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Ecco i settori che creano più posti di lavoro.

Crescita dell'occupazione: Conviene investire nel settore militare?

Secondo uno studio dell'Università del Massachusetts, il finanziamento di priorità nazionali in ambito civile crea almeno il 50% in più di posti di lavoro rispetto alla spesa per le forze armate.
10 dicembre 2011
Ali Gharib (giornalista di ThinkProgress)
Tradotto da Daniele Buratti per PeaceLink

Messi di fronte alla necessità di ingenti tagli alle spese militari, il Ministero della Difesa, il Segretario Leon Panetta e le associazioni di settore hanno espresso il timore che i tagli alla sicurezza possano aumentare il tasso di disoccupazione. E pur attenendosi alla (dubbia)cauta  linea di pensiero che le spese governative non siano in grado di creare posti di lavoro, esponenti della destra come il Repubblicano Buck McKeon (R-CA) insistono sul fatto che le spese militari debbano rimanere elevate per impedire una crescita del tasso di disoccupazione.

Ma un nuovo studio dell'Università del Massachusetts, Amherst, a cui fa riferimento l'economista Dean Baker mostra che, contrariamente a quanto ritengono i conservatori, le spese non militari possono creare più occupazione di quanto lo facciano quelle per i programmi di difesa. Gli autori dello studio, gli economisti Robert Pollin e Heidi Garret-Peltier dell'Istituto di Ricerca di Economia Politica, si sono avvalsi di statistiche del Ministero Statunitense del Commercio, dell'Ufficio delle Statistiche del Lavoro e di altre fonti per capire quanti impieghi venissero creati dalla spesa pubblica in vari settori. E hanno potuto rilevare che le spese per il comparto militare creavano meno occupazione per miliardo di dollari spesi di quanta ne creassero quelle per il settore civile.

Ecco un grafico che evidenzia quanti posti di lavoro sono stati creati nei vari settori per miliardo di dollari investiti:

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Facendo una media tra i risultati degli investimenti in energia pulita, sanità pubblica e educazione, queste tre aree creano circa il doppio di posti rispetto alla spesa dedicata al comparto militare. I risultati inferiori di energia e sanità riescono purtuttavia a creare il 50% di posti in più rispetto al settore militare, mentre i risultati degli investimenti nel campo dell'educazione indicano la possibilità di maggiori opportunità di impiego.

Il documento analizza anche la distribuzione della creazione di posti di lavoro in base a diverse fasce di reddito. Se si considerano i benefici, la spesa nell settore civile crea più impieghi con fasce di reddito differenziate (bassa, media e alta). E dato che la spesa per le priorità domestiche crea tanti posti in più, saranno di conseguenza molti anche gli impieghi ad alto reddito. Gli autori concludono affermando che “gli investimenti in energie rinnovabili, sanità ed educazione saranno quelli maggiormente positivi per l'occupazione, a tutti i livelli di reddito, al contrario dei risultati degli investimento nel settore militare".

L'economista Dean Baker, co-direttore del Center for Economic and Policy Research, commenta nel suo blog lo studio dell'Università del Massachusetts:

"In altre parole, se lo scopo della spesa è quello di creare occupazione, allora investire nel settore militare è l'ultima cosa che vorremmo fare. Ma purtroppo sono in molti a Washington a credere alla favola che i dollari spesi nel settore militare creino più occupazione che in qualsiasi altro settore, cosa che non ha fondamento secondo le normali analisi economiche".

E dunque risulta evidente che la spesa militare non sia l'unica alternativa per la spesa pubblica, ai fini della creazione di occupazione. Anzi, è molto lontana dai risultati di alternative migliori quali la spesa per energia pulita, sanità e educazione, che raggiungono l'obiettivo in modo più brillante.

Pubblicato originalmente su ThinkProgress

Note: Ali Gharib scrive per ThinkProgress e si occupa di politica estera statunitense per il Medio Oriente, e in particolare per l'Iran. Prima del suo ingresso nel Center for American Progress, ha scritto per l'Inter Press Service e per il sito del Columbia Journalism Review, di ForeignPolicy.com, e di AlterNet. Ali possiede una laurea in filosofia del Boston College, un master in filosofia e politiche pubbliche della London School of Economics, e un master in giornalismo della Columbia University.

Tradotto da Daniele Buratti per Peacelink
Tradotto da Daniele Buratti per PeaceLink. Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.
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