I costi umani delle guerre USA contro il terrore
La guerra globale contro il terrorismo scatenata dall’amministrazione degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001 ha causato sino ad oggi la morte di circa 258.000 persone. La stima - “estremamente prudente” - è stata fatta dalla Brown University di Rhode Island, una delle più antiche università USA (è stata fondata nel 1764) che ha valutato i costi umani e finanziari dei conflitti in Afghanistan ed Iraq e delle cosiddette “campagne contro il terrorismo” del Pentagono e della Cia in Pakistan e Yemen.
“Alle vittime dirette dei conflitti vanno aggiunte le morti causate indirettamente dalla perdita delle fonti di acqua potabile e delle cure mediche e dalla malnutrizione”, spiegano i ricercatori della Brown University. Come avviene ormai in tutti gli scenari di guerra sono sempre i civili a subire le perdite maggiori in vite umane: 172.000 tra donne, bambini, anziani e uomini non combattenti assassinati, 125.000 in Iraq, 12.000 in Afghanistan e 35.000 in Pakistan, a riprova che è proprio quest’ultimo paese asiatico al centro di un’escalation militare volutamente tenuta segreta dall’amministrazione Obama e dai principali media internazionali.
“Ancora più difficile è conoscere il numero dei morti tra gli insorti”, aggiunge lo studio della Brown University, “anche se le stime si attestano tra le 20.000 e le 51.000 persone. Il numero dei militari uccisi è invece di 31.741 e include circa 6.000 soldati statunitensi, 1.200 militari delle truppe alleate, 9.900 iracheni, 8.800 afgani, 3.500 pakistani e 2.300 contractor privati”. Il rapporto denuncia che dallo scoppio della guerra “globale e permanente contro il terrorismo” sono scomparsi 168 giornalisti e 266 tra volontari, cooperanti e operatori umanitari. “Le guerre hanno inoltre prodotto un flusso massiccio di rifugiati e sfollati, più di 7,8 milioni di persone, la maggior parte dei quali in Iraq ed Afghanistan”, scrivono i ricercatori. “Si tratta di un numero corrispondente all’intera popolazione del Connecticut e del Kentucky”.
Sconvolgente pure l’entità delle risorse finanziarie dilapidate dalle forze amate degli Stati Uniti d’America nella loro “caccia” ai presunti strateghi dell’attacco dell’11 settembre. “I costi delle guerre possono essere stimati tra i 3.700 e i 4.400 miliardi di dollari, pari ad un quarto del debito pubblico odierno e molto di più di quanto speso nel corso della Seconda guerra mondiale”, spiega il rapporto della Brown University. “Si tratta di cifre notevolmente più alte di quelle fornite dal Pentagono e dall’amministrazione USA (1.300 miliardi di dollari), in quanto si sono considerate nello studio anche altre spese generate dalle guere, come ad esempio quelle previste sino al 2051 per i veterani feriti, quelle effettuate dal Dipartimento per la Sicurezza Interna contro le minacce terroristiche e i fondi direttamente relazionati con i conflitti del Dipartimento di Stato e dell’Agenzia per lo sviluppo internazionale Usaid”. Secondo i ricercatori del prestigioso centro universitario di Rhode Island, “il governo statunitense sta affrontando la guerra sottostimandone la potenziale durata e gli insostenibili costi mentre sopravvaluta gli obiettivi politici che possono essere raggiunti con l’uso della forza bruta”. I circa 4.400 miliardi di dollari spesi sino ad oggi sono certamente del tutto sproporzionati ai costi dell’attentato dell’11 settembre e ai suoi danni economici. “I diciannove attentatori più gli altri sostenitori di al Qaeda hanno speso tra i 400.000 e i 500.000 dollari per gli attacchi aerei che hanno causato la morte di 2.995 persone e tra i 50 e i 100 miliardi di dollari di danni. Per ogni persona uccisa l’11 settembre ne sono state assassinate da allora 73”.
Nel terribile bilancio sulle vite umane sacrificate e sulle risorse finanziarie sperperate con le guerre USA del XXI secolo non sono ovviamente contemplati i costi del conflitto scatenato in questi mesi contro la Libia. Tra bombe, missili Tomahawk all’uranio impoverito e carburante, solo il primo giorno dell’operazione Alba dell’odissea sarebbe costato agli Stati Uniti d’America qualcosa come 68 milioni di euro. Stando al Pentagono, le prime due settimane d’intervento militare contro Gheddafi sono costate 608 milioni di dollari, senza includere i salari dei militari e i costi operativi delle unità aeree e navali distaccate nell’area mediterranea precedentemente allo scoppio delle operazioni belliche. Per il segretario all’aeronautica militare, Michael Donley, le attività di volo dei 50 cacciabombardieri e dei 40 velivoli di supporto impegnati e le munizioni utilizzate contro la Libia comportano una spesa di circa 4 milioni di dollari al giorno. Venticinque milioni di dollari è invece il valore dell’“assistenza non letale” concessa dall’amministrazione Obama il 20 aprile scorso ai ribelli del Transitional National Council di Bengasi. Si tratta in buona parte di “apparecchiature mediche, uniformi, stivali, tende, equipaggiamento per la protezione personale, radio e cibo in polvere”, ma Washington non ha escluso l’invio di armi e munizioni in buona parte stoccate nei depositi e magazzini della grande base di Camp Darby in Toscana.
