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MUOS business miliardario per i mercanti di morte

Sta sorgendo in Sicilia uno dei quattro terminali terrestri del nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari MUOS delle forze armate USA. Un programma di morte devastante dal punto di visto ambientale che sta dilapidando ingentissime risorse finanziarie arricchendo il gigante del complesso militare-industriale Lochkeed Martin.
9 novembre 2011

L’elemento strategico per le telecomunicazioni tra i centri di comando, direzione, controllo ed esecuzione delle guerre del XXI secolo. Viene presentato così il MUOS (Mobile User Objective System), il sofisticato sistema di comunicazioni satellitari che la marina militare degli Stati Uniti d’America intende realizzare entro la fine del 2015. Una rete di satelliti e terminali terrestri che consentirà di decuplicare la velocità e la quantità delle informazioni da trasmettere tra gli strateghi del Pentagono, i reparti impegnati negli scenari bellici e gli sterminati arsenali di morte sparsi nel pianeta. Strikes preventivi sempre più disumanizzati e disumanizzanti, bombardamenti con caccia invisibili e velivoli senza pilota, finanche l’uso di testate nucleari a bassissima intensità nella convinzione che gli olocausti possano essere giustificati e limitati.

Questo sulla carta, perché sino ad oggi del rivoluzionario sistema satellitare si è visto ben poco. Il Dipartimento della difesa aveva annunciato che il lancio in orbita del primo satellite MUOS sarebbe avvenuto il prossimo mese di dicembre. Qualche settimana fa, però, il lancio è stato posticipato al maggio 2012, ventisei mesi in ritardo rispetto alla prima tabella progettuale. Secondo quel cronogramma, entro la fine di quest’anno dovevano essere in funzione i quattro terminali a terra: uno alle Hawaii; uno a Norfolk, Virginia; uno in Australia e il quarto a Niscemi, in Sicilia. E le gigantesche antenne dovevano essere puntate e comunicanti con due dei quattro satelliti geostazionari programmati. Via via che il progetto è andato avanti, sono però esplosi gli imprevisti e gli errori tecnici, sono falliti numerosi test, sono state proposte soluzioni alternative per le apparecchiature terrestri e spaziali ed è stato modificato il link con la più potente centrale di spionaggio planetario, la NSA - National Security Agency Usa. Alla fine si è pure scoperto un macroscopico deficit progettuale: i quattro satelliti del sistema previsti in origine, sarebbero insufficienti a garantire la copertura di tutti i continenti. I produttori si sono dovuti presentare al Congresso per chiedere un finanziamento straordinario di 340 milioni di dollari per realizzarne un quinto. No problem. Denaro accordato.

Secondo i programmi rivisti e corretti, le infrastrutture terrestri saranno pienamente funzionanti solo entro il primo trimestre 2013, mentre i satelliti verranno lanciati in ordine uno all’anno, il primo e il secondo entro la fine del 2012, il terzo nel 2013, il quarto nel 2014, l’ultimo entro l’ottobre del 2015. Ma stando a come sono andate le cose c’è da scommettere che i tempi per la piena operatività del MUOS si dilateranno ulteriormente, come cresceranno ancora i costi per la progettazione e la realizzazione del sistema. Con gran gioia dei signori del complesso militare-industriale statunitense, unici beneficiari di un programma la cui utilità e sempre più messa in dubbio da congressisti e analisti militari.   

Sotto la direzione dello US Navy’s PEO Space Systems di Chantilly (Virginia) e dal Navy Communications Satellite Program Office P-146 di San Diego (California), il programma MUOS è stato affidato nel 2002 alla Lockheed Martin, la più potente delle compagnie del comparto difesa degli Stati Uniti d’America, oltre 126.000 dipendenti e un fatturato annuo da capogiro per 45,8 miliardi di dollari. In qualità di prime contractor, la controllata Lockheed Martin Space Systems di Sunnyvale (California) ha il compito di progettare e realizzare quasi tutte le componenti e le apparecchiature dei sistemi terrestri e satellitari. Qualche briciola dell’affare MUOS va anche ad altre importanti società del mercato degli armamenti: General Dynamics C4 Systems (Scottsdale, Arizona), chiamata ad installare le antenne satellitari di 18,4 metri di diametro e a curare il collegamento tra i quattro distinti segmenti terrestri; Boeing Defense Space and Security (El Segundo, California), per la messa in funzione e la verifica di compatibilità del sistema; Harris Corporation (Melbourne, Florida) per la fornitura della rete dei riflettori; la filiale texana della svedese Ericsson per la costruzione di alcune porzioni del segmento integrato terrestre.

