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Una crisi ambigua per le guerre ibride del complesso militare industriale.

28 settembre 2010

Crisi finanziaria, blocco dei crediti, recessione? La macchina da guerra non si arresta.
Il rapporto sull'industria degli armamenti redatto annualmente dal Sipri parla di ottimi affari: i profitti dovuti alla vendita di armamenti sono saliti su scala globale del 22 per cento.
E i conflitti? Nel 2009 i maggiori conflitti in corso erano 17 dislocati in Medio Oriente (3), Asia (7), Africa (4), America Centrale (2) e 1 negli Usa (Afghanistan).

Sommario del testo Armaments, Disarmament and International Security
http://www.sipri.org/yearbook/2010/files/SIPRIYB10summary.pdf

Nel 1998 il budget del Pentagono era di 361 miliardi di dollari, nel 2010 di 697 miliardi di dollari.
Nel 1998 i conflitti nel mondo erano 25, l’Africa era il continente con la più alta incidenza di combattimenti. In Afghanistan andarono al governo i talebani e il governo saudita, quello pakistano e gli Emirati arabi furono gli unici paesi al mondo a riconoscerlo ufficialmente.
La risposta degli Stati Uniti non si fece aspettare, a quel punto lanciarono il primo attacco aereo in Afghanistan contro sospette roccaforti del sospetto terrorista Osama bin Laden.
Nella Rivista ENI si poteva leggere che “le riserve di gas (Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan) sono dell'ordine di 15-20 trilioni di mc. Altri quantitativi si potrebbero aggiungere a seguito di nuove attività esplorative”. A.W. Burke, della Logistica del corpo dei marines, commenta nel 1999 il documento presidenziale " National Security Strategy" del 30/10/1998: " L'insieme dei campi energetici della regione Asia centrale-Medio Oriente contiene la più grande concentrazione mondiale di riserve di idrocarburi e merita l'attenzione statunitense. Assicurare alle compagnie USA la leadership nello sviluppo delle risorse nella regione e azzerare l'influenza russa e iraniana sull'esplorazione e sviluppo dei campi energetici, nonché sulle direttrici delle pipelines per l'esportazione costituisce la base di quella politica".
Il Segretario alla Difesa americano era William Cohen e il presidente USA Bill Clinton. Ma se tutti ricorderanno l’anno 1998 per lo scoppio dello scandalo chiamato dai giornalisti “Sexgate”, pochi si ricorderanno di William Cohen. Eppure Cohen era quello che dichiarava: "Saddam Hussein ha sviluppato un arsenale di armi chimiche e biologiche mortali. Le ha usate ripetutamente contro la sua gente cosi' come contro l'Iran."

Il XXI° secolo inizia con le guerre in Afghanistan e in Iraq.
Se Donald Rumsfeld verrà ricordato come il più incompetente segretario della Difesa, Robert Gates sarà ricordato come il successore che ha provveduto dal 2006 a trasferire un centinaio di miliardi di dollari dalle spese generali a investimenti strutturali, per aver tagliato i super caccia F-22 “Raptor” (aereo nato per consentire agli USA una superiorità tecnologica nel combattimento a medio raggio e a corto raggio contro i MIG russi) e aumentato il numero dei programmi di acquisizione.
Quali sono i motivi che hanno contribuito ad aumentare il budget della difesa in maniera così esorbitante? Uno di questi è la teoria per cui la tecnologia risolve i problemi dei costi elevati della manodopera. Il GAO ha misurato la crescita dei costi:

DEFENSE ACQUISITIONS. Assessments of Selected Weapon Programs for 2009 and 2010
http://www.gao.gov/new.items/d10388sp.pdf

Questa teoria si è rivelata poco economica. Più di uno studio ha dimostrato che il prezzo degli aerei da combattimento è aumentato considerevolmente più dell’inflazione nel corso degli anni e lo stesso vale per le navi da guerra.
L'aereo F-22 prodotto dalla Lockheed Martin e dalla Boeing richiede 34 ore di manutenzione per ogni ora di volo e per tenerlo in aria i contribuenti americani pagano tra i 44,000 e i 49,000 dollari l'ora.
Norman Augustine, un luminare del settore aerospaziale, nel 1983 esprimeva attraverso un aforisma il fatto che il costo di un caccia aumentava in maniera esponenziale:

"Nell'anno 2054, il bilancio della difesa servirà ad acquistare un solo aeromobile”