La guerra globale contro il terrorismo scatenata dall’amministrazione degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001 ha causato sino ad oggi la morte di circa 258.000 persone. La stima - “estremamente prudente” - è stata fatta dalla Brown University di Rhode Island, una delle più antiche università USA (è stata fondata nel 1764) che ha valutato i costi umani e finanziari dei conflitti in Afghanistan ed Iraq e delle cosiddette “campagne contro il terrorismo” del Pentagono e della Cia in Pakistan e Yemen.
“Alle vittime dirette dei conflitti vanno aggiunte le morti causate indirettamente dalla perdita delle fonti di acqua potabile e delle cure mediche e dalla malnutrizione”, spiegano i ricercatori della Brown University. Come avviene ormai in tutti gli scenari di guerra sono sempre i civili a subire le perdite maggiori in vite umane: 172.000 tra donne, bambini, anziani e uomini non combattenti assassinati, 125.000 in Iraq, 12.000 in Afghanistan e 35.000 in Pakistan, a riprova che è proprio quest’ultimo paese asiatico al centro di un’escalation militare volutamente tenuta segreta dall’amministrazione Obama e dai principali media internazionali.
“Ancora più difficile è conoscere il numero dei morti tra gli insorti”, aggiunge lo studio della Brown University, “anche se le stime si attestano tra le 20.000 e le 51.000 persone. Il numero dei militari uccisi è invece di 31.741 e include circa 6.000 soldati statunitensi, 1.200 militari delle truppe alleate, 9.900 iracheni, 8.800 afgani, 3.500 pakistani e 2.300 contractor privati”. Il rapporto denuncia che dallo scoppio della guerra “globale e permanente contro il terrorismo” sono scomparsi 168 giornalisti e 266 tra volontari, cooperanti e operatori umanitari. “Le guerre hanno inoltre prodotto un flusso massiccio di rifugiati e sfollati, più di 7,8 milioni di persone, la maggior parte dei quali in Iraq ed Afghanistan”, scrivono i ricercatori. “Si tratta di un numero corrispondente all’intera popolazione del Connecticut e del Kentucky”.
Sconvolgente pure l’entità delle risorse finanziarie dilapidate dalle forze amate degli Stati Uniti d’America nella loro “caccia” ai presunti strateghi dell’attacco dell’11 settembre. “I costi delle guerre possono essere stimati tra i 3.700 e i 4.400 miliardi di dollari, pari ad un quarto del debito pubblico odierno e molto di più di quanto speso nel corso della Seconda guerra mondiale”, spiega il rapporto della Brown University. “Si tratta di cifre notevolmente più alte di quelle fornite dal Pentagono e dall’amministrazione USA (1.300 miliardi di dollari), in quanto si sono considerate nello studio anche altre spese generate dalle guere, come ad esempio quelle previste sino al 2051 per i veterani feriti, quelle effettuate dal Dipartimento per la Sicurezza Interna contro le minacce terroristiche e i fondi direttamente relazionati con i conflitti del Dipartimento di Stato e dell’Agenzia per lo sviluppo internazionale Usaid”. Secondo i ricercatori del prestigioso centro universitario di Rhode Island, “il governo statunitense sta affrontando la guerra sottostimandone la potenziale durata e gli insostenibili costi mentre sopravvaluta gli obiettivi politici che possono essere raggiunti con l’uso della forza bruta”. I circa 4.400 miliardi di dollari spesi sino ad oggi sono certamente del tutto sproporzionati ai costi dell’attentato dell’11 settembre e ai suoi danni economici. “I diciannove attentatori più gli altri sostenitori di al Qaeda hanno speso tra i 400.000 e i 500.000 dollari per gli attacchi aerei che hanno causato la morte di 2.995 persone e tra i 50 e i 100 miliardi di dollari di danni. Per ogni persona uccisa l’11 settembre ne sono state assassinate da allora 73”.
Nel terribile bilancio sulle vite umane sacrificate e sulle risorse finanziarie sperperate con le guerre USA del XXI secolo non sono ovviamente contemplati i costi del conflitto scatenato in questi mesi contro la Libia. Tra bombe, missili Tomahawk all’uranio impoverito e carburante, solo il primo giorno dell’operazione Alba dell’odissea sarebbe costato agli Stati Uniti d’America qualcosa come 68 milioni di euro. Stando al Pentagono, le prime due settimane d’intervento militare contro Gheddafi sono costate 608 milioni di dollari, senza includere i salari dei militari e i costi operativi delle unità aeree e navali distaccate nell’area mediterranea precedentemente allo scoppio delle operazioni belliche. Per il segretario all’aeronautica militare, Michael Donley, le attività di volo dei 50 cacciabombardieri e dei 40 velivoli di supporto impegnati e le munizioni utilizzate contro la Libia comportano una spesa di circa 4 milioni di dollari al giorno. Venticinque milioni di dollari è invece il valore dell’“assistenza non letale” concessa dall’amministrazione Obama il 20 aprile scorso ai ribelli del Transitional National Council di Bengasi. Si tratta in buona parte di “apparecchiature mediche, uniformi, stivali, tende, equipaggiamento per la protezione personale, radio e cibo in polvere”, ma Washington non ha escluso l’invio di armi e munizioni in buona parte stoccate nei depositi e magazzini della grande base di Camp Darby in Toscana.
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