L'industria bellica israeliana e le ragioni della manifestazione Nessun M346 per Israele
(Piccolo contributo alla manifestazione nessunm346xisraele)
Prima di entrare nel merito della storia dell’industria bellica israeliana, è importante ricordare la composizione sociale che ha permesso lo sviluppo del capitalismo israeliano. Entrambe, infatti, hanno vissuto la stessa evoluzione avvenuta grazie all’intreccio degli stessi fattori: forte immigrazione, importanti sovvenzioni estere e una società in stato di guerra permanente.
Secondo Amir Ben-Porat, professore emerito di sociologia alla Ben-Gurion University del Negev, autore del libro "The State and Capitalism in Israel”, in Israele dal 1948, quando è nato lo Stato, il processo di formazione di una società capitalista è stato alla base di tutti gli altri processi importanti. Per spiegare cioè il capitalismo in Israele, è necessario un punto di vista che tratti tutti i problemi dell’impianto del capitalismo negli stati post-coloniali. Fra questi, una poco sviluppata struttura di classe della società, la continua dipendenza post-coloniale e, soprattutto, il ruolo centrale dello Stato che deve potenziare, ma anche regolare, il capitalismo. La storia della sovranità dello Stato di Israele è una storia che ha conosciuto conflitti nazionalistici, culturali ed etnici (la lingua ebraica moderna fu progettata a tavolino da Ben Yeouda).
Sebbene, ancora prima del 1948, furono gli ebrei dell’Europa orientale a trasformare l’immigrazione in Palestina da fenomeno episodico a movimento organico, al rapido sviluppo economico del Paese ha dato un contributo importante la natura dell’immigrazione: gli immigranti provenienti dall’Europa e dall’America (50% circa del totale) comprendevano un’elevata percentuale di operai specializzati, tecnici, ingegneri, economisti e medici. Nel 1938 la mano d’opera industriale occupava un posto di primo piano nella struttura economica e sociale della Palestina, anche se le due componenti araba e ebraica non godevano degli stessi diritti.
La classe operaia araba infatti era stata reclutata in massima parte dalle file dei contadini, mentre il proletariato ebraico proveniva in buona parte dal ceto medio inferiore delle città europee: era quindi inevitabile che vi fossero sensibili differenze nell’organizzazione dei due settori del proletariato palestinese, che si riflettevano sulle rispettive condizioni di lavoro*. Per i lavoratori ebrei stipendi e salari erano rigorosamente determinati dalla contrattazione collettiva, per i lavoratori arabi i salari erano generalmente determinati dalla legge della domanda e dell’offerta, e variavano sensibilmente da una località all’altra (lo scarto poteva andare dal 60 a oltre il 400% in più). Di fatto la fase attuale dell’economia di Israele, che ha raggiunto uno stadio di sviluppo capitalistico avanzato in grado di esportare capitali di poco inferiori alle importazioni soprattutto verso paesi in via di sviluppo, è stato possibile grazie agli imponenti apporti esterni di mano d’opera, conoscenze tecniche e scientifiche e beni di investimento.
Nonostante Israele non abbia vissuto una vera e propria lotta di classe, nel 1971 le “Pantere Nere” israeliane, un’organizzazione che si batteva per il riconoscimento dell’uguaglianza di diritti tra ebrei provenienti dai paesi arabi, i cosiddetti “sefarditi”, ebrei provenienti dall’occidente “askhenaziti” ed ebrei provenienti dall’Europa orientale, organizzò una protesta contro la discriminazione razziale rivelando l’esistenza di una seconda Israele povera e sfruttata. Il movimento delle Pantere nere, che nacque nel quartiere Morasha di Gerusalemme, lo stesso quartiere che nel 1948 fu sgombrato dei palestinesi per sistemare gli ebrei fatti arrivare dal medio oriente, si sentiva molto vicino ai palestinesi, fu duramente represso. Se lo Stato sionista è sempre riuscito, anche grazie alle importanti sovvenzioni nordamericane, a stabilizzare il nuovo Stato attorno alla retorica della “difesa nazionale”, la progressiva identificazione con lo Stato sionista, l’agente sociale predominante, è avvenuta solo in parte con la Guerra dei Sei Giorni e quella del 1973.
Attualmente la società israeliana è fortemente polarizzata. Nella relazione annuale della Banca di Israele del 2010 si legge che vi sono 20 gruppi, tutti di natura familiare e strutturati in forma di piramide, che controllano la gran parte delle imprese pubbliche e circa la meta delle quote di mercato. La crisi economica ha provocato un tasso di disoccupazione del 5,58% e le proteste degli “Indignati” israeliani che fanno sentire la voce di chi si sente ormai marginalizzato.
