Le guerre future con l’AGS e i droni di Sigonella
La Sicilia sacrificata sull’altare del dio di tutte le guerre. Quelle di oggi e quelle future. Negli oceani, in cielo, in terra. Guerre satellitari, spaziali, stellari. Disumanizzate e disumanizzanti. Da combattere su un monitor a migliaia di chilometri distanti. Con aerei senza pilota e bombe teleguidate. Ordigni di ogni tipo, forma e dimensione. Al laser o all’uranio impoverito, killer elettromagnetici o nucleari. Target “virtuali” ma terribilmente reali: bambini, donne, anziani di cui nessuno conoscerà mai volti e identità. Corpi da spezzare, stuprare, dilaniare. Continenti da affamare. Popoli da sterminare.
I signori e i marcanti di morte hanno ipotecato ruolo e funzioni dell’isola: trampolino di guerra per colpire regimi disobbedienti e perpetuare ingiustizie e disuguaglianze planetarie; enorme centrale di spionaggio per incunearsi nelle vite di ognuno, dall’Atlantico agli Urali, dall’Africa all’estremo oriente. Il territorio siciliano è divorato dal cancro Sigonella, la più grande base militare Usa, Nato ed extra-Nato nel Mediterraneo. E le metastasi hanno pervaso Niscemi, Birgi, Augusta, Pantelleria, Lampedusa, Marsala, Noto-Mezzogregorio, Pachino, sedi di supersegrete installazioni militari e laboratori sperimentali dell’olocausto del terzo millennio.
A Bruxelles, l’ultimo summit dei ministri della difesa della Nato ha ufficializzato la scelta di Sigonella come “principale base operativa” dell’AGS (Alliance Ground Surveillance), il nuovo sistema di sorveglianza terrestre dell’Alleanza: un Grande Orecchio per monitorare il globo 24 ore al giorno, individuare gli obiettivi e scatenare il first stike, convenzionale o nucleare, in nome della guerra globale e permanente, preventiva e distruttiva. Entro cinque anni, nella grande stazione aereonavale saranno ospitati i sistemi di comando e di controllo dell’AGS che analizzeranno le informazioni intercettate da migliaia di sistemi radar satellitari, aerei, navali e terrestri. Per poter poi pianificare e ordinare gli attacchi, ovunque e comunque. Senza vincoli e regole morali.
Strumento cardine del nuovo sistema Nato, il più grande e sofisticato velivolo senza pilota mai progettato, l’RQ-4 “Global Hawk”, un falco globale di 13 metri e mezzo di lunghezza e un’apertura alare di oltre 35, in grado di volare a circa
Per gli strateghi del Pentagono, la Sicilia dovrà fare da vera e propria caput mundi di falchi e predatori teleguidati: una decina i “Global Hawk” che l’aeronautica e la marina militare Usa si apprestano a dislocare; ancora più numerosi i “Predator” e i “Reaper” lanciamissili e lanciabombe. Per l’AGS di Sigonella, i “Global Hawk” dovrebbero essere ufficiosamente quattro, forse cinque e magari sei. O perfino otto, come riferì in Parlamento il 12 giugno 2009 l’allora ministro della difesa Ignazio La Russa. “L’Alleanza atlantica acquisterà un sistema di sorveglianza aerea basato su una flotta di otto velivoli a pilotaggio remoto e un segmento terrestre di guida e controllo, da integrare nell’ambito del sistema C4ISTAR della Nato”, annunciò il ministro che più si è battuto per fare di Sigonella la centrale strategica del nuovo sistema di sorveglianza.
Di otto falchi globali ha parlato pure Ludwig Decamps, caposezione dei programmi di armamento della Nato. “Il sistema AGS sarà fondamentale per le missioni alleate nell’area mediterranea ed in Afghanistan, così come per assistere i compiti della coalizione navale contro la pirateria a largo delle coste della Somalia e nel Golfo di Aden”, ha dichiarato. “L’AGS fornirà un preciso quadro della situazione operativa soprattutto per tutti i responsabili della Nato Response Force, la forza d’intervento rapido alleata, accrescendo le capacità di sorveglianza aerea. Il sistema consentirà inoltre di supportare i crescenti requisiti operativi anche per la gestione delle crisi, la sicurezza nazionale e gli aiuti umanitari”.