Un F-22 Raptor costa circa 160 milioni di dollari rispetto ai 50-60 di un F-16. Se si considera che gran parte della performance delle armi moderne risiede nella loro potenza di calcolo e nel software, bisogna mettere in conto che la necessità di assicurarsi la sicurezza nelle comunicazioni comporta costi superiori rispetto ai prodotti provenienti dal mercato civile. Anche i tempi di progettazione e sviluppo di un aereo o di una nave costituiscono un fattore determinante per la composizione del prezzo, questo lievita ad ogni ritardo in quanto nel frattempo la tecnologia diventa obsoleta e le armi devono essere ridisegnate. Un altro fattore determinante il prezzo riguarda le dimensioni quantitative di una commessa, più si riducono le dimensioni di acquisto più aumentano i costi unitari. E’ evidente che si sta parlando di aziende che operano in un mercato protetto per quanto riguarda le commesse militari, cosa ben diversa accade per le commesse civili.
L’F-35, il caccia che avrebbe dovuto essere un esempio e una risposta alla volonta di abbassare i costi di un jet militare attraverso la partecipazione a vari livelli di aziende di altre nazioni, si è dimostrato un fallimento. Il suo costo unitario è raddoppiato nel giro di circa 10 anni raggiungendo una cifra che varia fra i 93 e i 113 milioni di dollari. La stima degli appalti è balzata dal 57% al 89%.

Defence spending in a time of austerity: The chronic problem of exorbitantly expensive weapons is becoming acute
http://www.economist.com/node/16886851

In particolare i fautori della guerra rete-centrica hanno creduto che le nuove tecnologie dell’informazione fossero così potenti da rovesciare il concetto tradizionale di guerra attraverso una nuova dottrina militare, ovviamente supportata da investimenti miliardari.
A pochi anni di distanza la fortuna di questa visione sta subendo la stessa sorte delle imprese online (crollo delle dot.com). Le minacce si sono evolute diversamente da come i pianificatori militari avevano previsto e la rete e le tecnologie dell’informazione pur dimostrandosi utili dopo il 9 settembre, si sono trasformate in fonte di debolezza.
Diverse pubblicazioni di accademici ribadiscono che i conflitti in futuro saranno caratterizzati da una fusione di diverse forme di guerre piuttosto che da un approccio singolare, cosicchè si comincia ad utilizzare il termine “guerra ibrida” per designare avversari attuali e futuri.
I funzionari del Department of Defense da almeno un decennio stanno discutendo della necessità di far fronte ad avversari non statali (magari sponsorizzati da uno Stato) che attaccano reti di computer, con missili portatili piuttosto che ordigni esplosivi, per cui chiedono di inserire le implicazioni di una guerra ibrida nei documenti di pianificazione strategica globale.
Tuttavia secondo altri funzionari (Air Force) la guerra ibrida è una variazione della guerra irregolare, altri dell’ US Special Operations Command, affermano che la dottrina attuale sulla guerra tradizionale e irregolare è sufficiente per descrivere l’ambiente attuale e il futuro operativo. Il concetto di “ibrido” non è ancora stato inserito nella dottrina DOD.
Lo troviamo invece nel Quadriennal Defense Review per richiamare l’attenzione sulla crescente complessità dei conflitti futuri e sulla necessità per le forze degli Stati Uniti di essere adattabili e flessibili, ma non per introdurre una nuova forma di guerra.
Una minaccia tipica ormai considerata reale è quella cibernetica. Obama ha costituito il 21 maggio 2010 una nuova unità del Pentagono per coordinare le attività militari USA su internet che sarà operativa dal 1 ottobre 2010. Il riferimento è alla guerra asimmetrica il cui successo non dipende dalla quantità di mezzi o di uomini utilizzati ma da un gruppo di hacker. I soldati/hacker saranno guidati dal generale Keith Alexander che è a capo anche della Nsa. Il Pentagono ha già delle Internet parallele, Niprnet e Siprnet, ma Alexander ha rivelato che i siti del Pentagono su internet vengono attaccati con una frequenza impressionante: “circa 250mila volte all'ora”. Vi sono virus che potenzialmente potrebbero far esplodere le pompe di un complesso industriale o far arrestare una centrale nucleare in luoghi come in India o Pakistan. Questi paesi funzionano con i software di Microsoft e della Siemens.
In questo caso la difesa deve essere una difesa attiva, cioè pronta ad attacchi preventivi che non sono immuni alla possibilità di violare leggi, trattati internazionali e procurare una riduzione dei diritti di libertà e riservatezza degli utenti di internet.
Il ministero di Giustizia Usa ha riconosciuto che dopo l’11 settembre 2001 l’Fbi indagò impropriamente su alcune associazioni a sostegno dei diritti civili di area progressista includendole nella lista dei potenziali terroristi. I pacifisti erano rei solo di aver organizzato iniziative di disobbedienza civile. In particolare le manifestazioni contro la guerra o una incursione dimostrativa in una base militare potevano essere bollate come “atto terroristico”.
Un altro aspetto saltato all’ordine del giorno riguarda i virus che possono attaccare influenzando la rotta e i comportamenti dei drone, gli aerei da caccia senza pilota.
I drone sono un po’ i diretti avversari dei caccia come l’F-22 Raptor. In Iraq e Afghanistan i combattimenti sofisticati in aria si sono rivelati irrilevanti mentre l’uso di macchine capaci di operare autonomamente aumenta in maniera esponenziale.
In un articolo apparso su Le Scienze “La guerra delle macchine” di Peter W. Singer, si legge che “sui campi di battaglia e nei cieli sopra di essi, i robot stanno provocando il più grande cambiamento nel mondo di fare la guerra dopo la bomba atomica”, cioè oggi possiamo parlare di un vero e proprio zoo robotico: macchine di terra e di aria che si assumono compiti un tempo assolti dai soldati. Così troviamo dirigibili, globi per spiare che cambiano forma, drone, macchine che funzionano come una mitragliatrice che fanno da cecchino e sentinella, robot sminamento, ecc.

