Il ciclo delle armi e Finmeccanica
“Ci sono più di 550 milioni di armi da fuoco in circolazione nel mondo. Significa che c'è un'arma da fuoco ogni dodici persone nel pianeta. La domanda è: come armiamo le altre undici?”
(Lord of War)
Durante il convegno che si è svolto a Varese nel mese di maggio sulle strategie di riconversione per un’economia forte anche senza guerra, si è discusso se la teoria economica keynesiana possa essere lo strumento più appropriato, per uscire dall'attuale crisi di fiducia verso i debiti sovrani dell'area euro. Se è così allora bisognerà prendere di petto la sfida del potere finanziario, altrimenti l’austerità volta al risanamento dei conti pubblici, si dimostrerà la via maestra per la ripresa o il fallimento di uno Stato. In particolare si voleva chiarire se la forma del “keynesismo militare”, considerata come “formula” per la sopravvivenza del capitalismo Usa, fosse ancora una soluzione contro la crisi economico-finanziaria.
La risposta è stata che questa politica oggi si è mostrata compatibile con la caduta dei salari dando luogo all'esplosione del fenomeno dei lavoratori poveri, per cui per sostenere l’espansione economica gli si è abbinato un keynesismo… finanziario, fondato sull'indebitamento delle famiglie per rilanciare i consumi. La bolla speculativa del 2008 parte da qui, tuttavia la crisi finanziaria non significa che un ritorno alla sola spesa militare possa essere una soluzione, in quanto non esiste più un mercato protetto dalla concorrenza, ma un mercato e una finanza globali.
E’ risaputo che l’industria militare, sempre bisognosa di ingenti somme di denaro per finanziare sistema d’arma sempre più sofisticati e costosi, richiede una pianificazione della produzione che attualmente i singoli Stati in crisi faticano a sostenere, per cui le aziende cercano di intercettare quote significative della domanda internazionale, rendendo la competizione sui mercati sempre più aggressiva. L’arma è una merce, e la tecnologia avanzata dei sistemi d’arma prevede che per un prodotto che sublimi un elevato contenuto di valore aggiunto (costi di progetto, lay-out, know-how), il costo unitario debba essere ottenuto dal rapporto fra costo globale e entità dimensionale della produzione. L’aspra competizione internazionale che si è creata nel mercato degli armamenti, non solo ha ridotto le barriere riguardanti il trasferimento di tecnologia anche nei paesi storicamente protezionisti (vedi USA, Gran Bretagna, Francia) ma ha anche spinto oltremodo gli Stati, le istituzioni politiche, militari e finanziarie, a supportare le proprie industrie.
L’hanno capito anche i sindacati confederali, che non si fanno remore a chiedere alle aziende di vendere le proprie merci nei paesi in conflitto e in aperta violazione dei diritti umani: “Alenia Aermacchi e Finmeccanica devono impiegare ogni massimo sforzo affinché le trattative per l’M346 avviate con i Paesi come la Polonia, Israele, ecc, si concretizzino in nuovi contratti”.
http://www.uilmvarese.it/Comunicato_incontro1662011.pdf
Ad ogni crisi aziendale i sindacati hanno sempre chiesto ai “vertici aziendali e di Finmeccanica, il Governo e i politici a livello locale e nazionale ad intervenire concretamente affinché una eccellenza produttiva e occupazionale come Alenia Aermacchi prosegua a consolidare e sviluppare programmi di fondamentale importanza per l’intero settore aeronautico e con essi la sua presenza nelle realtà nazionali e internazionali” (anno 2012) o un maggiore sforzo dello Stato nel “rifinanziare la legge 808 sui progetti di cooperazione industriale del settore, ( 270 miliardi nel triennio '93-'95), e il potenziamento della 64 e della 46 ( altri 600 miliardi fino al '95) sulla ricerca. Soldi che dovrebbero servire a trasformare il riordino delle attività' in programmi specifici e concreti” (anno 1993).