Per comprendere appieno la vocazione umanitarista degli odierni apprendisti stregoni bisogna dare un’occhiata alla nuova dottrina strategica dell’Alleanza, denominata NCW Network Centric Warfare. “L’AGS è un programma di vitale importanza per poter applicare sul campo la NCW e puntare all’integrazione in tempo reale delle forze militari in un’unica rete informativa globale”, spiegano a Bruxelles. “La NCW prevede un radicale cambiamento nei rapporti tra piano strategico, operativo e tattico e un diverso modo di comunicare, pianificare ed operare tra Comandi e forze militari”. Per farla breve, stabiliti gli obiettivi prioritari “senza limiti geografici”, gli interventi vengono demandati alle componenti spaziali, aeree, navali e terrestri che operano “in piena autonomia” nei teatri di guerra. Un network dunque che azzererà le tradizionali catene di comando-decisionali e impedirà qualsivoglia forma d’interferenza da parte delle autorità politiche sulle scelte e l’operato delle forze armate. Un modello ritenuto “indispensabile” perché “il campo di battaglia è ormai indefinito, la minaccia è asimmetrica e il nemico è invisibile, onnipresente e capace di colpire ovunque”. Un’orgia di follia, mentre cresce l’assuefazione dei giusti e dei pii all’odore acre della morte. Come in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Libia, Somalia. E il sonno della ragione genera nuovi e più terribili mostri.
AGS, affare Usa sulle tasche Nato
Come dare torto al segretario della difesa USA, Leon Panetta. È sicuramente un “ottimo accordo” quello raggiunto tra i paesi Nato per l’AGS a Sigonella. Ottimo per i massimizzare i profitti delle industrie chiave del complesso militare industriale degli Stati Uniti d’America e trasferire ai partner europei gli oneri finanziari e gli insostenibili impatti ambientali e sociali.
Merita essere rammentata la storia che ha portato a fare della Sicilia la patria-colonia dei falchi globali per le missioni di guerra del XXI secolo. Maturata la decisione di dar vita a quello che per voce di Bruxelles è il più “ambizioso e costoso” programma della storia dell’alleanza atlantica, l’ultimo governo Prodi candidò l’Italia quale main operating base del sistema AGS, negli stessi mesi in cui offriva segretamente l’ex scalo Dal Molin di Vicenza alle truppe aviotrasportate dell’esercito USA e la riserva naturale “Sughereta” di Niscemi al MUOStro per le telecomunicazioni spaziali della Us Navy.
Il 19 e 20 febbraio 2009, durante il vertice dei ministri della difesa Nato, venne raggiunto un accordo di massima per assegnare a Sigonella i comandi e gli aerei senza pilota AGS, dopo una lunga e lacerante trattativa che aveva visto ridurre progressivamente a 13 il numero dei paesi disposti a contribuire economicamente al programma (Stati Uniti, Italia, Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Romania, Slovacchia e Slovenia).
Originariamente, il piano di sviluppo del sistema di sorveglianza vedeva associate 23 nazioni. Tutte determinate a dividersi le ultramilionarie commesse per allestire aerei e centri d’intelligence. “C’erano in gara due consorzi d’industrie che proponevano piattaforme diverse, la Transatlantic Industrial Proposed Solution (TIPS) ed il Cooperative Transatlantic AGS System (CTAS)”, ha riferito l’esperto John Shimkus all’Assemblea Parlamentare della Nato. “Tutti e due i consorzi proponevano di utilizzare lo stesso sistema radar di base. La principale differenza era il tipo di piattaforma aerea suggerita. TIPS prospettava una combinazione del velivolo europeo Airbus A321 e dell’aereo senza pilota Global Hawk di produzione statunitense, mentre CTAS prevedeva un’associazione di piccoli aerei Bombardier e Predator. Quest’ultima proposta sarebbe risultata meno costosa per l’acquisto del velivolo, ma avrebbe presupposto il doppio di stazioni a terra rispetto al sistema TIPS (49 contro 24)”.
