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Genesi del complesso militare industriale in Italia: dai colossi IRI ed EFIM a Finmeccanica

8 febbraio 2009
Rossana De Simone (ex lavoratrice Aermacchi, delegata sindacale CUB)

L’industria militare italiana ha attraversato alla fine degli anni ottanta uno stato di crisi determinato dal calo della domanda e quindi della produzione. La crisi del mercato si era inserita in un contesto di concentrazione e razionalizzazione di un settore caratterizzato da distorsioni ed inefficienze. Numerose aziende avviarono piani di ristrutturazione e riduzione del personale il cui impatto sociale fu attenuato solo grazie al ricorso di misure straordinarie di cassa integrazione e pensionamento anticipato. Il SIPRI stimò la cancellazione in Europa di 500 mila posti di lavoro sul totale di un milione e 500 mila occupati. L’intenso processo di ristrutturazione produttiva intrapreso inizialmente dagli Stati Uniti prevedeva un riassetto proprietario delle industrie e un cambiamento del ruolo dello Stato. Alla base vi era la ridefinizione del Modello di Difesa discusso nel Parlamento italiano alla fine della guerra fredda in cui si assumeva che “la politica militare è una componente essenziale della politica di sicurezza di ogni paese. La politica della difesa altro non è che la difesa della politica”. Il nuovo orizzonte culturale della Difesa attorno al concetto di “gestione delle crisi” prevedeva che l’industria militare della difesa si ricostruisse attorno ad un unico soggetto industriale, Finmeccanica, capace di integrarsi tramite accordi sovranazionali, nel processo di consolidamento dell’industria aerospaziale e della difesa a livello europeo, pur mantenendo le storiche collaborazioni con l’industria americana. La strategia che Finmeccanica sviluppò fu quella di trasformarsi in holding industriale dando ai vari settori di attività autonomia e responsabilità industriale da compiersi attraverso dismissioni di attività non rientranti nel core business, e di dotarsi di una nuova organizzazione del lavoro capace di garantire una flessibilità maggiore fra le grandi aziende e le piccole Medie Aziende, il mercato dei subfornitori, Istituti di Ricerca e Università. In questo nuovo contesto lo Stato ha assunto e assumerà sempre di più, un ruolo fondamentale per la creazione di reti capaci di coniugare l’accumulazione di sapere con quella di realizzare sistemi e competenze, attraverso l’affermazione di una cultura della multisettorialità.
Il livello raggiunto dalle multinazionali degli armamenti grazie alla potente capacità di costruire lobby in ambito europeo e mondiale, oggi si combina con la necessità di inventarsi scenari futuri agendo non solo nel campo operativo, ma anche in quello semantico, e tutto questo nel pieno di una crisi economica che rilancia proprio lo sviluppo delle tecnologie belliche.

