificarsi delle attivita' dell' Uck provocava una voluta progressione di reazioni serbe, studiata al fine di provocare il temuto attacco armato da parte dei paesi occidentali. [34] Se da una parte infatti in Occidente l'Uck era classificato come un'organizzazione terroristica, dall'altra l'abuso dei diritti della popolazione albanese esercitava una certa pressione politica. E' stato cosi' in seguito ad un periodo di intenso attivismo da entrambe le parti che dalle minacce si e' passati ad una dimostrazione di forza, [35] fino ad autorizzare "l'uso di ulteriori misure" [36] in caso di inosservanza delle precedenti direttive emanate da Belgrado. Il 23 settembre Belgrado ha accettato le prima il "cessate il fuoco" [37] per poi procedere ad una serie di ammissioni: [38]

  • internalizzazione della crisi;
  • ritiro degli armamenti pesanti dal Kosovo;
  • riduzione delle forze serbe e dei sorvoli sulla regione a scopo di ricognizione aerea;
  • dispiegamento di 2000 osservatori Osce [39] per il controllo del cessate il fuoco.
Il possibile uso della forza veniva gia' ribadito nell'ambito della piano di soluzione della crisi avanzata dai paesi occidentali al negoziato di Rambouillet (18 marzo 1999). [40] La proposta di accordo per il Kosovo, presentata dal Gruppo di Contatto ( Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Mosca, anche se al margine) prendeva forma in seguito alla presunta, [41] ennesima brutale repressione esercitata ad opera delle forze serba a Ra≠ak (15 gennaio 1999). Tale proposta prevedeva:
  • un periodo di tre anni di autonomia e la contemporanea ricerca di uno status finale per la ex provincia della Serbia;
  • dispiegamento di una forza Nato in Kosovo a garanzia del rispetto del cessate il fuoco e dell'autonomia;
  • accesso incondizionato per la Nato a tutto il territorio della RFY ed ai relativi spazi aerei e marittimi. [42]
Date le condizioni proposte a Rambouillet la delegazione internazionale vide contrapporsi il rifiuto di Belgrado all'accettazione dell' Uck (ormai legittimato a livello internazionale).
Esistono varie teorie sull'inaccettabilita' "costruita" di tale accordo, principalmente si ipotizza:
  • un piano occidentale preordinato;
  • un uso strumentale della vicenda del Kosovo per far approvare al vertice del cinquantenario del Trattato Nord Atlantico (aprile 1999) nuove regole sull' intervanto "fuori area" da parte di paesi occidentali, per propri interessi ed anche senza previa autorizzazione del Consiglio di sicurezza. [43]
Secondo Mario Zucconi:
"· l'alleanza scivolava nell'uso della forza piu' probabilmente per incapacita' di costruire una strategia sostenibile e fornita di mezzi opportuni - ed a sostegno di una credibilita' impegnata nel tentativo di tagliare i tempi e i costi di una politica di intervento nella crisi - che non per calcolo strumentale." [44]
Comunque sia il resto e' storia: il 18 marzo il trattato si chiudeva con un fallimento, il 20 si evacuava la Kosovo observation mission ed il 24 iniziava la prima fase di attacchi aerei sulla RFY. Rapidamente dissolta la speranza di concludere la guerra in pochi giorni di intensi bombardamenti i paesi alleati si sono trovati nella scomoda situazione di dover conciliare obiettivi politici fra loro contrastanti come il rispetto della sovranita' formale della Serbia, la protezione della multietnicita', la collaborazione con i quadri dell' Uck - contenendo la loro pressione - e non per ultime la difficile ricostruzione e la progressiva riduzione dell' impegno internazionale nell'area. [45]


1.2.2 Guerra umanitaria: "Bestialitπt und Humanitπt". [46]

Durante i giorni dei bombardamenti M. J. Glennon ha scritto un interessante articolo su Foreign Affairs dove sosteneva la necessita' di superare le vecchie regole contrarie all'intervento con la forza " a scopo di giustizia", in situazioni di conflitto civile interno, andando percio' oltre l'Art. 2 (7) [47] della Carta delle Nazioni Unite. [48] Se da una parte pero' l'autore californiano giustificava l'intervento Nato alla luce della sua alta moralita' ideale, dall'altro sottolineava l'urgenza di un nuovo ordinamento internazionale capace di fissare regole generali in proposito, impedendo cosi' all' interventismo umanitario di diventare "un' improvvisazione case by case ", [49] capace di procedere a briglia sciolta violando il vigente diritto internazionale.
Secondo M. Walzer l'obbligo di fermare i crimini con la forza delle armi - crimini come la pulizia etnica, in questo caso - rappresenta un "· vilipendio della coscienza umana · un dovere imperfetto " di tutti gli Stati, per cui l'intervento Nato e' stata una scelta moralmente ideale. [50]
J. Habermas, da parte sua, prende poi - non senza qualche vagheggiato dubbio - le difese della "guerra umanitaria " della Nato, interpretandola come un "· impegno militare volto a trasformare il diritto internazionale in diritto di cittadinanza universale · ". [51]
Esistono pero' diversi elementi che spingono a considerare l'intervento Nato come non - umanitario:

  1. nella prima fase dell'intervento armato, in cui lo scopo era principalmente quello di convincere la Serbia ad accettare la supervisione occidentale e concedere l'autonomia, la pianificazione di attacco puramente aerea (non terrestre) permetteva a Belgrado di anticipare i bombardamenti intervenendo sul territorio [52] di guerriglia contro l'Uck al fine di recuperare un controllo completo sulle zone lungo i confini albanesi e macedoni;
  2. dal momento che i Rapporti Nato [53] gia' prevedevano il chiaro intento di Milosevic di sbarazzarsi del problema della guerriglia "a qualsiasi costo" l'intervento occidentale sarebbe potuto e dovuto essere piu' cauto e puntuale;
  3. la strumentazione (aerea) utilizzata ha fatto si' che "· tutto questo sia stato raggiunto senza una singola perdita umana in combattimento per la Nato - un successo incredibile e senza precedenti per una operazione di queste dimensioni · " [54] recita un Rapporto ufficiale del Dipartimento della Difesa americano presentato al Congresso. Peccato che quella che e' stata una "guerra a rischio zero" per la Nato non si sia rivelata tale anche per chi in teoria avrebbe dovuto trarre beneficio dagli interventi stessi.
"·Un intervento umanitario, basato sul richiamo a standard universali di diritti umani, rappresenta un impegno verso una concezione di uguaglianza fondamentale di tutte le persone·una guerra a rischio zero per affermare i diritti umani e'·di fatto una contraddizione sul piano morale." [55]
Se la morte, la mutilazione o il ferimento di centinaia di persone o la distruzione dei loro beni [56] sono catalogati semplicemente come "effetti collaterali " di una guerra "idealmente giusta", a quale principio forte si potra' fare riferimento per distinguere nettamente la guerra moderna - a scopo umanitario - dal tanto temuto terrorismo internazionale?
Al di la' della questione della "umanita' " o meno dell'intervento Nato in Kosovo, esiste una corrente di pensiero che mette in dubbio addirittura la legittimita' [57] dell'ingerenza militare subita dalla Federazione Yugoslava, a livello di diritto internazionale. La Carta delle Nazioni Unite prevede infatti un'ipotesi di uso legittimo della forza solo nella circostanza in cui esista una minaccia accertata contro la pace o un atto di aggressione tali da necessitare l'uso della forza per ristabilire la sicurezza internazionale. L'unica eccezione a tale regola generale si trova all'art. 51 della Carta e prevede il diritto di "legittima difesa" (self defence), diritto per cui uno stato che venga aggredito da un altro stato, o da un gruppo di stati, puo' legittimamente reagire con l'uso della forza militare finche' il Consiglio di Sicurezza non prenda le misure atte a ripristinare la pace e l'ordine internazionale. Il caso specifico dell'intervento Nato in RFY non rientra in alcuna delle due ipotesi sopra citate, inoltre non si e' verificata l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ad usare la forza sotto il suo controllo. In questi termini dunque, l'attacco militare contro la RFY puo' corrispondere al nome di aggressione [58] nei confronti di uno Stato sovrano e membro delle Nazioni Unite. [59]
Perche' e' intervenuta la Nato invece della Nazioni Unite?
Secondo alcuni autorevoli studiosi dei Balcani, fra i quali il Prof. Stefano Bianchini, probabilmente perche' in questo modo si prevedeva di agire in modo piu' rapido, evitando qualsiasi complicazione e lentezza procedurale allo scopo di arrivare ad una quanto piu' veloce risoluzione della problematica questione Kosovo. Una scelta dettata quindi forse piu' da motivi di praticita' politica piuttosto che dalla dichiarata superiorita' dei valori difesi. Resta il fatto che l'esperienza della "guerra umanitaria" in Kosovo:
"· ha contribuito ad accelerare il processo di svuotamento dell'autorita' e delle funzioni delle Nazioni Unite·confinandole ad umilianti compiti di ratifica notarile di protocolli siglati altrove·" [60] e "·spingendole in un vicolo cieco del quale pochi sembrano finora essere consapevoli " [61]
Un altro punto da focalizzare riguarda l' incapacita' dei paesi occidentali di essere in grado di imporre una nuova regola, a guerra finita (al contrario di quanto accaduto a Rambuillet). I principali motivi di cio' potrebbero essere stati:
  • difficolta' a costruire mantenere la coesione tra gli alleati;
  • pressione del pubblico;
  • costi dell'operazione in termini di rapporti con Cina e Russia.
Tali elementi hanno senz'altro contribuito a metter i paesi Nato di fronte alla consapevolezza di dover scendere a compromessi pur di uscire dalla situazione in cui si trovavano. A questo punto e' chiaro come l'intervento internazionale contro la Serbia non doveva e non poteva creare alcun diritto nuovo. Qualunque avanzamento sia ricercato di un diritto che superi l'assolutezza del principio di non interferenza non puo' non passare attraverso una costruzione del consenso internazionale attorno al riconoscimento di tale esigenza ed alla nuova regola che si intende far passare. La radice del problema e' poi da recuperare all'inizio della crisi dei Balcani, quando l'incompetenza statunitense ed europea nella gestione della situazione era gia' evidente.
Secondo un certo filone di pensiero il ricorso alle bombe in Kosovo ha rappresentato piu' l'intento di risolvere rapidamente una questione che creava fastidiose pressioni politiche che un segno di volonta' di intervento decisivo del problema (con una vera strategia di gestione crisi, un avanzamento di nuove regole internazionali, etc.).
"·Il Kosovo ha, probabilmente, girato una pagina dei rapporti e delle regole internazionali del dopo guerra fredda. La nuova pagina, almeno per ora, risulta priva di qualsiasi scrittura." [62]