Fu così che il vertice Nato di Istanbul dell’aprile 2004 attribuì al consorzio TIPS la ricerca e la progettazione delle apparecchiature terrestri e aeree dell’AGS. La scelta accontentava quasi tutti i maggiori protagonisti dell’industria bellica transatlantica: dai colossi Usa Northrop Grumman e General Dynamics, al gruppo aerospaziale franco-tedesco-olandese EADS, ai francesi di Thales, agli spagnoli di Indra sino alle italiane Selex e Galileo (gruppo Finmeccanica). Nel novembre 2007, l’inatteso colpo di scena. Senza consultarsi con gli alleati, l’amministrazione degli Stati Uniti annunciò l’abbandono della soluzione “mista” e affidò in esclusiva la realizzazione dell’intero sistema AGS alla Northrop Grumman, produttrice dei “Global Hawk”. La delusione degli europei fu incontenibile e, uno dopo l’altro, Belgio, Francia, Ungheria, Olanda, Portogallo, Grecia e Spagna ritirarono il proprio appoggio finanziario ed industriale, con la conseguenza che aumentò l’onere a carico dell’Italia.
In cambio di una subfornitura delle due aziende Finmeccanica di apparecchiature destinate alle stazioni terrestri e alle comunicazioni e la trasmissione dei dati, il governo italiano si accollò una spesa di 177,23 milioni di euro, pari al 12,26% del costo globale del programma (stimato in 1.335 milioni di euro). Nel settembre 2009, il memorandum sottoscritto in sede Nato per definire il quadro giuridico, organizzativo e finanziario dell’AGS ha tuttavia stimato i costi finali del programma a non meno di 2 miliardi di euro. Ciò significherà per il nostro paese un esborso di 245 milioni circa, a cui si aggiungeranno i costi per le trasformazioni infrastrutturali necessarie ad ospitare a Sigonella il personale Nato preposto al funzionamento del sistema, 800 militari circa, secondo l’ex ministro La Russa. Con la conseguente spinta ad accrescere la già asfissiante pressione militare sui territori della regione.
Le ombre più funeste riguardano però il futuro del traffico aereo in Sicilia. Quando le autorità spagnole che in un primo tempo avevano candidato Zaragoza come base operativa dell’AGS decisero di ritirarsi, spiegarono che i velivoli senza pilota avrebbero pregiudicato il normale funzionamento del vicino aeroporto della città. “Dato che le aeronavi della Nato voleranno continuamente per catturare le informazioni, si potevano generare restrizioni al traffico aereo, saturazione nello spazio aereo e problemi durante gli atterraggi e i decolli”, dichiarò un portavoce dell’allora governo Zapatero. Una valutazione dei rischi per la sicurezza dei sei milioni e mezzo di passeggeri in transito annualmente dallo scalo di Catania-Fontanarossa che i governi Prodi, Berlusconi e Monti non si sono sentiti di dover fare.
Il 31 marzo 2008, l’allora comandante del 41° Stormo dell’Aeronautica militare italiana, colonnello Antonio Di Fiore, aveva assicurato un parlamentare e i rappresentante della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella che mai sarebbero stati trasferiti nella base siciliana i Global Hawk in quanto “la gestione di quel tipo di aerei senza pilota non è compatibile col traffico civile del vicino aeroporto civile Fontanarossa”. Oggi, però, nella base ci sono attivi perlomeno tre falchi globali e il Congresso ha approvato un piano di 15 milioni di dollari per installarvi una selva di antenne e generatori di potenza per supportare le telecomunicazioni via satellite dell’Unmanned Aircraft System (il sistema degli aerei senza pilota) e gestire le operazioni dei droni.
“Nel nuovo centro sorgeranno dodici ripetitori con antenne, attrezzature e macchinari, con la possibilità di aggiungere altri otto ripetitori della stessa tipologia”, è riportato nella scheda progettuale del Dipartimento della difesa. Intanto procedono celermente i lavori di realizzazione del Global Hawk Aircraft Maintanance and Operations Complex, il complesso che consentirà ai militari Usa di eseguire a Sigonella la manutenzione dell’intera flotta degli aerei senza pilota schierata in Europa e Medio oriente. L’appalto per 16 milioni e mezzo di euro è stato assegnato dal Pentagono alla CMC - Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna, società di costruzioni leader della “rossa” Lega Coop. Rossa di vergogna per aver disseminato l’Italia di basi e infrastrutture Usa e Nato. E gestire da mercenaria i centri-prigione per migranti, rifugiati e richiedenti asilo.