Nel Libro bianco della difesa redatto dal Ministero della Difesa nel 1977 si poteva leggere che le industrie interessate alla produzione militare erano 150 ed occupavano complessivamente 150.000 dipendenti. Il valore di affari trattati con l’estero ammontava a 2.350 miliardi contro i 2.950 miliardi costituenti il bilancio della Difesa. In quel periodo l’industria italiana cominciava a sviluppare rapporti autonomi di collaborazione con imprese europee in ambito NATO, mentre precedentemente la produzione avveniva su licenza estera esclusivamente con aziende USA e in misura minore britanniche e svizzere. Una struttura fondamentale al suo sviluppo fu il Poligono di Perdasdefogu (poi battezzato “Quirra”) in quanto luogo incaricato delle prove e collaudi su materiali di armamento, razzi, missili e sperimentazioni di volo della vicina base di Decimomannu. Con il missile contraereo Raytheon HAWK si creò una apposita agenzia di gestione, la NATO HAWK, che comprendeva aziende quali Nuova San Giorgio, Oto Melara e SIGME, (una joint venture paritaria tra BPD, Fiat e Finmeccanica), consorzi industriali per i missili (la SETEL di cui l’Italia attraverso Finmeccanica deteneva il 18,8%) e per motori (l’Aerochemie, joint venture paritaria italo-tedesca). Nel 1967 vi fu il doppio lancio dei missili Nike-Ajax e quelli balistici Honest John sostituiti in seguito dagli HAWK. Il programma HAWK fu una tappa importante per lo sviluppo di competenze missilistiche per l’industria elettronica italiana (Industrie Elettroniche S.p.A). La contiguità fra tecnica missilistica scientifica e quella militare venne suggellata da ingegneri e fisici quali Broglio e Amaldi, aziende Fiat, Aeritalia, Fincantieri e centri di ricerca come il CNEN. Quello di Casaccia sviluppò due tonnellate di uranio arricchito comprato dalla Francia per il reattore Rospo a seguito di un progetto che prevedeva la costruzione di una nave a propulsione atomica, la Enrico Fermi, e il coinvolgimento della Marina, della Fiat e di Fincantieri. Sia questo programma sia quello Alpha, missile lanciato nel 1975 dal PISQ, furono abbandonati anche a seguito della firma italiana al Trattato di non proliferazione del 1975. Alpha, HAWK, Nike e Sperimentale sono i nomi delle quattro zone di lancio usate tuttora per attività prevalentemente missilistiche. Nel campo spaziale Salto di Quirra ebbe un ruolo nell’ingresso dell’Europa nello spazio attraverso le convenzioni ESRO (European Space Research Organisation) ed ELDO (European Launcher Development Organisation), istituite appositamente per la ricerca scientifica in questo ambito. Alla produzione del primo razzo Europa I partecipò la Fiat per quanto riguarda gli scudi termici, mentre alcune aziende nazionali realizzarono altri particolari. Dalla fusione di ESRO e ELDO nacque l’ESA (Agenzia spaziale europea). Attualmente in Sardegna e precisamente a Decimomannu, Alenia Aeronautica possiede un proprio Distaccamento Sperimentale che è parte integrante del Dipartimento Prove Volo di Caselle Torino. E’ probabile che proprio l’area circostante il Poligono di Perdasdefogu venga prescelta per sviluppare la sperimentazione degli aerei a pilotaggio remoto UAV e UCAV da combattimento. Alenia allora Aeritalia (ala fissa) insieme ad Agusta (ala rotante) dominava il settore aeronautico, ed entrambe appartenevano alle Partecipazioni Statali, una all’Iri e l’altra all’Efim. La Società Finanziaria meccanica Finmeccanica (Iri) rimaneva ai margini in quanto controllava poche aziende. IRI ed EFIM erano gruppi pubblici fortemente condizionati da partiti e coalizioni di governo (area democristiana e aerea socialista) e si muovevano in alcuni casi in concorrenza l’uno nei confronti dell’altro. La situazione delle proprietà delle aziende militari si divideva in due settori, pubblico con IRI ed EFIM e privato con Montedison, Fiat e un gruppo significativo di piccole e medie aziende specializzate. La differenza fra le aziende delle Partecipazioni statali consisteva nel numero di