1.2.3 "Aiuti" internazionali per la ricostruzione economica in Kosovo.

La prima conferenza internazionale dei donatori, [63] valutando i danni subiti dal Kosovo durante la guerra in relazione alla quantita' di interventi necessari alla ricostruzione secondo i dati forniti dall'International Management Group, ha visto la notifica degli importi degli aiuti stimati dai donatori stessi: in totale le promesse di dono equivalevano a 2.08 miliardi di dollari. [64] La seconda conferenza [65] ha invece raccolto 1.05 miliardi di dollari, funzionali alla ricostruzione fino alla fine del 2000, cosi' ripartiti:

  • 970 milioni per il programma di ricostruzione e sviluppo presentato dalla Comunita' europea e dalla Banca mondiale;
  • 47 milioni per azioni a favore della costruzione della pace;
  • 18 milioni per l'aiuto umanitario.
La riflessione piu' immediata da formulare a proposito della pratica degli aiuti internazionali riguarda senza dubbio la grande complessita' del coordinamento fra le varie iniziative , la loro diversa natura ed i loro molteplici obiettivi. Andrea Segre' pone inoltre un accento critico sulla "· continua 'ripetizione' di assunti, condivisibili in teoria ma scarsamente applicabili in una realta' economica come quella kosovara ·" [66] riferendosi in specifico al "copia e incolla" operato sul programma della Banca Mondiale per il rilancio dell'economia rurale in Albania trasferendolo nella realta' del Kosovo. [67]
Un'interessante proposta per tentare di iniziare a risanare l'economia kosovara e' stata formulata dal governo italiano attraverso l'individuazione del modello Grameen Bank. [68] Il principio base della cosiddetta "banca del villaggio" consisterebbe nell'accordare fiducia - concretizzata in termini di prestiti monetari - a chi non ha alcuna garanzia da offrire, allo scopo di permettere a tali soggetti l'avviamento di una qualsivoglia attivita' imprenditoriale o artigiana.
Qual e', sinteticamente, il quadro teorico che definisce il microcredito?
"·In letteratura, per indicare il complesso di organizzazioni di appoggio finanziario, legali e formalizzate, che·erogano servizi in favore di settori di popolazione trascurati dalla finanza formale, si fa riferimento ai cosiddetti "sistemi di microfinanziamento", anche se spesso si utilizzano termini quali "microcredito", "sistemi finanziari decentralizzati"·. "istituzioni di microfinanziamento", "credito alle microimprese"·.in altre parole, spesso si accomunano patiche creditizie in favore di specifici target groups·" [69]
Al di la' delle svariate modalita' applicative di tali meccanismi creditizi, questi sistemi si caratterizzano per il comune obiettivo di recupero debiti ed incremento crediti. [70]
Secondo il Prof. A. Segre':
"·in una realta' come quella kosovara dove le attivita' del settore informale occupano una quota di lavoratori non agricoli abbastanza elevata (30 - 40 % dell'occupazione totale), la predisposizione di servizi finanziari e sociali che consentano da una parte la ricapitalizzazione dell'agricoltura e dall'altra la valorizzazione della creativita' e delle risorse umane disponibili nel settore informale, risulterebbe strategica nel tentativo di riaprire le prospettive di sviluppo in Kosovo." [71]

1.3 Speculazioni teoriche sulla natura della guerra.

Perche' gli Stati Uniti ed i loro alleati europei hanno deciso di fare guerra alla RFY? E quale significato si puo' ragionevolmente attribuire alla motivazione umanitaria? Qual e' stata la concreta posta in gioco della guerra e quale la sua reale natura? [72]

1.3.1 "Wer Menschheit sagt, will betrŸgen."