La Sicilia sacrificata sull’altare del dio di tutte le guerre. Quelle di oggi e quelle future. Negli oceani, in cielo, in terra. Guerre satellitari, spaziali, stellari. Disumanizzate e disumanizzanti. Da combattere su un monitor a migliaia di chilometri distanti. Con aerei senza pilota e bombe teleguidate. Ordigni di ogni tipo, forma e dimensione. Al laser o all’uranio impoverito, killer elettromagnetici o nucleari. Target “virtuali” ma terribilmente reali: bambini, donne, anziani di cui nessuno conoscerà mai volti e identità. Corpi da spezzare, stuprare, dilaniare. Continenti da affamare. Popoli da sterminare.
I signori e i marcanti di morte hanno ipotecato ruolo e funzioni dell’isola: trampolino di guerra per colpire regimi disobbedienti e perpetuare ingiustizie e disuguaglianze planetarie; enorme centrale di spionaggio per incunearsi nelle vite di ognuno, dall’Atlantico agli Urali, dall’Africa all’estremo oriente. Il territorio siciliano è divorato dal cancro Sigonella, la più grande base militare Usa, Nato ed extra-Nato nel Mediterraneo. E le metastasi hanno pervaso Niscemi, Birgi, Augusta, Pantelleria, Lampedusa, Marsala, Noto-Mezzogregorio, Pachino, sedi di supersegrete installazioni militari e laboratori sperimentali dell’olocausto del terzo millennio.
A Bruxelles, l’ultimo summit dei ministri della difesa della Nato ha ufficializzato la scelta di Sigonella come “principale base operativa” dell’AGS (Alliance Ground Surveillance), il nuovo sistema di sorveglianza terrestre dell’Alleanza: un Grande Orecchio per monitorare il globo 24 ore al giorno, individuare gli obiettivi e scatenare il first stike, convenzionale o nucleare, in nome della guerra globale e permanente, preventiva e distruttiva. Entro cinque anni, nella grande stazione aereonavale saranno ospitati i sistemi di comando e di controllo dell’AGS che analizzeranno le informazioni intercettate da migliaia di sistemi radar satellitari, aerei, navali e terrestri. Per poter poi pianificare e ordinare gli attacchi, ovunque e comunque. Senza vincoli e regole morali.
Strumento cardine del nuovo sistema Nato, il più grande e sofisticato velivolo senza pilota mai progettato, l’RQ-4 “Global Hawk”, un falco globale di 13 metri e mezzo di lunghezza e un’apertura alare di oltre 35, in grado di volare a circa
Per gli strateghi del Pentagono, la Sicilia dovrà fare da vera e propria caput mundi di falchi e predatori teleguidati: una decina i “Global Hawk” che l’aeronautica e la marina militare Usa si apprestano a dislocare; ancora più numerosi i “Predator” e i “Reaper” lanciamissili e lanciabombe. Per l’AGS di Sigonella, i “Global Hawk” dovrebbero essere ufficiosamente quattro, forse cinque e magari sei. O perfino otto, come riferì in Parlamento il 12 giugno 2009 l’allora ministro della difesa Ignazio La Russa. “L’Alleanza atlantica acquisterà un sistema di sorveglianza aerea basato su una flotta di otto velivoli a pilotaggio remoto e un segmento terrestre di guida e controllo, da integrare nell’ambito del sistema C4ISTAR della Nato”, annunciò il ministro che più si è battuto per fare di Sigonella la centrale strategica del nuovo sistema di sorveglianza.
Di otto falchi globali ha parlato pure Ludwig Decamps, caposezione dei programmi di armamento della Nato. “Il sistema AGS sarà fondamentale per le missioni alleate nell’area mediterranea ed in Afghanistan, così come per assistere i compiti della coalizione navale contro la pirateria a largo delle coste della Somalia e nel Golfo di Aden”, ha dichiarato. “L’AGS fornirà un preciso quadro della situazione operativa soprattutto per tutti i responsabili della Nato Response Force, la forza d’intervento rapido alleata, accrescendo le capacità di sorveglianza aerea. Il sistema consentirà inoltre di supportare i crescenti requisiti operativi anche per la gestione delle crisi, la sicurezza nazionale e gli aiuti umanitari”.