addetti al “militare”, Iri ne occupava 18300, Efim 11500 mentre, per quanto riguarda il fatturato militare, Efim presentava 760 milioni contro i 550 dell’Iri. Questo era dovuto al fatto che l’incidenza delle lavorazioni militari nell’Iri era quantitativamente marginale, 3,8%, mentre per Efim rappresentava il 28,4%. La spesa per l’acquisto di armi ed equipaggiamenti da parte del Ministero della Difesa veniva sostenuta da pratiche protezionistiche in quanto concepite anche in chiave di utilità economica. Sarà il 1992 l’anno della svolta di Finmeccanica con l’entrata nel listino ufficiale del mercato azionario e con la denominazione sociale di Finmeccanica S.p.A., ma è nel 1994 che fecero ingresso in Finmeccanica le società della Difesa a capo dell’Efim in liquidazione. Nel gruppo si concentrarono oltre il 70% delle capacità industriali nazionali per l’aerospazio e la difesa. La scelta di Finmeccanica da parte del governo come Gruppo più adatto a rappresentare il polo nazionale del settore veniva motivata dall’alta qualificazione tecnologica, dalla sua già rilevante presenza nel settore, e dalla sua esperienza nel gestire accordi con partner internazionali. Nel periodo che segue passa da holding finanziaria a holding industriale con la creazione di varie joint venture paritarie. Le attività, prima organizzate come divisioni, furono riaggregate in società operative omogenee e coerenti con la strategia di sviluppo internazionale, lasciando a Finmeccanica le funzioni di indirizzo e controllo strategico e industriale. Nel 2000 l’Iri collocò sul mercato la quasi totalità della sua partecipazione in Finmeccanica per un controvalore di oltre 5 miliardi di euro, riducendo così la presenza pubblica nel capitale Finmeccanica, la parte rimanente resta sul mercato suddivisa tra pubblico indistinto e investitori italiani e soprattutto esteri. Questo processo di privatizzazione ha portato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a diventare il principale azionista con una quota pari al 32,45% della società. Questa partecipazione è soggetta alla disciplina dettata dal D.P.C.M del 28 settembre 1999 secondo la quale tale quota non può scendere al di sotto della soglia minima del 30% del capitale sociale. Nessun altro azionista può detenere una quota del capitale di Finmeccanica superiore al 3 per cento senza l’approvazione del Ministero, e questo per garantire la rispondenza degli indirizzi strategici che perseguono interessi nazionali. Gli azionisti che compongono il capitale finanziario attraverso fondi sono banche e società finanziarie e di investimento che, viste in proporzione, sono prevalentemente americane ed europee. Le due società con pacchetto azionario voluminoso sono la Goldman Sachs, una delle principali banche d’affari americana e la Capital Group Companies, un gestore di fondi comuni. Dunque il governo rappresenta il principale interlocutore dal lato della domanda e dell’offerta e, come regolatore, stabilisce le norme per l’esportazione, controlla i processi di acquisizione e fusione e interviene in casi di accordi per la produzione di progetti internazionali. I quattro gruppi maggiori europei sono EADS, Bae Systems e Thales oltre che Finmeccanica, negli Stati Uniti Boeing e Lockheed Martin. Per quanto riguarda il settore della Difesa e sicurezza Finmeccanica da sola sviluppa l’80% delle attività seguita dai gruppi Fincantieri e Iveco. La società è una delle tre multinazionali italiane con presenza dell’azionista pubblico insieme a Eni e Fincantieri (Enel non viene considerata multinazionale perché la componente estera è inferiore al 10% del fatturato). Il numero complessivo degli occupati delle tre società è di 133.368 unità pari al 21,3% su totale Paese, il totale delle attività (escluse le attività immateriali) in milioni di euro è di 97.909 pari al 38.3%, le vendite pari a 86.883 milioni di euro il 39,3% su totale Paese. (Multinational: Financial Aggregates 2006). Il gruppo italiano viene collocato al terzo posto in Europa