Vedere The Regulation of New Warfare http://www.brookings.edu/opinions/2010/0227_defense_regulations_singer.aspx e
association for unmanned systems international http://www.auvsifoundation.org
http://www.auvsi.org/AUVSI/AUVSI/Home/ , sito dell’associazione che riunisce 1500 aziende e organizzazioni di 55 paesi produttori o estimatori della tecnologia dei robot.

Come scrive Singer l’uso di questa tecnologia permette una guerra a distanza che se da una parte diminuisce la mortalità dei soldati in battaglia, dall’altra non è immune ad errori che causano morti fra i civili nel momento in cui la decisione ultima viene presa dai processori.
Da questo punto di vista è urgente iniziare un dibattito circa le responsabilità da attribuire e il rispetto delle leggi di guerra. Sappiamo che sia la CIA sia il DOD sostengono questa forma di guerra (che finora ha assicurato una sorta di impunibilità), ma anche altri paesi quali Israele (ne fa largo uso nella Striscia di Gaza), Iran, Cina, Turchia, India e alcuni in Europa (in totale circa 40 paesi) hanno accesso alla tecnologia drone.
La mentalità “Playstation” è solo uno degli effetti di questa nuova forma di guerra.

Va da sé che le aziende belliche hanno colto al volo, se non direttamente sponsorizzato, questa nuova fonte di business. Nell’articolo “The Real Merchants of Death” si analizzano i profiitti e le modalità dei mercanti di morte (le aziende) per uscire dalla crisi economica: molte aziende hanno reagito alla recessione comprando aziende specializzate in elettronica per la difesa, sicurezza informatica e….i robot killer.

The Real ‘Merchants of Death’
http://original.antiwar.com/hallinan/2010/09/23/the-real-merchants-of-death/

Ma qual’è l’impatto di questa crisi economica che ha colpito l’economia e l’industria sull’industria bellica?