Per comprendere appieno la vocazione umanitarista degli odierni apprendisti stregoni bisogna dare un’occhiata alla nuova dottrina strategica dell’Alleanza, denominata NCW Network Centric Warfare. “L’AGS è un programma di vitale importanza per poter applicare sul campo la NCW e puntare all’integrazione in tempo reale delle forze militari in un’unica rete informativa globale”, spiegano a Bruxelles. “La NCW prevede un radicale cambiamento nei rapporti tra piano strategico, operativo e tattico e un diverso modo di comunicare, pianificare ed operare tra Comandi e forze militari”. Per farla breve, stabiliti gli obiettivi prioritari “senza limiti geografici”, gli interventi vengono demandati alle componenti spaziali, aeree, navali e terrestri che operano “in piena autonomia” nei teatri di guerra. Un network dunque che azzererà le tradizionali catene di comando-decisionali e impedirà qualsivoglia forma d’interferenza da parte delle autorità politiche sulle scelte e l’operato delle forze armate. Un modello ritenuto “indispensabile” perché “il campo di battaglia è ormai indefinito, la minaccia è asimmetrica e il nemico è invisibile, onnipresente e capace di colpire ovunque”. Un’orgia di follia, mentre cresce l’assuefazione dei giusti e dei pii all’odore acre della morte. Come in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Libia, Somalia. E il sonno della ragione genera nuovi e più terribili mostri.
AGS, affare Usa sulle tasche Nato
Come dare torto al segretario della difesa USA, Leon Panetta. È sicuramente un “ottimo accordo” quello raggiunto tra i paesi Nato per l’AGS a Sigonella. Ottimo per i massimizzare i profitti delle industrie chiave del complesso militare industriale degli Stati Uniti d’America e trasferire ai partner europei gli oneri finanziari e gli insostenibili impatti ambientali e sociali.
Merita essere rammentata la storia che ha portato a fare della Sicilia la patria-colonia dei falchi globali per le missioni di guerra del XXI secolo. Maturata la decisione di dar vita a quello che per voce di Bruxelles è il più “ambizioso e costoso” programma della storia dell’alleanza atlantica, l’ultimo governo Prodi candidò l’Italia quale main operating base del sistema AGS, negli stessi mesi in cui offriva segretamente l’ex scalo Dal Molin di Vicenza alle truppe aviotrasportate dell’esercito USA e la riserva naturale “Sughereta” di Niscemi al MUOStro per le telecomunicazioni spaziali della Us Navy.
Il 19 e 20 febbraio 2009, durante il vertice dei ministri della difesa Nato, venne raggiunto un accordo di massima per assegnare a Sigonella i comandi e gli aerei senza pilota AGS, dopo una lunga e lacerante trattativa che aveva visto ridurre progressivamente a 13 il numero dei paesi disposti a contribuire economicamente al programma (Stati Uniti, Italia, Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Romania, Slovacchia e Slovenia).
Originariamente, il piano di sviluppo del sistema di sorveglianza vedeva associate 23 nazioni. Tutte determinate a dividersi le ultramilionarie commesse per allestire aerei e centri d’intelligence. “C’erano in gara due consorzi d’industrie che proponevano piattaforme diverse, la Transatlantic Industrial Proposed Solution (TIPS) ed il Cooperative Transatlantic AGS System (CTAS)”, ha riferito l’esperto John Shimkus all’Assemblea Parlamentare della Nato. “Tutti e due i consorzi proponevano di utilizzare lo stesso sistema radar di base. La principale differenza era il tipo di piattaforma aerea suggerita. TIPS prospettava una combinazione del velivolo europeo Airbus A321 e dell’aereo senza pilota Global Hawk di produzione statunitense, mentre CTAS prevedeva un’associazione di piccoli aerei Bombardier e Predator. Quest’ultima proposta sarebbe risultata meno costosa per l’acquisto del velivolo, ma avrebbe presupposto il doppio di stazioni a terra rispetto al sistema TIPS (49 contro 24)”.