tra le società operanti nei settori dell’Aerospazio, della difesa e della sicurezza. Ha sede in Italia ma ha una base industriale nel Regno Unito con 9000 addetti, 3000 in Francia, 1500 negli Stati Uniti e aziende in Canada, Argentina, Brasile, Algeria, Zahana, Russia, Turchia, Cina, Arabia Saudita e Australia. Da sola dichiarava il 12 settembre 2007 un utile netto pari a 177 milioni di euro, un portafogli ordini pari a 36245 milioni di euro e un numero totale di addetti pari 59443 unità. Sempre nello studio sopra citato si rileva che per quanto riguarda le spese in Ricerca e Sviluppo per intensità tecnologica, troviamo al primo posto le multinazionali farmaceutiche elvetiche, mentre in Italia è Finmeccanica la prima multinazionale con la più elevata incidenza (15,9%) nel settore HT davanti alle britanniche Bae Systems (13,1%) e Rolls-Royce (10%). Nel comparto aerospaziale e della difesa, in base al fatturato, viene superata dalla statunitense Boeing, l’europea EADS e a seguire Lockheed Martin, Honeywell International, Raytheon e General Dynamics. Le spese in R&D delle società americane salgono dal 2,9% al 10% se alle spese sostenute direttamente dalle società si aggiungono quelle rimborsate dal Governo degli Stati Uniti. L’aumento progressivo della spesa mondiale per la difesa potrebbe arrivare nel 2011 ad una cifra di circa 1.299 miliardi di dollari, in particolare per la Ricerca & Sviluppo sono previsti investimenti pari a 105 miliardi di dollari. Negli anni ’80 il costo sempre più elevato di sistemi d’arma sofisticati e la riduzione dei budget militari, ha favorito l’eliminazione delle barriere fra industrie commerciali e militari e la crescita di una capacità industriale integrata. L’apertura ormai consolidata fra i due settori, resa possibile grazie allo sviluppo delle tecnologie duali, sposta il settore della difesa verso un sistema in cui prevalgono le logiche dell’economia di mercato per cui il fattore critico è dato dal prezzo. La perdita di una parte della sovranità nazionale con la creazione di Società Trasnazionali per la Difesa (STD), significa per l’Italia la necessità di tutelare gli interessi nazionali attraverso una politica istituzionale capace di fornire i punti di riferimento rispetto alle molteplici iniziative a livello europeo, pertanto l’Italia mantiene un atteggiamento duplice dal punto di vista strategico e tattico continuando a collaborare per una progressiva crescita dell’Europa. Alla creazione delle STD definite “ente aziendale, industriale o di altra natura giuridica formato da elementi delle industrie per la Difesa di due o più Parti, o con impianti ubicati nell’ambito di territori di due o più Parti, che producono o forniscono articoli per la Difesa e Servizi per la Difesa”, non corrisponde un quadro giuridico e procedurale unitario in quanto queste sono sottoposte a differenti regimi nazionali, differenti tipi e tempi di ottenimento di autorizzazioni alle esportazioni. Con l’Accordo Quadro/LoI che facilita la ristrutturazione e le attività dell’industria europea della Difesa, Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Spagna e Svezia, hanno in parte cercato di porre rimedio ad alcune lacune. Altre due iniziative europee che cercano di armonizzare dal punto di vista quantitativo e qualitativo le pianificazioni nazionali della difesa e delle politiche e procedure di acquisizione, sono l’Occar e l’Agenzia Europea Difesa (EDA). L’Occar, Organisation Conjointe de Coopération en matière d’Armament, entra in vigore nel 2001 tra Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Belgio e Spagna. E’ una iniziativa che serve ad agevolare lo sviluppo di programmi europei di cooperazione nel campo degli armamenti tramite il coordinamento e la promozione delle attività congiunte per il miglioramento di costi, tempi e prestazioni, e agisce come sistema pianificato di ricerca, sviluppo e acquisizione comune, e gestione diretta dei programmi. L’Agenzia Europea Difesa è una struttura intergovernativa