Si dimostra quindi fragile il tentativo di sollevare il problema della rincorsa al riarmo globale, se si disgiungono le fasi del ciclo di vita del prodotto arma:
l’arma è una merce a cui vanno computati produttività, costi e commercializzazione: costruzione, consumo e smantellamento. Il prodotto arma, una volta costruito deve essere commercializzato, e una volta promosso sui mercati internazionali attraverso strutture governative che devono autorizzarne l’esportazione http://www.governo.it/Presidenza/UCPMA/index.html , deve essere consumato (vedi conflitti, guerre) o smantellato. Nel 2007 il segretario generale dell'Aiad, l'Associazione industrie per l'aerospazio, i sistemi e la difesa, Carlo Festucci, aveva espresso la necessità di istituire una struttura deputata per promuovere l’export italiano e sostenere le industrie nazionali all’estero, così come avviene in molti paesi come Francia, Germania, Gran Bretagna e anche in Pakistan. Secondo Festucci la legge per il controllo dell'export, la 185, produce una regolamentazione non omogenea che causa di disfunzioni alle aziende. Sostanzialmente si vuole che controllori e controllati siano gli stessi soggetti o le medesime comunità di interessi.
Lo scambio di armamenti, indicatore infallibile delle reali relazioni politiche, economiche e strategiche tra gli Stati, avviene ormai per lo più tramite accordi offset.
Tramite cioè accordi fra Stati che, accanto alla fornitura di armi e sistemi d’arma, prevedono una gamma di servizi di assistenza regolati da subcontratti, formazione di joint ventures, sviluppo di una parte del prodotto nel paese acquirente (ad esempio l’assemblaggio finale), lo scambio di merci, cioè l'impegno da parte del venditore di comprare presso il destinatario prodotti di ritorno che possono essere diversi (es. petrolio) o armi prodotte dal paese acquirente.
La questione dei defense offsets pone non solo problemi di trasparenza ma, essendo uno strumento di politica economica, si ripercuote sul costo totale del contratto e sui lavoratori (es. delocalizzazioni di reparti produttivi).
Per quanto riguarda la trasparenza, secondo Transparency International, che riassume le forme di corruzione legate al peso delle contropartite industriali nelle decisioni “nelle partecipazioni o cooperazioni industriali militari, ci sono tre tipi principali di rischio di corruzione:
1. Creare un bisogno inesistente per una particolare acquisizione di un sistema d'arma;
2. Influenzare la decisione in una gara d'appalto in forme non trasparenti;
3. Utilizzare i meccanismi degli offset per ripagare politici o militari corrotti che hanno determinato l'acquisto
L'art. 346 del Trattato di Lisbona, preserva il diritto di ogni stato membro dell'Unione il diritto al segreto di stato sulla propria sicurezza e sulla produzione e approvvigionamento di armi. Questa è la parte rilevante per gli offset dell'articolo 346:
(b) ogni Stato membro può adottare le misure che ritenga necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si riferiscano alla produzione o al commercio di armi, munizioni e materiale bellico; tali misure non devono alterare le condizioni di concorrenza nel mercato interno per quanto riguarda i prodotti che non siano destinati a fini specificamente militari.''
Unione Europea e segreto di stato: un quadro normativo ancora in piena evoluzione
Portale dell'Agenzia europea per la difesa con elenco dei regolamenti e leggi sugli offset dei paesi europei http://www.eda.europa.eu/offsets/
Offsets in Defense Trade Fifteenth Study
http://www.bis.doc.gov/news/2011/15th_offsets_defense_trade_report.pdf
In Israele, Israel Aerospace Industries, è stata multata di 260.800 dollari per aver negoziato l’esportazione di materiale militare senza l’autorizzazione del Ministero della Difesa.
Il Dipartimento del Ministero nel 2011 ha eseguito controlli e avviato 161 indagini. Per 13 casi si è avviata un’azione disciplinare. Nel 2011 il Ministero ha autorizzato più di 8.000 richieste di esportazione in 130 paesi. Recentemente la divisione export è stata coinvolta in operazioni dubbie riguardanti la vendita di armi a regimi ritenuti poco raccomandabili, effettuate da loschi rivenditori di armi. In particolare si parla di un caso di corruzione con l’India.