Fu così che il vertice Nato di Istanbul dell’aprile 2004 attribuì al consorzio TIPS la ricerca e la progettazione delle apparecchiature terrestri e aeree dell’AGS. La scelta accontentava quasi tutti i maggiori protagonisti dell’industria bellica transatlantica: dai colossi Usa Northrop Grumman e General Dynamics, al gruppo aerospaziale franco-tedesco-olandese EADS, ai francesi di Thales, agli spagnoli di Indra sino alle italiane Selex e Galileo (gruppo Finmeccanica). Nel novembre 2007, l’inatteso colpo di scena. Senza consultarsi con gli alleati, l’amministrazione degli Stati Uniti annunciò l’abbandono della soluzione “mista” e affidò in esclusiva la realizzazione dell’intero sistema AGS alla Northrop Grumman, produttrice dei “Global Hawk”. La delusione degli europei fu incontenibile e, uno dopo l’altro, Belgio, Francia, Ungheria, Olanda, Portogallo, Grecia e Spagna ritirarono il proprio appoggio finanziario ed industriale, con la conseguenza che aumentò l’onere a carico dell’Italia.
In cambio di una subfornitura delle due aziende Finmeccanica di apparecchiature destinate alle stazioni terrestri e alle comunicazioni e la trasmissione dei dati, il governo italiano si accollò una spesa di 177,23 milioni di euro, pari al 12,26% del costo globale del programma (stimato in 1.335 milioni di euro). Nel settembre 2009, il memorandum sottoscritto in sede Nato per definire il quadro giuridico, organizzativo e finanziario dell’AGS ha tuttavia stimato i costi finali del programma a non meno di 2 miliardi di euro. Ciò significherà per il nostro paese un esborso di 245 milioni circa, a cui si aggiungeranno i costi per le trasformazioni infrastrutturali necessarie ad ospitare a Sigonella il personale Nato preposto al funzionamento del sistema, 800 militari circa, secondo l’ex ministro La Russa. Con la conseguente spinta ad accrescere la già asfissiante pressione militare sui territori della regione.
Le ombre più funeste riguardano però il futuro del traffico aereo in Sicilia. Quando le autorità spagnole che in un primo tempo avevano candidato Zaragoza come base operativa dell’AGS decisero di ritirarsi, spiegarono che i velivoli senza pilota avrebbero pregiudicato il normale funzionamento del vicino aeroporto della città. “Dato che le aeronavi della Nato voleranno continuamente per catturare le informazioni, si potevano generare restrizioni al traffico aereo, saturazione nello spazio aereo e problemi durante gli atterraggi e i decolli”, dichiarò un portavoce dell’allora governo Zapatero. Una valutazione dei rischi per la sicurezza dei sei milioni e mezzo di passeggeri in transito annualmente dallo scalo di Catania-Fontanarossa che i governi Prodi, Berlusconi e Monti non si sono sentiti di dover fare.
Il 31 marzo 2008, l’allora comandante del 41° Stormo dell’Aeronautica militare italiana, colonnello Antonio Di Fiore, aveva assicurato un parlamentare e i rappresentante della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella che mai sarebbero stati trasferiti nella base siciliana i Global Hawk in quanto “la gestione di quel tipo di aerei senza pilota non è compatibile col traffico civile del vicino aeroporto civile Fontanarossa”. Oggi, però, nella base ci sono attivi perlomeno tre falchi globali e il Congresso ha approvato un piano di 15 milioni di dollari per installarvi una selva di antenne e generatori di potenza per supportare le telecomunicazioni via satellite dell’Unmanned Aircraft System (il sistema degli aerei senza pilota) e gestire le operazioni dei droni.
“Nel nuovo centro sorgeranno dodici ripetitori con antenne, attrezzature e macchinari, con la possibilità di aggiungere altri otto ripetitori della stessa tipologia”, è riportato nella scheda progettuale del Dipartimento della difesa. Intanto procedono celermente i lavori di realizzazione del Global Hawk Aircraft Maintanance and Operations Complex, il complesso che consentirà ai militari Usa di eseguire a Sigonella la manutenzione dell’intera flotta degli aerei senza pilota schierata in Europa e Medio oriente. L’appalto per 16 milioni e mezzo di euro è stato assegnato dal Pentagono alla CMC - Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna, società di costruzioni leader della “rossa” Lega Coop. Rossa di vergogna per aver disseminato l’Italia di basi e infrastrutture Usa e Nato. E gestire da mercenaria i centri-prigione per migranti, rifugiati e richiedenti asilo.
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