E' quanto ha scritto settant'anni fa Carl Schmitt, riprendendo una massima di Proudhon : "chi dice umanita' cerca di ingannarti". [73] Il riferimento corre veloce al tentativo di aggettivare la parola guerra come "umanitaria", nel chiaro intento di degradare moralmente l'avversario e parallelamente scuotere l'opinione pubblica mondiale fino a mobilitarla emotivamente al punto da poterla convincere del valore morale di un intervento bellico in una certa parte del mondo.
Analizzando lo stridente ossimoro "guerra umanitaria", si possono individuare almeno tre pretese [74] ad essa connesse:

  • la pretesa delle autorita' internazionali di opporre al particolarismo dei conflitti nazionalistici (balcanici) il proprio universalismo istituzionale;
  • la pretesa di particolari potenze o organizzazioni militari di utilizzare legittimamente la forza in difesa diritti fondamentali dell'uomo;
  • la pretesa di usare la guerra moderna come strumento giuridico valido a tutela dei diritti umani, riconosciuti come soggetti dell'ordinamento giuridico internazionale.
Detto cio', se da un lato iniziano a venir meno i sostegni per una credibilita' della motivazione umanitaria della guerra in Kosovo, dall'altro si potrebbe allargare il discorso andando a discutere altre eventuali ipotesi soggiacenti alla decisione degli Stati Uniti di entrare in guerra, altre interpretazioni "realistiche " [75] della guerra, insomma. Tra esse si potrebbero annoverare:
  1. ipotesi che intendono la guerra come epilogo della "questione d'Oriente", attraverso cui gli Stati Uniti hanno inteso affermare la loro superiorita' politico-militare sull'Europa;
  2. ipotesi che spiegano la guerra come conflitto economico per il controllo dei "corridoi balcanici" che collegano l'Europa all'area caucasica e caspica;
  3. ipotesi che concepiscono la guerra come tentativo e verifica dalla possibilita' di utilizzo della Nato come strumento di un "nuovo federalismo egemonico";
  4. ipotesi che guardano alla guerra e vedono una proiezione dell'egemonia atlantica verso l'intera regione euroasiatica. [76]
Tutte e quattro le ipotesi sottendono un assunto di fondo che intende i Balcani come una scacchiera su cui si gioca l'egemonia mondiale. [77]
Per quanto concerne l'ipotesi di "competizione" tra Stati Uniti ed Europa unita nella gestione della crisi balcanica il riferimento va alle teorie di Alain de Benoist e Charles Champetier, [78] secondo cui gli stati Uniti sono intervenuti al fine di creare un protettorato permanente in una zona geostrategica centrale dell'area balcanica al fine di poter operare come "gendarmi dei Balcani" da un lato, e con lo scopo di dividere l'Europa dall'altro, contrastando l'emergere di una potenza continentale in Eurasia.
Alcuni autori di riferimento per l'ipotesi del cosiddetto federalismo egemonico sono Zbigniew Brzezinski, Richard Haas e Samuel Huntington. Secondo il primo i Balcani sono un "arco di crisi " [79] non meno importante del Medio Oriente, in quanto in quei territori si scontrano le "linee di faglia " [80] fra cristianita' occidentale, mondo slavo- ortodosso ed Islam. Il potenziale esplosivo sarebbe inoltre accresciuto dal vuoto geopolitico lasciato dalla dissoluzione del sistema sovietico nella vasta area caucasica e transcaucasica - dove si gioca, fra l'altro, la cruciale questione delle risorse energetiche -. In una tale cornice gli Stati Uniti potrebbero presumibilmente temere il formarsi di un loro "nemico" in quelle lontane zone, da qui la volonta' di fare dell'Europa la "testa di ponte americana sul continente euro asiatico ". [81] Proseguendo su binari di ragionamento omologhi, Haas propone invece un modello di global sheriff, gestita dagli Stati Uniti, attraverso una rete di connessioni planetarie e con particolare attenzione alle relazioni che li legano a Nato ed Unione Europea. In parziale disaccordo con Haas, Huntington denuncia piuttosto gli Stati Uniti, nelle vesti di lonely superpower che imponendo spesso la sua global hegemony rischia di provocare gravi tensioni a livello mondiale. Sperimentata infatti l'esistenza e l'influenza di potenze subregionali che svolgono ruoli di grande importanza in Europa, nell'area euro- asiatica, nell'area del Pacifico, in America Latina, Asia Meridionale ed Africa, Huntington raccomanda piu' una sorta di "pratica egemonica multilaterale ", [82] finalizzata alla riduzione dei timori di piccole e medie potenze nei confronti dello "sceriffo globale". Tutti e tre gli autori possono quindi essere accomunati dall' ipotesi di un "federalismo egemonico" - puntato verso il presidio egemonico del continente euro- asiatico - che gli Stati Uniti starebbero sperimentando all'interno della "nuova Nato ". [83]
Infine, altro tema di particolare rilevanza e' senz'altro quello dei "corridoi" che da Oriente ad Occidente collegano il Mar Caspio ed il Caucaso al Mediterraneo, ai Balcani ed all'Europa meridionale. Tali "corridoi" sono considerati di vitale importanza da Europa, Stati Uniti, Russia ed Iran, come canali utili a far affluire le immense riserve petrolifere della regione [84] verso i paesi industrializzati. Molti studiosi credono che i "corridoi" saranno il fattore decisivo per disegnare la futura geoeconomia dell'intero continente euro - asiatico.
Secondo l'ipotesi al punto 2. il problema sarebbe riconducibile principalmente alla volonta' degli Stati Uniti di far passare i propri oleodotti in territori sicuri, [85] dipendenti o perlomeno controllabili da essi - escludendo percio' Iran e Russia - .
In questo quadro un grande rilievo e' assegnato al ruolo del "corridoio 8 " [86], finanziato dal Fondo Monetario Internazionale, dall'Unione Europea e dalla Francia, per la realizzazione di un asse est-ovest che parta dalla costa bulgara del Mar Nero, attraverso Macedonia ed Albania meridionale, per poi raggiungere l'Adriatico nei porti di Durazzo e Valona. Da qui risulta chiaro come l'area turco- balcanica non sia seconda al Medio Oriente a livello di connessioni cruciali con la strategia internazionale dell'accaparramento delle fonti energetiche. [87]
"·E questa strategia ha sempre visto le maggiori potenze industriali, in primis gli Stati Uniti, inclini all'uso della forza per garantire la sicurezza dei trasporti, per scongiurare i rischi di una limitazione dei flussi o per evitare un eccessivo aumento dei costi·.non si puo' dunque escludere che la componente economica - in particolare la competizione per il controllo dei "corridoi" - abbia avuto rilievo nell'indurre alla "guerra umanitaria" ." [88]