istituita nel 2004 con le seguenti funzioni di supporto: sviluppo della capacità della difesa, cooperazione negli armamenti, base industriale e tecnologica della difesa europea e mercato degli armamenti, ricerca e tecnologia. L’EDA dovrebbe generare programmi di cooperazione che l’Occar poi dovrebbe gestire. I legami internazionali che Finmeccanica ha realizzato negli anni sono coincisi con lo sviluppo industriale, in particolare la creazione della joint venture Agusta-Westland nel settore elicotteristico conclusa nel 2005 con una spesa di 1589 milioni, ha permesso di guadagnare spazi significativi sui mercati della difesa più avanzati a livello mondiale. Nel mercato degli elicotteri AgustaWestland è la seconda impresa nel ranking mondiale (dati Flight International 2005). Finmeccanica è quindi uscita da una dimensione nazionale stabilendo radici all’estero attraverso acquisizioni introducendosi prevalentemente sul mercato americano ed inglese, in particolare con gli Stati Uniti l’holding ha stabilito sia rapporti commerciali sia industriali dimostrando l’intenzione di diventare uno dei principali gruppi fornitori del Pentagono. Sempre nel 2005 giungono a definizione gli accordi con Bae Systems che riconfigurano il settore europeo dell’elettronica della difesa, ponendo Finmeccanica al secondo posto in Europa e al sesto nel mondo con la nascita di Selex Sistemi Integrati e Selex Galileo. La volontà di rafforzarsi nel campo dell’elettronica, si è materializzata ulteriormente nel 2008 con l’assorbimento della società di servizi per la difesa inglese Vega Group costata circa 90 milioni di euro. Con l’acquisizione di Elsag e Datamat la voce Elettronica per la Difesa comprende quindi tutti i sistemi di Comando, Controllo, Comunicazione, Computer, Intelligence, Sorveglianza e Riconoscimento, capacità considerate unitarie secondo il principio di Network Centric Operations. Nel libro “Modelli organizzativi «a rete» per gestire la ricerca militare in Italia” viene esplicitato l’approccio organizzativo alla ricerca in ambito militare nei suoi principali meccanismi di coordinamento e finalità nel vari ambiti. Gli attori che partecipano al sistema di innovazione sono le aziende del settore della difesa associate all’AIAD (Associazione Industrie per l’Aerospazio, i Sistemi e la Difesa), le Università, il MIUR (Ministero dell’Università e della ricerca) e gli Enti di ricerca pubblici e privati che interloquiscono con l’Agenzia Industrie Difesa del Ministero della Difesa (A.I.D.) per la messa a punto del Piano nazionale di Ricerca nazionale (PNRM). Le aree di ricerca di interesse del Piano abbracciano le tecnologie radar, i materiali e le strutture avanzate le nanotecnologie, l’avionica, i sistemi di comunicazione e di protezione delle comunicazioni, l’optoelettronica, i sistemi satellitari per le comunicazioni e la sorveglianza, le tecnologie sottomarine, la simulazione, le tecnologie per la difesa biologica e chimica, il software e le architetture software. I progetti del PNRM sono co-finanziati per il 50% dall’A.I.D. e 50% dall’industria. Dunque parlare di Finmeccanica vuol dire anche mettere in relazione Forze Armate, modello di difesa e industria bellica. Le Forze Armate sono le utilizzatrici degli strumenti messi a disposizione dall’industria ed è dunque ineludibile che il processo di trasformazione delle Forze Armate in senso net-centrico abbia ricadute sul sistema industriale. La cosiddetta RMA (revolution of military affair) nata negli Stati Uniti negli anni Ottanta come processo di evoluzione nella gestione delle strategie militari, prevede l’integrazione dei vari apparati in un unico sistema per consentire un pieno controllo e dominio in tutte le fasi belliche. Per l’industria bellica la trasformazione net-centrica ha significato riorientare le proprie risorse per essere in grado di fornire architetture complete in cui i singoli pezzi devono poter dialogare fra di loro. Da questo punto di vista il mercato della Difesa globale si è sviluppato