In realtà, anche il flusso delle armi dovrebbe essere sottoposto ad un forte controllo politico-diplomatico, ma i servizi di trasporto, che possono essere dati in outsourcing, sfuggono spesso allo stesso. La logistica, nell’epoca postfordista, è diventata infatti uno strumento fondamentale non solo dentro le fabbriche, che delocalizzano e decentrano la produzione attraverso una rete di forniture e subforniture ed esternalizzano i servizi, ma anche per tutto ciò che riguarda i trasporti (non solo di merci ma anche di truppe durante una guerra). Con l'Amministrazione Bush, la domanda logistica correlata alle spese militari ha subìto un'impennata impressionante.
Anche dirigenti dell’italiana Finmeccanica sono stati indagati per tangenti, corruzione, creazione di fondi neri, assunzioni clientelari in consigli di amministrazione, tutte vicende che hanno svelato il legame fra mondo politico, imprese, banche e mediatori istituzionali e non. Da questo punto di vista, è evidente che non solo vi è stato un buco nel controllo finanziario e operativo da parte del ministero dell’Economia, che controlla la maggioranza del Consiglio di amministrazione di Finmeccanica, ma anche nella legge italiana 185/90 che regola l’export di armi e ne vieta la vendita in paesi in conflitto.
L’attuale presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi, indagato anch’esso per corruzione e riciclaggio, ha annunciato che oltre a mettere mano su questa “spregiudicatezza gestionale”, deve mettere in ordine anche al debito di oltre 2,3 miliardi di euro.
In un suo discorso alla Convention dei Dirigenti Finmeccanica a maggio, ha dichiarato che “Ci è ben chiaro quello che Finmeccanica deve diventare: un leader mondiale dell’alta tecnologia, fortemente radicato nel settore della Difesa, ma in grado di affermarsi e trovare nuovi spazi di crescita anche nel settore civile grazie allo sviluppo di tecnologie avanzate”.
Conferma il rapporto particolare con gli Stati Uniti, oltre che nel Regno Unito, evidenziato non solo dalla partecipazione al programma F-35, ma dal rilancio delle collaborazioni industriali deciso nel workshop di maggio ospitato nell’Ambasciata d’Italia a Washington.
All’incontro hanno partecipato l'ambasciatore a Washington, Claudio Bisogniero, il presidente e il segretario generale dell'Aiad, rispettivamente Remo Pertica e Carlo Festucci e il Foreign comparative test team (Fctt) del Pentagono, la cui funzione e' analizzare il mercato internazionale per identificare, sperimentare e acquisire prodotti standardizzati per le forze armate statunitensi. L'Fctt ha fornito alle aziende italiane informazioni sulle modalità' per accedere ai programmi finanziati dal dipartimento alla Difesa (Dod) americano, dedicati a imprese straniere. "La cooperazione tra Italia e Stati Uniti nel campo dell'industria per la Difesa e' molto solida e vitale - ha spiegato Bisogniero -, e riflette gli eccellenti rapporti bilaterali e l'elevato potenziale tecnologico e di innovazione delle aziende italiane del settore".
La partecipazione italiana al progetto F-35 riporta in auge un vecchio conflitto fra manager d’ impresa e vertici delle Forze armate: Cesare Gianni, ex- Direttore Centrale e Responsabile dei Velivoli Militari Alenia, riconosce ai vertici dell'Aeronautica e Marina la prerogativa di decidere il tipo di velivolo che serve, ma critica la Difesa che nella definizione dei requisiti per il programma d'ammodernamento della flotta, si sarebbe avvalsa di competenze tecnico-industriale troppo coinvolte direttamente. "Se all'industria non è dato interferire con le scelte operative della Difesa, è improprio che la Difesa giustifichi con motivazioni industriali inconsistenti le decisioni assunte. Quello che non si può assolutamente accettare e va contestato con determinazione è che la Difesa con la scelta del Joint Strike Fighter avrebbe inteso favorire l'industria nazionale Non è così".
Dell’esclusione dalle attività di sviluppo e sperimentazione del sistema d'arma, e dalle informazioni e dati tecnici relativi riservati all'industria americana e secretati, si è ampiamente scritto.
Lo stesso della realizzazione di una linea di assemblaggio finale, che nelle condizioni imposte dal programma, rappresentano un'operazione più di facciata che di reale valore e contenuto.