1.3.2 Kosovo: nuova guerra o "guerra spettacolo"?

Una cosa e' certa, la guerra in Kosovo si e' senza dubbio distaccata dal paradigma classico della guerra "moderna" tra Stati nazionali sovrani, cosi' come intesa da Karl von Clausewitz.
Secondo Ulrich Beck la guerra del Kosovo e' nuova perche' anticipa il modello delle guerre dell'era globale, in cui non si combatte piu' semplicemente per un interesse nazionale, dove bensi' si intrecciano le complesse variabili di etica e politica globale, dando vita ad un nuovo tipo di conflitto:
"· la guerra post-nazionale·specchio di un umanesimo militare, dell'intervento di potenze transnazionali che si muovono per far rispettare i diritti umani oltre i limiti dei confini nazionali·" [89]
A questo proposito Re'gis Debray parla invece di regressione morale e giuridica veicolata da questa guerra e dalla "·reintroduzione dell'idea che la guerra possa essere usata per la promozione di valori universali contro un avversario presentato come nemico del genere umano· " [90]
Qual e' l'origine di questo conflitto?
Mary Kaldor introduce un discorso estendibile a natura ed origini di tutti i conflitti esplosi in area balcanica (e non solo) nel corso degli anni novanta del secolo XX:
"·questi conflitti sono stati generati dalla contrapposizione fra una cultura cosmopolitica, fondata sui valori dell'inclusione, dell'universalismo e del multiculturalismo ed una politica di identita' basata sul particolarismo etnico- nazionale·" [91]
Entrando nello specifico, in Kosovo si sono verificate in parallelo due guerre simultanee:
"·c'e' stata la guerra di Milosevic contro gli albanesi del Kosovo·e c'e' stata la "guerra spettacolo" della Nato : un tipo di guerra la cui l'evoluzione puo' essere ricondotta all'idea di guerra immaginaria tipica della Guerra Fredda, alle guerre nelle Falkland ed in Iraq, ma anche alla "rivoluzione degli affari militari"·" [92]
Quella che e' definita da Mary Kaldor come "la guerra di Milosevic in Kosovo" corrisponde perfettamente alla tipologia di "nuova guerra" proposta dall'autrice stessa. Quali le principali caratteristiche?

componente nazionalistica il nazionalismo e' un tassello fondamentale del discorso. La storia del Kosovo e' caratterizzata dall'alternarsi di periodi di aperta ostilita' e solida collaborazione fra la popolazione serba ed albanese, a seconda dei momenti. L' ultima crisi e' da ricondursi all'esplosione ed al dilagare di sentimenti nazionalistici suscitata da Milosevic [93] negli anni ottanta. Alla revoca dell'autonomia del Kosovo (1989) sono seguiti innumerevoli atti di emarginazione e limitazione delle liberta' della popolazione albanese. Contemporaneamente i sentimenti nazionalistici sono cresciuti anche nei cuori dei kosovari albanesi che da una parte hanno proclamato l'indipendenza ed organizzato un sistema alternativo di servizi pubblici, mentre dall'altra hanno preso le armi (Uck). [94]
metodi di guerra la violenza e' stata esercitata soprattutto sui civili, utilizzando la strategia di controllo del territorio mediante la rimozione della popolazione . Quando, in seguito ai bombardamenti, la popolazione era indebolita e terrorizzata, intervenivano i paramilitari bruciando le case e distruggendo i simboli storici e culturali.
economia di guerra l'economia in Kosovo non ha mai goduto particolarmente di "buona salute" e dopo la revoca dell'autonomia la situazione e' rapidamente peggiorata: se la disoccupazione e' cresciuta circa del 50 % l'incremento dell'economia illegale non e' stata da meno.