attraverso una struttura piramidale: la base è rappresentata dalle piccole aziende specializzate su segmenti di nicchia mentre il vertice è occupato dalle grandi in grado di fornire soluzioni di sistemi tecnologici integrati. Questi sistemi devono essere capaci di proiettarsi all’esterno ma anche all’interno dal momento in cui il confine netto fra Sicurezza e Difesa è sfumato. Quando si parla di sicurezza interna bisogna far riferimento al potenziamento di strutture che va sotto il nome di Homeland Security. Le fusioni e le incorporazioni seguite alla strategia di concentrazione industriale-finanziaria, hanno prodotto una nuova configurazione industriale-militare divisa in tre parti, imprese capo-commessa, imprese fornitrici ed imprese produttrici di componenti. Ciò significa che al decentramento produttivo e alla parcellizzazione delle lavorazioni si ha una conseguente militarizzazione di comparti industriali e commerciali sostenuti dall’incentivazione di attività di natura duale civile/militare, e una riduzione dei livelli occupazionali che però non comporta riflessi negativi per quanto riguarda l’effettivo incremento della produttività. L’ingresso nel mercato civile diviene una possibilità di politica industriale anticiclica. Le aziende, pur lavorando su commesse nazionali e usufruendo di denaro pubblico, operano sempre di più dietro richieste derivate da trattati di cooperazione europea o internazionale stipulati dai governi ai massimi livelli. In Italia la politica degli armamenti, ovvero le scelte connesse alle attività di ricerca e sviluppo, studio e acquisizione e produzione, mette in relazione le industrie della Difesa con il Segretario Generale della Difesa attraverso una definizione e gestione del Piano di Ricerca Militare. Lo Stato italiano, per mezzo del Ministero della Difesa, dispone delle risorse finanziarie da destinare al bilancio della Difesa e il Governo sostiene azioni volte a posizionare l’industria italiana sul mercato estero. Il ruolo dei politici e dei militari influisce sulle industrie della Difesa a vario titolo: nel momento in cui un determinato sistema viene adottato dalle Forze Armate del paese produttore, quando sostiene la cooperazione tecnologica fra più Paesi, e nelle circostanze in cui si avviano rapporti bilaterali o multilaterali in tema di relazioni e affari esteri. Nel 2001 con la joint venture tra Finmeccanica, EADS e BAE Systems, nasce il consorzio europeo MBDA attivo nel settore dei missili e tecnologie per la Difesa. Sempre nel settore Sistemi della Difesa Finmeccanica possiede la Oto Melara e la WASS concludendo in tal modo l’intero ciclo della progettazione, sviluppo e produzione di sistemi missilistici, siluri, artiglieria navale e veicoli corazzati. Nel settore energia Finmeccanica lavora insieme ai ministeri dell’Ambiente e della Ricerca, ENEL, ENEA, SoGIN e Cesi Ricerca e partecipa al Gnep (Global nucleary energy partership) e all’accordo siglato con gli Stati Uniti nel 2007 per un reciproco scambio d’informazione sulle tecnologie energetiche per l’impiego del carbone pulito e del nucleare. Nel campo dei trasporti nel 2001 vengono costituite Ansaldo Breda e Ansaldo Trasporti Ferroviari. Nel settore dell’aeronautica miliare Finmeccanica partecipa a programmi europei (Eurofighter) ma stipula accordi anche con le rivali statunitensi (JSF) con aziende quali Alenia Aeronautica, Alenia Aeronavali, Alenia Aermacchi, fornendo velivoli completi da trasporto tattico e da combattimento, velivoli non pilotati per uso civile e militare, aerostrutture, aerei da addestramento e relativi supporti a terra, simulatori di volo, trasformazione e revisione di aeromobili. Nel trasporto regionale si colloca sul mercato con il consorzio italo-francese ATR Integrated e con il Superjet 100 frutto dell’intesa fra Alenia e la russa Sukhoi. La partecipazione di Finmeccanica al programma di difesa anti-missile MEADS conferma la sua volontà di continuare non solo con la cooperazione transatlantica ma anche