Il costo complessivo del MUOS? Ancora un mistero anche perché nei bilanci del Dipartimento della difesa le voci destinate al sistema di telecomunicazioni satellitari si moltiplicano con gli anni e fare ordine tra i numeri è fatica di Sisifo. In buona parte dei documenti ufficiali si fa riferimento a una spesa complessiva di 3,26 miliardi di dollari, ma il valore è sottostimato. Da solo, il rendiconto dei bilanci annuali 2008-2013 attribuisce al MUOS 2.261.647.000 dollari. Restano fuori dal computo, dunque, i costi di progettazione e sperimentazione dal 2002 al 2007 e le spese post 2014. Se poi si guarda alla tabella allegata all’ultimo bilancio di previsione della Difesa Usa, relativa ai contratti sottoscritti con le industrie private per la ricerca, lo sviluppo, i test e la valutazione del programma MUOS, il valore riportato raggiunge i 3.831.959.000 dollari (3.398.168.000 appannaggio della Lockheed Martin). È comunque la società di consulting Accenture (ex Anderson) a stimare più realisticamente i costi finali del MUOStro mangiasoldi: 6,2 miliardi di dollari, salvo i prevedibili imprevisti.

Per il prossimo anno il presidente Obama ha richiesto al Congresso l’autorizzazione a spendere 482,4 milioni di dollari per il sistema satellitare. Tra le azioni in programma il completamento dei test per la preparazione al lancio del secondo satellite; l’installazione e le prove di funzionamento dei software dei terminali terrestri a Wahiawa (Hawaii) e in Virginia; la progettazione del sistema di lancio del quarto satellite; l’“avvio dell’installazione e i test del software finale del sito in Sicilia”.

C’è poi un’altra voce MUOS in bilancio, codificata come WPN/2433, nel capitolo relativo ai “programmi di acquisizione dei sistemi d’arma”, da cui si apprende che nel biennio 2001-11 è stato speso per il sistema satellitare un altro miliardo e 15.596.000 dollari, più i 484.155.000 previsti nei prossimi cinque anni. Altri sei milioni e mezzo di dollari sono invece destinati al Joint Tactical Radio System, MUOS Software e 29.074.000 per l’UHF Hosted Payload che “accrescerà la funzionalità delle componenti del sistema e accelererà l’utilizzabilità dei terminali MUOS”. Conti alla mano per il sistema che ancora non c’è, i contribuenti statunitensi spenderanno il prossimo anno 518,5 milioni di dollari.  

Come se non bastasse, nel capitolo “altre forniture, attività 5-7” del bilancio di previsione 2012 per la Marina Usa c’è pure un finanziamento di 280.000 dollari destinato alla stazione di Niscemi (NCTS Sicily Microwave), per “progettare, realizzare, installare e testare le componenti elettroniche necessarie all’interconnessione con le principali installazioni di NAS Sigonella, in modo di assicurare circuiti affidabili a supporto VLF, HF, MUOS e di altre missioni tattiche strategiche operate da NCTS Sicily”. Questo programma ha il pregio di sbugiardare i politici e i militari che avevano assicurato che con l’entrata in funzione del MUOS sarebbero state disattivate le 41 antenne a microonde della stazione US Navy, con conseguente riduzione delle pericolosissime emissioni elettromagnetiche a Niscemi. Contractor è SPAWAR - Space and Naval Warfare Systems Center Pacific, il centro di ricerca spaziale della Marina con sede a San Diego, California. Sarà una coincidenza, ma proprio SPAWAR ha elargito negli ultimi due anni all’Università degli Studi di Catania 475.000 dollari per programmi top secret nel campo dell’elettronica e delle telecomunicazioni. Il MUOS è sempre più una vacca da mungere e una fabbrica del consenso. 

 

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