L'altro versante di cui si e' parlato e' quello della "guerra spettacolo". Quale spettacolo? Quello televisivo, [95] per esempio. Una guerra partita sotto l'egida di bombardamenti aerei rapidi, asettici, "umanitari", non poteva convivere pacificamente con un eccessivo protrarsi del conflitto, senza peraltro, poter vantare successi evidenti. Fomentare l'opinione pubblica sull'urgenza di intervenire contro "stati criminali", sfamandola continuamente con immagini di profughi sofferenti e di bombe intelligenti era forse l'unica opzione sul tavolo: dimostrare la necessita' di una guerra "a costo zero".
Resta pero' il fatto che non sembra siano stati arrecati ingenti danni alla macchina militare yugoslava, chi invece ha subito maggiormente le conseguenze dei bombardamenti sono stati gli obiettivi civili: strade, ponti, centrali elettriche, depositi di carburante, fabbriche, etc...
Si potrebbe sempre obiettare che, alla fine, la Nato ha comunque vinto, Milosevic si e' infatti arreso ed i profughi albanesi sono potuti rientrare in Kosovo. A quale prezzo?
In corrispondenza del rientro dei profughi "salvati dalla guerra" si e' consumata la fuga di quelli "creati dalla guerra" ed indifesi di fronte ad un odio nazionalistico (stavolta tutto albanese) tutt' altro che assopito. [96]
Puo' forse tutto cio' conciliarsi con il nome di intervento umanitario?
Se per intervento umanitario si intende il tentativo - basato sul consenso, fondato nel rispetto del diritto e volto al sostegno della democrazia - di prevenire gravi violazioni dei diritti umani, creando le condizioni per favorire un assetto politico (piu' o meno stabile) ed un ambiente sicuro in cui le persone possano muoversi liberamente e senza paura ·fino a che punto sarebbe corretto parlare di intervento umanitario per quanto ha avuto luogo in Kosovo nel 1999?