di aver intrapreso la via indicata dagli Stati Uniti per cui l’innovazione tecnologica costituisce il fattore di guida dell’economia mondiale. La produzione dell’F-35 mostra una delle caratteristiche dell’industria bellica, quella cioè di essere un “comparto anomalo” in quanto i settori della chimica, meccanica, elettronica, cantieristica navale e aerospaziale compaiono come singoli elementi e le industrie appartenenti non sono solo italiane, insieme però concorrono a comporre il prodotto finale. In sostanza non vi sono aziende che da sole possano garantire l’intero ciclo produttivo. Il prodotto finale è il risultato dell’insieme di parti, componenti e prodotti finiti sviluppati dalle diverse imprese fornitrici integrati dall’azienda madre che cura l’assemblaggio finale ed è responsabile del programma. E’ dunque un’organizzazione gerarchica quella che governa la divisione del lavoro e i flussi dell’informazione e della conoscenza. Si distinguono così più livelli: dalle aziende che decidono e coordinano cosa, come e quando produrre si va alle imprese fornitrici legate tramite accordi di collaborazione e si continua con quelle di subfornitura e con le imprese che detengono know how specializzato. Ne risulta una costellazione di piccole e medie imprese che partecipano a livello locale o internazionale fornendo parti che verranno assemblate dalle aziende superiori. Rispetto alle realtà produttive commerciali, le aziende Finmeccanica hanno un peso relativo in termini occupazionali e di fatturato, mentre hanno un ruolo nella generazione di nuove tecnologie le cui conoscenze ricadono orizzontalmente verso altri comparti industriali. E’ da considerare che il peso specifico di questo settore è rappresentato dalla produzione di brevetti e dall’investimento in ricerca e sviluppo, anche se gli input scientifici essendo essenziali all’innovazione tecnologica, operano in maniera selettiva solo per alcuni settori rischiando di divenire una forma iniqua di rendita privata quando non realizzati e gestiti dalla mano pubblica. Nell’accordo fra l’Università di Pisa e Alenia Aeronautica siglato allo scopo di mettere in comune le proprie competenze ingegneristiche e attivare progetti di ricerca congiunti, la proprietà intellettuale o industriale degli eventuali risultati delle ricerche rimane ad Alenia Aeronautica, mentre l’Università può utilizzare i risultati al fine di compiere ulteriori studi o attività per finalità accademico-scientifiche. Diversamente, ma non senza dubbi, nel testo “Trasferire tecnologie” i diritti di proprietà intellettuale sono considerati utili a gestire il trasferimento tecnologico attraverso forme diverse. Per capire cosa si intende per “tecnologia” qui intesa, bisogna far riferimento a quella di origine aerospaziale, cioè creata dalla ricerca spaziale. Secondo l’ESA (European Space Agency) appartengono le tecnologie legate alle aree dei materiali, sensori, automazione, robotica ed elettronica. L’ESA, la NASA e l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) con la creazione della Stazione Spaziale Internazionale hanno contribuito alla “commercializzazione” dell’industria spaziale. Il settore, ritenuto una delle priorità, pensiamo al dominio dello spazio indicato dall’attuale amministrazione Bush, si è espanso con lo sviluppo di tecnologie basate su identificazione in radio-frequenza (RFID) e tecnologie biometriche, robotica, nanotecnologie e biotecnologie. In Europa è ancora evidente una duplicazione dei progetti su base nazionale (Italia con il Sicral e Cosmo-Skymed, Francia con il Syracuse 3 e Pleiades, Inghilterra con Skynet 5, Spagna con Spansat), o tramite accordi bilaterali (anglo-tedesco con Infoterra/TerraSar e italo-franco-spagnolo HeliosII), mentre l’ESA è riuscita a far confluire tutte le competenze tecniche europee verso Galileo e Gmes. In Finmeccanica vi sono Thales Alenia Space (Thales francese al 67%) e Telespazio. Il centro spaziale del Fucino (Avezzano) della Telespazio (Finmeccanica-Thales) è uno