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Nemo propheta in patria

23 dicembre 2008

«Nei tre anni avremo 30 milioni di euro che, giustamente, vanno a risarcire le vittime dell'uranio e delle nanoparticelle» così si esprime il ministro La Russa dando il via all’applicazione del dispositivo emanato dal precedente governo a titolo di indennizzo per i militari uccisi o fatti ammalare gravemente dall’uranio impoverito e più in generale dalle nanopolveri. Per decenni i familiari delle vittime hanno lottato in proprio e/o costituendosi in associazioni affinchè venisse riconosciuta la piaga del DU e a poco serve l’avverbio ‘giustamente’ se di giusto, umanamente parlando, pare ci sia assai poco a giudicare e dal quantum stanziato, insufficiente dato l’elevato numero di vittime (l’Osservatorio Militare parla di almeno 166 morti e più di 2.500 ammalati) e dal lassismo e pressapochismo con cui si affrontrano studi e ricerche scientifiche legati alle patologie da nanopolveri.  Nemo propheta in patria
A Roma il 17 dicembre scorso l’Istituto superiore di sanità ha indetto una giornata di studio internazionale sull’uranio impoverito, ma nessuna fonte d’informazione ha ritenuto di comunicarci di che si sia parlato, eppure molti Stati del pianeta si preoccupano al punto tale che l’assemblea generale Onu ha approvato per la seconda volta e a grande maggioranza risoluzione volta a che le sue agenzie ridefiniscano le proprie posizioni riguardo ai micidiali effetti del DU sulla salute umana e sull’ambiente e perciò siamo interessati agli studi che si stanno facendo specie quelli indetti da autorevoli istituzioni. Intanto rileviamo che il prof. Massimo Zucchetti, docente di ingegneria nucleare al Politecnico di Torino, autore di ricca bibliografia proprio sull’uranio impoverito, utilizzata peraltro dall’ultima commissione d’inchiesta, non è stato invitato a partecipare e gli è stato pure negato, così come ad altri colleghi, un piccolo spazio da lui richiesto, con la giustificazione che gli inviti erano rivolti solo a ospiti internazionali -salvo poi gli organizzatori aver presentato e fatto parlare alcuni ricercatori italiani- Buona norma nei convegni, specie quelli di considerevole portata, è organizzare qualche mese prima dell’evento una raccolta di studi e chiunque desideri parteciparvi inoltra una sintesi del proprio lavoro che viene poi valutato da un comitato scientifico, nel nostro caso così non è stato e gli ospiti sono stati scelti con un criterio non ben identificabile e infatti, secondo Zucchetti, quegli studiosi hanno rivelato per lo più un approccio negazionista verso i rischi del DU, salvo rare eccezioni e tra queste il dott. Petitot, radiobiologo francese che ha invece presentato risultati molto evidenti sulla pericolosità del DU con esperimenti in vivo. Non ci nasconde il suo profondo disagio riferendo alcuni esempi di relazioni macroscopicamente unidirezionali e assai carenti di documentazione probatoria o d’analisi approfondite e cita alcuni esempi:”una dottoressa americana pretende di aver svolto un’indagine significativa solo per aver monitorato una trentina di soldati della guerra del golfo con schegge di DU in corpo, questa procedura appartiene a una trita ricerca, obsoleta, ampiamente superata da innumerevoli altre e su numeri ben più significativi. Un epidemiologo inglese presenta risultati da un’indagine sulla salute dei soldati inglesi andati nel golfo, salvo poi ammettere candidamente -ma solo perché da me sollecitato- che la ricerca non era rivolta all’esposizione a DU e quindi ai fini della giornata indetta apposta era decisamente irrilevante. E ancora, un’altra scienziata statunitense presenta studi a seguito d’esposizione ottenuta durante prove militari su carrarmati incendiati, buoni forse per una fiction o per palesare un chiaro esempio di ricerca “embedded”, certo non per descrivere un autentico scenario bellico e infatti quando sono riuscito a chiederle di parlare di cosa avviene con gli aerei A10 e Bunker Buster non mi ha risposto.Verso la conclusione un sedicente scienziato indipendente dell’Iaea ha riferito di una lettera inviata all’Onu dove si afferma che l’uranio impoverito non è pericoloso e le popolazioni possono stare sicure, è certamente una lettera che concede un bel respiro di sollievo ai mercanti d’armi, ma è un evidente controsenso che va a cozzare contro le due risoluzioni sottoscritte all’Onu per l’esatto contrario.”

A fronte di studi e analisi scientifiche di questo genere ci chiediamo come vengano investiti i fondi ricevuti dal ministero della sanità volti a finanziare la ricerca bibliografica sulla letteratura del DU e le sue conseguenze, compresa quella letteratura non pubblicata su riviste internazionali, Zucchetti ci risponde che lo ignora, ma è al corente che l’istituto superiore di sanità ha escluso circa 100 studi eseguiti e condotti da scienziati iracheni pubblicati tra il 1991 e il 2002, lavori che a suo parere contengono dati assolutamente attendibili e dimostrabili. Informatosi del motivo ha ottenuto come risposta che molti di quelli erano scritti in arabo. Delle due l’una: o il nostro Paese non possiede traduttori dall’arabo o gli scienziati di quei Paesi li consideriamo scarsamente attendibili, il che ci mortifica comunque tenuto conto che Zucchetti si trovava a Roma perché rientrato dal convegno biennale dell’Arab Nuclear Society tenutosi a Beirut che raccoglie tutti gli stati arabi dal Marocco all’Iraq e il professore italiano è stato invitato dal presidente affinché esponesse i suoi studi sul DU. Loro hanno trovato i traduttori ed evidentemente ripongono molta fiducia nei nostri scienziati.

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