Note:
18 Vedi (a cura di) S. Binchini e M. Dassu', Guida ai Paesi dell'Europa centrale orientale e balcanica, Ed. il Mulino, Roma, 2000, p.280.
19 Le percentuali riportate si riferiscono al censimento del 1991.
20 Cfr. S. Bianchini, La questione jugoslava, Giunti, Firenze, 1999.
21 Le cosiddette Province Illiriche risalgono all'epoca della dominazione napoleonica delle regioni costiere slavo- meridionali. Da qui prese il nome il movimento culturale denominato illirismo, ideale che funse da filo conduttore durante il periodo del Risorgimento yugoslavo, nell'arco dell' ottocento.
22 La Serbia ottenne l'indipendenza per prima, nel 1878, in occasione del Congresso di Berlino.
23 Soprattutto a partire dal 1974, quando la Costituzione fu cambiata per la quarta volta.
24 I bombardamenti Nato in RFY sono durati per 11 settimane, dal 24 marzo al 9 giugno1999.
25 Il tentativo di Draskovic di proporre un approccio moderato nelle trattative con la Nato venne prontamente stigmatizzato dal governo come tradimento della patria. Essendo poi escluso dal governo stesso, come diretta conseguenza dell'accaduto, il leader perse ogni eventuale possibilita' di esprimere le sue opinioni (anche grazie al controllo mediatico esercitato da Milosevic). Vedi a cura di) S. Binchini e M. Dassu', Guida ai Paesi dell'Europa centrale orientale e balcanica.Op. Cit, p.284.
26 Ibidem, p.284.
27 Vedi testo integrale in appendice a International Action Center, T. Di Francesco (a cura di), La Nato nei Balcani, Editori Riuniti, Roma, 1999, p. 99.
28 Ibidem, p.286.
29 Durante la guerra il problema dell' approvvigionamento energetico e' stato gestito, in una certa misura grazie agli aiuti provenienti da Cina e Russia.
30 Il riferimento temporale e' al settembre 1999.
31 Nel periodo precisato il rapporto tra popolazione serba ed albanese era stimato circa di 1 a 9 (su un totale di due milioni di persone)
32 I. Rugova, capo della Lega democratica del Kosovo (LdK) e sostenitore di una lotta politica attraverso metodi pacifici.
33 Accordi in cui la questione Kosovo era stata volutamente ignorata perche' ritenuta non troppo urgente rispetto alle altre e soprattutto molto problematica.
34 M. Zucconi, La crisi del Kosovo ed il suo impatto sulle relazioni internazionali, Op. cit., p. 56
35 15 giugno, primi sorvoli da parte di velivoli militari in territorio albanese e macedone, in prossimita' dei confini con la Serbia.
36 Risoluzione 1160, 31 marzo 1998.
37 "Cessate il fuoco" dettato dalla risoluzione 1199 del Consiglio di Sicurezza.
38 Cfr. accordo Holbrooke - Milosevic, ottobre 1998.
39 Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.
40 International Action Center, T. Di Franceso (a cura di), La Nato nei Balcani, Editori riuniti, Torino, 1999, p.99.
41 Vedi Parte II, cap. Media e guerra.
42 Spesso ci si riferisce a quest'ultimo punto come "la clausola assassina", a sottolineare l'evidente impossibilita' di accettazione da parte serba di una tale richiesta.
43 M. Mac Gwire, Why did we bomb Belgrade?, in "International Affairs", vol.76, n.1, gennaio 2000, p.14.
44 M. Zucconi, La crisi del Kosovo ed il suo impatto sulle relazioni internazionali, Op. cit, p.59
45 W. Drozdiak, Albright Sounds Alarm On Kosovo Troop Level, in "International Herald Tribune", 11-12 marzo 2000.
46 Vedi J. Habermas, Humanitat und Bestialitat, cit. in D. Zolo, Chi dice umanita'. Guerra, diritto e ordine globale, Einaudi Ed. , Torino, 2000, p.89.
47 L'art. 2 della Carta delle Nazioni Unite vieta l'uso della forza contro l'integrita' e l'indipendenza politica di uno stato e vieta anche la minaccia dell'uso della forza. Inoltre la Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati (1969) vieta il ricorso alla minaccia per indurre uno stato a sottoscrivere un accordo internazionale.
48 M. J. Glennon, The new Internationalism, in "Foreign Affairs", vol. 78 n.3 (maggio/giugno 1999)
49 D. Zolo, Chi dice umanita'. Guerra, diritto e ordine globale, Op. Cit. , pp. 90-91.
50 M. Walzer, Le refuse de faire la guerre se re've'le souvent plus couteux que la guerre elle-meme, in "Le Monde", 10 maggio 1999.
51 D. Zolo, Chi dice umanita'. Guerra, diritto e ordine globale, Op. Cit. , pp. 98.
52 M. Kaldor, Le nuove guerre. La violenza organizzata nell'eta' globale, Carocci editore, Roma, 1999, p.174.
53 George Tenet, Direttore della Cia, aveva dichiarato di fronte alla Commissione Forze armate del Senato americano (02 febbraio 1999) che avrebbe avuto luogo una crisi umanitaria peggiore di quella del 1998. Cit da C. R. Whitnay, E. Schmitt, Bombing Second- Guessed, in "International Herald Tribune", 2 aprile 1999.
54 U. S. Dept. Of Defense, Kosovo/operation Allied Force, cit., p.xiii.
55 Cit. da P. W. Kahn, War and Sacrifice in Kosovo, Report, Institute for Philisophy and Public Policy, Maryland School of Public Affaire, College Park, Md, summer 1999.
56 D. Zolo, Chi dice umanita'. Guerra, diritto e ordine globale, Op. Cit. , pp. 114-115.
57 B. Simma, Nato, the U.N. and the Use of Force: Legal Aspects, in "European Journal of International Law", 10 (1999), I, p. 16.
58 Il Tribunale penale internazionale per la ex Yugoslavia non e' interventuto in proposito, essendo le sue competenze limitate al giudizio dei comportamenti dei belligeranti (ius in bello) e non dei motivi per cui si e' iniziato a combattere (ius ad bellum).