dei due centri di controllo a terra di Galileo insieme a quello tedesco a Oberpfaffenhofen vicino a Monaco. Galileo è il sistema di navigazione satellitare europeo sviluppato congiuntamente dall’Unione europea e dall’Esa, e rappresenta il più grande progetto mai concepito dalle istituzioni europee. Le ricadute tecnologiche del settore (spin-off) sono riscontrabili nelle attività legate alle nanotecnologie e biotecnologie oltre che all’Higt-tech in generale. Gli incubatori e i Parchi scientifici e tecnologici sono nati per favorire, usando accordi di riservatezza e lettere di intenti, il collegamento tra sistema della ricerca e mondo delle aziende, mentre i distretti industriali, dopo la crisi avvenuta nel 2001, hanno messo in moto una trasformazione del modello attuando una nuova geometria organizzativa che prevede una azienda leader che collabora con i centri di ricerca e le realtà minori. Esempi di Parco scientifico e tecnologico sono quello di Trieste che coordina attraverso l’Area Scienze Park, 34 centri di ricerca pubblici e privati della regione Friuli Venezia Giulia, e quello Tiburtino di Roma, entrambi hanno nel loro interno aziende di Finmeccanica. A Torino Finmeccanica con Alenia Aeronautica, rafforza la sua presenza nel polo tecnologico produttivo integrato del Piemonte occupando circa 3400 addetti. La vicinanza con Alenia ha favorito la scelta dell’aeroporto militare di Cameri come sito nel quale assemblare i caccia F-35 destinati al mercato europeo. Vi sono diverse modalità di coinvolgimento di associate di Finmeccanica nei vari distretti: il distretto tecnologico del Lazio (fra i 25 creati) è quello che ha come finalità l’aerospazio e la difesa, quello Pugliese, concentrato in provincia di Brindisi con 26 aziende, seguito da Lecce e Taranto con Alenia Composite di Grottaglie, ha come comitato promotore del distretto industrie ed enti quali ENEA, CNR, Optel, CETMA e Università del Salento, e si caratterizza come distretto aerospaziale interregionale in quanto il protocollo d’intesa è stato sottoscritto insieme alla regione Campania. E’ uno strumento di coordinamento tra le circa 150 aziende campane e quelle pugliesi con un fatturato di 2 miliardi di euro (il 32% del totale della filiera italiana) e circa 14.000 addetti. La Regione Campania e il Centro italiano ricerche aerospaziali (Cira) hanno sottoscritto un accordo per il potenziamento dell’industria aerospaziale regionale che presenta un fatturato di 1300 milioni di Euro nel 2006, quasi il 25% di tutto il fatturato italiano del settore e 10.000 addetti. Il ruolo delle piccole e medie imprese è stato oggetto di uno studio dell’Agenzia europea (EDA) “Strategy for the European Defence Technogical and Industrial Base” (maggio 2007) in cui la base industriale viene identificata come entità integrata per cui è necessario sviluppare e diversificare l’offerta introducendo un Codice di Condotta che estenda i vantaggi di una giusta concorrenza ai subappaltatori che non vogliano candidarsi come fornitori principali.

Bibliografia:
- Armi: nuovo modello di sviluppo? L’industria militare in Italia. Fabrizio Battistelli,
editore Einaudi Torino 1980
- Modelli organizzativi «a rete» per gestire la ricerca militare in Italia di Mari Pasquale - Giovannetti Anna, editore Rubbettino 2004.
- Multinational: Financial Aggregates (335 Companies) 2006 edition an R & S publication
- Trasferire tecnologie. Fabio Biscotti, Marco Saverio Ristuccia, editore Marsilio 2006
- Quindici punti per la politica europea dell’Italia. Ettore Greco, Tommaso Padoa-Schioppa,
Stefano Silvestri, Istituto Affari Internazionali 2006
- Il processo di integrazione del mercato e dell’industria della difesa in Europa
Michele Nones, Stefania di paola e Sandro Ruggeri, Istituto affari Internazionali 2003
- Nomos e Khaos. Rapporto Nomisma 2004 sulle prospettive economiche strategiche
Commissione europea: verso un’impostazione integrata della politica industriale

 

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