Gli stessi sindacati confederali hanno più volte denunciato che se a Torino Caselle non saranno avviati presto nuovi programmi militari, questi impianti verranno "disassemblati" dalla FACO, pezzo dopo pezzo.
Diventa evidente che se la scelta dell’F-35 è in primis politico-militare e poi, forse, industriale, è senz’altro un simbolo della decisa volontà italiana di cedere parte della sovranità nazionale all’alleato americano.
Quanto l’ “affare F-35” indebolisca Finmeccanica piuttosto che rafforzarla, è evidenziato dalla situazione di ricatto che si è creata in Canada. L’azienda madre Lockheed Martin ha avvertito il paese che le aziende canadesi per ora coinvolte nella produzione, perderanno tutti i contratti ricevuti se il governo decide di non acquistare il caccia stealth.
Un totale di 435 milioni di dollari sono stati assegnati a 66 società canadesi dal 1997 tramite contratto, però i ritardi e sovraccosti che affliggono l'F-35 costerebbero almeno 25 miliardi dollari al Canada, 10 miliardi in più di quello che si è riferito in Parlamento.
Data la situazione di forte indebitamento, il presidente Orsi ha ribadito la cessione di Ansaldo Energia, Ansaldo Breda e Ansaldo STS, non come necessità di fare cassa o volontà di abbandonare il campo civile, ma come scelta strategica per una nuova Finmeccanica che vuole diventare un leader mondiale dell’alta tecnologia, un presidio sulle “più avanzate frontiere della conoscenza e della tecnologia applicata”.
In questo senso persiste la convinzione che l’alta tecnologia è originata dai sistemi per la Difesa, per poi trovare applicazione anche nel campo civile. Convinzione che purtroppo si riscontra anche nelle segreterie sindacali e in tutti i partiti politici. Risulta pertanto debole la giusta contestazione che i sindacati rivolgono ai vertici di Finmeccanica, circa le cessioni nei campi energia e trasporti. Se da una parte l’approccio di Finmeccanica non è chiaro, perché dichiara di non voler fare una pura operazione di cassa, tranne poi ammettere che se ci saranno forti commesse si potrà rivedere il piano, anche la politica industriale proposta dai sindacati si ferma a metà permettendo all’holding di disinvestire in questi settori. Viceversa Alenia Aermacchi di Pomigliano (NA), che ha ospitato recentemente un meeting internazionale sul programma europeo “Clean Sky”, un progetto promosso dalla Commissione europea di cui Alenia è leader, dimostra che la tecnologia avanzata può nascere dal civile e servire scopi nobili. Il progetto ha come obiettivo quello di studiare le tecnologie e la configurazione degli aerei commerciali del futuro, con un focus sulla eco-compatibilità, sul miglioramento dell’efficienza energetica e sulla riduzione dell’impatto acustico.
Gli stabilimenti di Alenia Aermacchi di Torino e Varese invece, sono destinati a sviluppare il settore militare che, proprio in relazione all’F-35, al 346 o all’UCAV, possono sperare solo in un mondo in continua tensione che pensa di risolvere le crisi strutturali con le armi.
Il settore dell’elettronica è quello che maggior rende visibile la trasformazione del campo di battaglia nelle nuove guerre, qui il confine fra difesa e sicurezza, interno ed esterno, si riduce.
Il nuovo business è quello della homeland security, delle attività di intelligence e della cyber security. Orsi intende continuare nell’unificazione delle tre Selex per sviluppare al meglio quelle tecnologie duali che si possono applicare sia in campo civile sia in campo militare. Stesso discorso vale per lo spazio dove Finmeccanica possiede Telespazio e partecipa alla Thales Alenia Space. Altre aziende come Agusta, Oto Melara e Wass puntano sulle alleanze, se Agusta è già pienamente rivolta alla Gran Bretagna, per le altre due si sta pensando a partnership come MBDA.
Le considerazioni finali che possono interessare il movimento pacifista e antimilitarista chiariscono bene con quale sguardo bisogna affrontare il tema delle industrie belliche: lo sviluppo delle tecnologie e dei prodotti è sempre finalizzato al mercato.
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