59 A. Cassese, Ex iniuria ius oritur: Are We Moving towards International Legitimation of forcible Humanitarian Countermeasures in the World Community?, In "European Journal of International Law", 10 (1999), I, pp. 23-25. I. Charney , Anticipatory Humanitarian Intervention In Kosovo, in "American Journal Of International Law", 93 (1999), 4, pp.83-84 segg.
60 D. Zolo, Chi dice umanita'. Guerra, diritto e ordine globale, Op. Cit. , pp.102-103.
61 A. Baldassarre, Ma non puo' esserci la polizia nel mondo, in "Reset", (1999), 57, pp.72-74.
62 M. Zucconi, La crisi del Kosovo e il suo impatto sulle relazioni internazionali, Op. Cit., p.64.
63 La prima conferenza internazionale dei donatori si e' tenuta a Bruxelles, 28 luglio 1999.
64 A. Segre', Programmi e strumenti della comunita' internazionale per la ricostruzione economica del Kosovo: il ruolo dei donatori, in S. Binchini e M. Dassu' (a cura di), Guida ai Paesi dell'Europa centrale orientale e balcanica, Op. Cit., p. 93.
65 La seconda conferenza internazionale dei donatori si e' tenuta a Bruxelles, 17 novembre 1999.
66 Ibidem, p. 94
67 La realta' rurale kosovara e' caratterizzata dalla presenza di micro fondi parcellizzati, sotto- capitalizzati, sovra occupati e fondamentalmente orientati all'autoconsumo.
68 M. Yunus, A. Jolis, Banekr to the poor. The Autobiography of Muhammed Yunus of the Grameen Bank, Aurum press, 1998.
69 A. Segre', Programmi e strumenti della comunita' internazionale per la ricostruzione economica del Kosovo: il ruolo dei donatori, Op. Cit, p.96.
70 R. Lupone, Microfinanza e poverta': evidenze di un'analisi di impatto, Progetto di tesi di dottorato in politica ed economia dei paesi di sviluppo, Universita' di Firenze, marzo 1999.
71 A. Segre', Programmi e strumenti della comunita' internazionale per la ricostruzione economica del Kosovo: il ruolo dei donatori, Op. Cit, p. 97.
72 D. Zolo, Chi dice umanita'. Guerra, diritto e ordine globale, Op. Cit p. 41
73 Vedi C.Schmitt, Begriff des Politischen, Walther Rothschild, Berlin-Grunewald, 1928 (trad. in Le categorie del "politico", il Mulino, Bologna, 1972, p.139) . Cfr. D. Zolo, Chi dice umanita'. Guerra, diritto e ordine globale, Op. Cit. , p.44.
74 Ibidem, p.24.
75 Ibidem, p.65.
76 Z. Brzezinski, The Grand Chessboard, Basic Books, New York, 1997.
77 D. Zolo, Chi dice umanita'. Guerra, diritto e ordine globale, Op. Cit , p.51
78 C. Champetier, Una guerra contro l'Europa, in "Diorama letterario", 20 (1999), 9, pp. 10-14.
79 Cfr. F.S. Larrabee, R. D. Asmus, R. L. Kluger, Building a new Nato, in "Foreign Affairs", 72, (1993), 5.
80 S. Huntington, The clash of civilization and the Remarking of World order, trad. it. S. Minucci (a cura di) Lo scontro delle civilta' e il nuovo ordine mondiale, Garzanti Editore, Milano, 2001, pp.56-79.
81 D. Zolo, Chi dice umanita'. Guerra, diritto e ordine globale, Op. Cit , p.56
82 S. Huntington, The Lonely Superpower, in "Foreign Affairs", 78 (1999), 2.
83 S. Concetto ripreso in un'abbondante letteratura sulla Nato ed i suoi recenti cambiamenti. Cfr H. Scheer, L'irresistibile ascesa della Nato, in T. Di Francesco (a cura di) La Nato nei Balcani, Op. Cit.; L. Sorel, Il nuovo atlantismo contro L'Europa, in "Diorama letterario", 20 (1999), pp.26-29.; S. Silvestri, Nato, La sfida delle incertezze, in aa.vv. La guerra e la pace, Op.cit.; A . Cagiati, La nuova Alleanza Atlantica, in "Rivista di studi politici internazionali", 66 (1999), 3, pp.339-47; et al.
84 Le riserve petrolifere di queste zone sono stimate ad un livello circa equivalente a quelle del Golfo Persico.
85 Da qui le particolari attenzioni diplomatiche della Nato verso la Turchia.
86 Altre direttrici importanti sono il "corridoio 5" che dovrebbe collegare il porto di Ancona con quello di Ploce (Bosnia) per poi raggiungere l'Ungheria ed il "corridoio 10" che dovrebbe passare da Germania ed Austria - passando per Zagabria, Belgrado e Skopie - fino ad sarrivare al porto greco di Salonicco. cfr A. Negri, Alle radici della violenza, in aa. vv. , La pace e la guerra. I Balcani in cerca di futuro, Il sole 24 Ore, Milano, 1999.
87 Cfr. € 2.4, p.46
88 D. Zolo, Chi dice umanita'. Guerra, diritto e ordine globale, Op. Cit , pp. 54-55.
89 Cfr. U. Beck, Der militπrische Euro. Humanismus und europπische Identitπt, in " SŸddeutsche Zeitung", 10 aprile 1999; U. Beck, Der militπrische Pazifismus. †ber den post - nazionalen Krieg, in " SŸddeutsche Zeitung", 19 aprile 1999.
90 R. Debray, Croire, voir, faire, Editions Odile Jacob, Paris, 1999, trad. it L'Europa sonnambula, Asefi, Milano, 1999.
91 M. Kaldor, Le nuove guerre. La violenza organizzata nell'eta' globale, Op. cit, pp.11-23, 83-105, 125-127.
92 Ibidem, p. 173.
93 Elementi importanti di propaganda in questo senso sono stati la posizione della minoranza serba in Kosovo e l'insistenza sull'importanza religiosa del Kosovo per la nazione serba.
94 L' UCK (Esercito di liberazione del Kosovo) trae origine dall'LPK (Levizja Popullare e Kosoves), un partito formatosi tra i gruppi della diaspora che si presentava come un'organizzazione leninista e che si ispirava al leader albanese Enver Hoxha. A partire dal 1998 l'UCK e' diventato una forza di particolare importanza politica in Kosovo.
95 E. Remondino, La televisione va alla guerra, Roma, Rai-Eri, Milano, Sperling & Kupfer, 2002.
96 N. Chomsky, The New Military Humanism. Lessons from Kosovo, Pluto Press, London, 1999.

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