Il dato iniziale è che nonostante la crisi le spese militari sono in crescita ovunque.
La teoria che i benefici di questa industria non siano collegati alle fluttuazioni economiche (ruolo di cuscinetto delle spese militari) si basa sulla considerazione che queste società possono aumentare la loro quota d’affari provenienti dal segmento militare per compensare le perdite provenienti dalle attività nel civile. Una prima preoccupazione dei manager aziendali è la minaccia da parte delle agenzie specializzate di abbassare il rating del debito sovrano, una minaccia che induce i paesi interessati a ridurre i loro disavanzi di bilancio e pagare il debito estero.
In ogni caso bisogna tener presente che il giro d’affari non comprende solo il mercato nazionale ma anche quello estero.
A Farnborough, l’International Airshow che si è tenuto a luglio, si è registrato un giro d’affari complessivo di 47 miliardi di dollari (88,7 nel 2008) confermando il rilancio nel solo settore aerospaziale soprattutto nei mercati emergenti dell’area asiatica.
Nel settore civile la Boeing, che ha presentato il jet 787 soprannominato “l’aereo di plastica”, ha ricevuto circa 250 ordini mentre Airbus ha chiuso con 255 ordini. Nel settore militare, quello che dovrebbe subire tagli dai principali paesi europei ma anche dagli Stati Uniti (le aziende giapponesi hanno un altro problema: sono troppe in un mercato con un solo acquirente: lo Stato), ha reso evidente l’importanza del ruolo dello Stato per l’esportazione esercitato tramite accordi governo-governo.
Un caso a parte riguarda il rapporto privilegiato fra Istraele e Stati Uniti. Il governo israeliano recentemente ha confermato la volontà di voler comprare 35 Stealth F-35 per un valore di 2,75 miliardi di dollari. Ma mentre il costo elevato di questo velivolo sta frenando altri paesi impegnati nel gioco delle tre carte per compensare la riduzione delle spese militari, Israele non pagherà un centesimo per il loro acquisto.
L’F-35 è al centro del dibattito anche nell’Italia impegnata a decidere quali programmi portare avanti, ritardare o ridurre. Il ministro della Difesa La Russa ha annunciato il taglio di 30,6 miliardi di dollari diminuendo da 121 a 96 gli Eurofighter Typoon e da 10 a 6 le fregate classe Fremm. Per quanto riguarda l’F-35 ha descritto come realistico un ordine di circa 100 aeromobili. Viene confermata la costruzione nella base militare di Cameri dell’assemblaggio finale (FACO). Per la costruzione della Faco, il costo sottoposto al Parlamento è di 775 milioni di dollari, 605,5 milioni in euro.
Le associate Finmeccanica possono comunque gioire degli accordi stipulati dal governo italiano con la Libia (che non include solo l’area libica ma l’Africa e il Medioerente) e la Russia.
Altri esempi di alleanze strategiche sono quelli fra la Russia e Israele o Israele e India, in tutti questi casi il commercio e la produzione di armamenti definiscono le relazioni estere.
Per quanto riguarda l’Europa, in Francia i produttori di armamenti hanno assunto una posizione particolare mettendo in discussione la Direttiva UE riguardante l’apertura del mercato per la difesa e la sicurezza.
In discussione è la direttiva 2009/81, art. 346 del Trattato di Lisbona (ex 296), che deve essere recepita nel diritto francese per consentire l’accesso ai paesi industrializzati negli appalti pubblici della difesa francese. La preoccupazione è che non tutti i paesi rispettano il principio di uguaglianza in materia di appalti pubblici e di mercato aperto.
L’Eda, l’Agenzia Difesa Europea, fa quel che può per cercare di promuovere la cooperazione tra utenti civili e militari. Un esempio è l’UAS (Unmanned Aerial Systems, aeromobile a pilotaggio remoto) che dovrebbe trovare impieghi militari e per il controllo delle frontiere esterne della UE soprattutto nel Mediterraneo. Ciò dovrebbe contribuire a ridurre oneri per i Paesi dell’Unione e sviluppare una capacità produttiva autonoma in Europa.
Il suo Direttore Esecutivo, Alexander Weis, ha sottolineato come l’industria aerospaziale militare europea rappresenti oltre il 55% della base tecnologica e industriale nel settore Difesa dell’Europa, impieghi direttamente più di 200.000 persone e quindi è fondamentale per le future esigenze militari degli stati membri. Vi è bisogno però un’azione di trasformazione e nuove modalità di business.
La competizione per la supremazia nei vari settori rimane agguerrita su vari fronti, basti ricordarsi il ricorso di Boeing contro le sovvenzioni europee all’apparato produttivo di Eads, mentre la stessa Eads ha ricevuto l’appoggio dall’Organizzazione mondiale del commercio nella causa contro i finanziamenti del Pentagono alla rivale statunitense.
Ogni azienda cerca di razionalizzare le proprie attività in vari modi: Bae Systems, la pù grande industria europea della difesa, sta sollecitando offerte per quote nelle sue divisioni aerospaziali statunitensi. L'azienda britannica vuole ricavare da queste vendite almeno due miliardi di dollari.
Agusta Westland e Boeing hanno sottoscritto un accordo per il programma dell’elicottero presidenziale Usa. A Boeing spettano i diritti per l’impiego della proprietà intellettuale, dei dati e dei diritti di produzione, Agusta Westland procede invece all’integrazione dell’AW.101 in un prodotto Boeing rispetto al quale avrà un ruolo nello sviluppo e una significativa quota di partecipazione e produzione.
I giganti Aerospace Raytheon Missile Systems e Boeing Co. si sono uniti in una joint venture per la prova di un missile tattico previsto per essere lanciato da una mezza dozzina di aerei diversi.
La joint venture mira a garantire 5 miliardi di dollari per la costruzione di missili per l’esercito americano e la marina, e prevede di sostituire gli Hellfire, Maverick e missili TOW.
Il capo del programma Michael Riley ha dichiarato: "Abbiamo ridotto il rischio economico per noi e il governo e garantito un successo di questo programma".
La competizione interna con la Lockheed Martin Corporation si gioca attraverso la riduzione del prezzo e con l’innovazione tecnologica: con 6 metri di lunghezza e 7 pollici di diametro e il missile a 108 sterline, dicono Boeing e la Raytheon, il prodotto è superiore alle armi concorrenti anche per il potente sensore impiantato che combina l'uso di "laser, infrarossi e onde millimetriche ".
In generale le aziende di vari paesi stanno procedendo ad accordi di licenza che fungono da base di una intesa commerciale per la partecipazione a gare internazionali.
Non mancano le liti interne alle forze armate per la spartizione della torta. Una è quella fra la Marina e l’Aviazione britannica che ha richiesto l’intervento dell'ex capo dello Stato Maggiore Richard Dannat che ha invitato tutti ad una concezione "integrata" delle forze armate.
La tentazione di diminuire le armi nucleari per gli alti costi viene invece fermata dal capo dello Stato maggiore britannico Sir Jock Stirrup, che ha dichiarato che ogni ritardo nell'aggiornamento del "Tridente" nucleare rischia di mettere a repentaglio la sicurezza del paese.
La Gran Bretagna spende 37 miliardi di sterline all'anno nella difesa, un decimo degli Stati Uniti ma molto di più di qualsiasi altro membro dell'Unione Europea.
Un altro esempio commerciale volto a favorire l’industria militare è quello dello scambio fra concessioni di basi militari e armamenti. Il Kirghizistan non aumenterà il costo dell’affitto per gli impianti militari russi se riceverà il rispettivo compenso sotto forma di aiuti tecnico-militari.
Il ministro della Difesa kirghiso Abibillah Kudajberdiev ha dichiarato: “visto che la nostra repubblica non produce armi, è costretta ad acquistarle da altri paesi”. Attualmente sul territorio del Kirghizistan sono collocate cinque basi militari russe.

