Riconosciuto il nesso di causalità tra cancro e uranio impoverito
Una sentenza che farà storia è stata emessa dal tribunale di Firenze: il ministero della Difesa italiano dovrà risarcire con 545.061 euro Gianbattista Marica, paracadutista impegnato in Somalia, nella campagna Ibis, per otto mesi, dal dicembre 1992 al luglio 93.
Marica è un ex militare italiano malato di tumore. La sentenza è importante non soltanto per l'entità del risarcimento, ma perchè afferma un principio importante: il nesso di causalità tra la presenza di uranio impoverito e la patologia del militare.
Nel provvedimento giudiziario, datato 17 dicembre 2008, (ma diffuso ieri da Falco Accame, presidente dell'Anavafaf, un'associazione che assiste le vittime arruolate nelle Forze armate, cui lo stesso Marica si era rivolto nel 2001 per rendere pubblico il suo caso), viene riportato il parere di un consulente tecnico che sostiene l'esistenza di un nesso di causalità tra il Linfoma di Hodgkin (la malattia dal militare, ora in fase di «remissione definitiva») e l'esposizione all'uranio impoverito.
L'esperto, nominato dal tribunale, sostiene innanzitutto che le conclusioni dell'indagine scientifica della Commissione Mandelli, secondo cui tale nesso non può essere accertato, «sono destituite di fondamento per l'erronea procedura di ricerca utilizzata». Poi passa all'esame delle responsabilità: il ministero della Difesa - sostengono i giudici nella motivazione della sentenza che da ieri è pubblica e reperibile in internet - non ha disposto l'adozione di adeguate misure protettive per i partecipanti alla missione in Somalia, nonostante fosse «sotto gli occhi dell'opinione pubblica internazionale la pericolosità specifica di quel teatro di guerra, e nonostante l'adozione da parte di altri contingenti di misure di prevenzione particolari». Secondo i giudici, «al di là delle raccomandazioni che erano o dovevano essere note al ministero, il fatto che ai militari americani fosse imposta l'adozione di particolari protezioni, anche in mancanza di ulteriori conoscenze, doveva allertare le autorità italiane».
In ogni caso c'è stato da parte del Ministero «un atteggiamento non ispirato ai principi di cautela e responsabilità da parte del ministero della Difesa, consistito nell'aver ignorato le informazioni in suo possesso, già da lungo tempo, circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione e i pericoli per la salute dei soldati collegati all'utilizzo di tale metallo; nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei propri militari e nell'aver ignorato le cautele adottate da altri Paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l'adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani».
«Marica denunciò subito il fatto che i militari Usa in Somalia, anche a 40 gradi all'ombra, operavano con tute, maschere, guanti e occhiali, mentre i soldati italiani erano in calzoncini corti e canottiera» afferma Accame, che parla di sentenza storica e ricorda che «i reparti italiani non seppero del pericolo che il 22 novembre 1999, quando apparvero le norme di protezione destinate ai militari nei Balcani».
Accame si pone un altro quesito: «la sentenza è del 17 dicembre scorso. Proprio il giorno successivo il ministro La Russa in una conferenza stampa ha annunciato di aver stanziato 30 milioni di euro "per le vittime dell'uranio impoverito e delle nanopatologie". Che sia un caso? O il ministro ha voluto mostrare un atteggiamento collaborativo data la sentenza appena emessa? In ogni caso - conclude Accame - accogliamo con gioia questo risultato».
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