E l'armata Usa lasciò l'Italia
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"Gli Stati Uniti si preparano ad una drastica riduzione dei loro effettivi in Europa", intitola a caratteri cubitali in prima pagina il Financial Times del 4 febbraio. "La Sesta Flotta potrà lasciare l'Italia per la Spagna", è tre giorni dopo il titolo del Guardian. E poi di nuovo il Financial Times di lunedì con una titolazione in apparenza di senso opposto: "La minaccia russa di abrogare il trattato sugli armamenti convenzionali turba Stati Uniti ed Europa". Silenzio di tomba nei mass media italiani perché il tema è controverso e imbarazzante per il governo Berlusconi.
E suscettibile di disdicevoli interpretazioni, come quella secondo cui gli Stati Uniti avrebbero ceduto dopo mezzo secolo alla protesta dello "Yankee Go Home". La protesta, che fino a poco tempo fa aveva mobilitato la sinistra europea, in verità ha poco a che fare con la decisione presa, unilateralmente come al solito, dall'amministrazione Bush e scodellata alla fine dello scorso anno sul tavolo della "planning board" della Nato a Bruxelles: modalità e tempi di attuazione - viene assicurato - verranno negoziati con gli alleati, principalmente Gran Bretagna, Francia e Germania, ma si tratta di una decisione "epocale" in quanto porrà in atto, secondo il Financial Times, "la più massiccia ridislocazione delle forze armate Usa dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi".
Verrà ritirato dai paesi della Nato un terzo del dispositivo militare del Grande Impero d'Occidente, verranno chiuse molte basi Usa, altre verranno ridotte a strutture scheletriche di appoggio logistico, altre ancora verranno trasferite in paesi più sicuri o comunque più economicamente vantaggiosi per l'erario statunitense. L'armata se ne va.
E con l'armata se ne va la flotta. "Anchors a-weigh" da Gaeta, non per poche unità ma per l'intera Sesta Flotta del Mediterraneo, quaranta navi, 175 aerei, 21mila tra marinai e civili con la portaerei "La Salle" sotto il comando del contrammiraglio Terrence Dudley che conferma: "La nostra marina sta riesaminando tutti gli aspetti della sua presenza in Europa, al fine di rendere ottimali le sue capacità, di ridurre le sue carenze, e di vincere la sfida posta dal cambiamento delle sue priorità di difesa. Il trasferimento della sesta flotta su una nuova base in Spagna è solo una delle molteplici misure in via di elaborazione".
La "elaborazione", secondo il quotidiano spagnolo El Mundo, si è conclusa lo scorso mese di ottobre con un accordo tra l'amministrazione Bush e il fido governo Aznar, un accordo accompagnato dallo stanziamento di 450 milioni di dollari per il potenziamento e l'ampliamento della base aeronavale di Rota, nei pressi di Cadice, che ospiterà la Sesta Flotta. Motivi strategici ma anche economici hanno motivato la decisione che avrà, per inciso, pesanti conseguenze sull'occupazione a Gaeta e dintorni: i costi dei "servizi" nel centro campano sarebbero saliti vertiginosamente negli ultimi due anni; di circa il doppio - dicono a Norfolk in Virgina - di quelli previsti per la nuova sede spagnola.
Il comando Nato-Sud rimarrà a Napoli ma verrà "snellito" grazie alle nuove tecnologie che permetteranno una rilevante riduzione del personale. Gli stessi "snellimenti" verranno posti in atto ad Aviano e a Camp Darby, mentre verranno chiusi altri sei presìdi militari Usa nel Veneto e in tutta la penisola. La base per sommergibili nucleari d'attacco della Maddalena non verrà toccata da questa ridislocazione, anzi verrà potenziata con una ristrutturazione definita per i gonzi solo verticale e non orizzontale, al di là di ogni prevista bonifica delle acque contaminate del Tirreno.
Se può apparire singolare e quantomai riprovevole il silenzio dei mass media italiani su questo sconvolgimento dell'apparato militare americano nel nostro paese, ancora più singolare ma emblematico è quello del ministro alla Difesa Antonio Martino; per non parlare poi della bocca cucita del ministro degli Esteri Franco Frattini che, in una sua intervista al Corriere della Sera, di tutto si occupa fuorché di queste decisioni storiche prese unilateralmente dal grande protettore e alleato. Perché a tutti gli effetti si tratta se non di uno scacco di politica estera, certamente di un crollo di immagine per il cavalier Silvio Berlusconi, che tra pacche sulle spalle ed elargizioni di cronometri d'oro all'amicone Bush, aveva presentato l'Italia come l'avanposto privilegiato Usa sul vecchio continente, la punta di diamante contro la Vecchia Europa, il paese che aveva mandato i suoi soldati a farsi ammazzare a Nassiriya per la nobile causa di un'occupazione militare di un paese sovrano.
Ora la portaerei italiana a stelle e a strisce viene avviata alla rottamazione, il suo piccolo ammiraglio viene relegato al ruolo di mozzo sulle soglie del congedo. A versare sale sulla ferita si aggiunge la mancata punizione all'infido alleato tedesco: il Frankfurter Allgemeine Zeitung ha infatti informato i suoi elettori che la più grande base americana in Europa, quella di Ramstein sul Reno, verrà lasciata così com'è, una vera cittadella militare americana con 80mila cittadini tedeschi impegnati a tempo pieno dall'Alto comando Usa. Si deve a quel fulmine di guerra che è il segretario alla Difesa Rumsfeld se l'Italia verrà sollevata da molte delle sue pesantissime servitù militari straniere e, a tutti gli effetti, da un presidio americano operante in ogni sua articolazione sociale e civile.
Il che non vuol dire che il Grande Impero stia battendo in ritirata dalla marca di frontiera italiana o dal vecchio continente. E' qualcosa di diverso: la ristrutturazione militare in corso è dovuta a quella che lo stesso Rumsfeld ha chiamato ieri in un articolo su Le Monde "la nuova riorganizzazione modulare" delle forze armate Usa imposta anche dalle esigenze bellliche in Iraq. Non più quindi i massicci schieramenti "heavy metal" allestiti nella seconda metà del secolo scorso per i difendere i paesi Nato da una fantomatica invasione dell'Armata Rossa, bensì un dispositivo più flessibile ridistribuito anche su piccole basi avanzate in Bulgaria, in Ungheria e nelle repubbliche Baltiche che tra due mesi entreranno nella Nato.
Si spiega così l'aspra reazione dello Zar Putin, che minaccia ora di abrogare il trattato sulla riduzione degli armamenti convenzionali degli anni Ottanta e denunzia un progressivo accerchiamento americano della madre Russia. Tutti i giochi vengono riaperti sullo scacchiere globale dell'Impero, ma per il popolo della pace, in Italia e in tutta Europa, solo un grande, insperato sospiro di sollievo.
Lucio Manisco
(giornalista, deputato europeo eletto nelle liste del Partito dei Comunisti Italiani - lmanisco@europarl.eu.int )
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