Ma dove vogliono arrivare tutti questi grandi produttori di armi che investono miliardi provenienti dal Pentagono, dall’EDA piuttosto che dai governi?
Queste aziende non disdegnano neanche l’arma del ricatto occupazionale contro i tagli che, quando ci sono, sono sempre meno profondi rispetto ad altri settori o dipartimenti.

Boeing ha intenzione di ridurre le produzioni dei mezzi militari e di tagliare posti di lavoro in risposta alla decisione del governo Usa di ridurre le spese belliche, Bae Systems eliminerà circa mille posti di lavoro in previsione di tagli alla spesa militare da parte del governo.
Bernard Stiedl responsabile del sindacato Ig Metall nel Cda di Eads urla: "siamo di fronte ad un punto di svolta, se i tagli al budget della Difesa dovessero essere applicati alla lettera colla cancellazione dei progetti A400M, Eurofighter e Talarion ci troveremmo in breve con 30 mila nuovi disoccupati".

E in Italia? Alenia: 11mila lavoratori in cassa integrazione. Comunicato sindacale:
“Alenia Aeronautica ha attivato oggi le procedure di Cassa integrazione ordinaria per tutti i suoi stabilimenti, escluso quello di Grottaglie (Taranto). In pratica, si tratta di oltre 11mila lavoratori che saranno posti in Cassa integrazione per un giorno alla settimana, da qui alla fine dell’anno”. Lo annuncia Massimo Masat, coordinatore nazionale per la Fiom-Cgil del gruppo Finmeccanica.
“La Fiom non si rende disponibile a sottoscrivere l’intesa relativa a questa scelta aziendale - avverte Masat - a meno che Alenia Aeronautica riconosca una missione produttiva specifica al sito di Venezia Tessera, i cui dipendenti saranno collocati in Cassa integrazione guadagni ordinaria a zero ore; garantisca un futuro manifatturiero allo stabilimento di Pomigliano d’Arco; rinunci alla richiesta di esternalizzare alcune lavorazioni; rinunci a chiedere l’utilizzo della Cassa integrazione per la sede di Torino, dove è possibile usare altri strumenti per risolvere i problemi di diminuzione dei carichi di lavoro”.
“La Fiom considera altresì inaccettabile - afferma ancora il coordinatore - che i costi della flessione industriale vengano scaricati nelle tasche di quei lavoratori che hanno permesso a quest’Azienda di diventare un rilevante produttore internazionale di velivoli civili e militari”.
08/02/2010

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