C’è da aggiungere che l’appropriazione delle risorse idriche della Cisgiordania e del Golan, ha prodotto uno strangolamento dell’economia dei Territori, causando la proletarizzazione della popolazione agricola costretta ad ingrossare le fila dei palestinesi che vanno a lavorare sulla costa israeliana. I Territori palestinesi occupati militarmente da Israele rappresentano un mercato supplementare per i prodotti israeliani. L’occupazione militare e la continua espansione degli insediamenti dei coloni israeliani, fa sì che la condizione di questi lavoratori nei Territori rimangano estremamente precarie. http://www.ilo.org/ilc/ILCSessions/101stSession/reports/reports-submitted/WCMS_181071/lang--en/index.htm
Se è vero che nell’agosto del 2012 il governo israeliano ha deciso di aumentare la quota dei lavoratori edili palestinesi ai quali è permesso entrare in Israele, è anche vero che pochi mesi prima il ministro dell’Interno Eli Yishai ha applicato il piano Going Home, che prevede il rimpatrio di 50.000 immigrati africani. 1.000 originari del Sud Sudan e della Costa d’Avorio sono già stati deportati, mentre altri 1.000 sono trattenuti nelle strutture delle autorità PIBA (responsabile dell’immigrazione clandestina).
Dunque ai lavoratori di altri paesi si preferiscono i lavoratori palestinesi solo perché hanno meno probabilità di stabilirsi in Israele.
La deportazione degli immigrati africani non impedisce però a Israele di fornire armi nei paesi dell'Africa sub sahariana, anche in presenza di conflitti o ai regimi non democratici. http://books.sipri.org/product_info?c_product_id=432
Secondo il report statunitense “Cessioni di armamenti convenzionali alle nazioni in via di sviluppo 2004-2011”, Israele risulta uno dei principali paesi esportatori di armi con un fatturato stimato attorno circa 12,9 miliardi di dollari (1,8 miliardi nel 2011) classificandosi così all’ottavo posto tra i più grandi fornitori d’armi (dietro Stati Uniti, Russia, Francia, Regno Unito, Germania, Cina e Italia).
Al contempo Israele è anche uno dei maggiori acquirenti di armi del mondo (nono posto) di provenienza in gran parte statunitense. http://www.fas.org/sgp/crs/weapons/R42678.pdf
Il legame particolare fra Israele e Stati Uniti è stato analizzato nel 1972 nello studio “Israel's Expanding Arms Industry” del Journal of Palestine Studies. In queste pagine si conferma non solo quanto Israele sia diventato parte integrante della strategia della superpotenza mondiale, ma anche il massiccio flusso di aiuti economici e militari che gli USA hanno assicurato. http://www.maxajl.com/wp-content/uploads/2011/06/Lockwood_Larry_Israels_Arms_Industry_1972.pdf
Pur confermando di essere uno Stato amante della pace “messo però in pericolo dalla belligeranza araba”, le esportazioni di armi israeliane nel 1970 costituivano quasi il 10% dell’esportazioni lorde. Questo tipo di espansione commerciale è stato il riflesso della qualità dei rapporti tenuti con gli investitori straneri, che hanno sempre sperato di sviluppare Israele come avamposto redditizio di materiale tecnologico. Le parole di un uomo di affari americano sono indicative della prospettiva di investitori stranieri: cominciare la fabbricazione con strumenti di produzione locale, stabilire una organizzazione scientifica per attirare ingegneri e trasformare Israele in una base di operazioni internazionali.
Il primo nucleo che ha cominciato a fabbricare bombe a mano ed esplosivi in Israele è stato l’Haganah (difesa)nel 1920. Haganah era una organizzazione militare sionista nata per combattere le rivolte degli arabi palestinesi contro l'insediamento ebraico della Palestina.
Anche se fu messa al bando dalle autorità britanniche, istituì fabbriche clandestine che poi divennero l’attuale IMI nel 1948. Per ordine del governo provvisorio di Israele (31 maggio 1948), l'Haganah fu sciolto come un ente privato e diventò l'esercito nazionale dello Stato.
http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/History/haganah.html
Attualmente sono quattro le aziende leader nel settore della Difesa e dell’esportazione, Sistemi Elbit israeliana (privata), Aerospace Industries (IAI), Rafael e Israele Military Industries (IMI).
I loro punti di forza includono veicoli aerei senza equipaggio, veicoli blindati, munizioni intelligenti, missili, avionica militare e civile, sorveglianza e ricognizione, radar e sistemi elettronici.
In quegli anni la Francia spiccava come principale fornitrice di armi e aerei a Israele. Fu proprio l’embargo imposto della Francia, a seguito della guerra dei Sei Giorni del 1967, a far emergere la prima vera industria della difesa israeliana, l’Israel Aircraft Industries, sostenuta poi dagli Stati Uniti che divennero il principale fornitore di armi. Entrambi condividono “obiettivi strategici nel Medio Oriente (preoccupazione per l'Iran, la Siria, l'estremismo islamico); valori democratici…”
http://fpc.state.gov/documents/organization/134987.pdf
La Francia è coinvolta anche nella costruzione segreta dell’impianto nucleare di Dimona, avvenuta tra il 1957 e il 1964. Originariamente Israele dichiarò che si trattava di un impianto tessile ma quando, nel 1960, un aereo spia statunitense U2 lo fotografò per la prima volta, John F. Kennedy costrinse il primo ministro israeliano, David Ben Gurion, ad accettare ispezioni periodiche da parte di scienziati statunitensi per controllare che lo scopo reale di Dimona restasse la ricerca nucleare civile.
Queste visite diedero al successore di Kennedy, Lyndon B. Johnson, sufficienti certezze per poter affermare pubblicamente che Dimona era un reattore nucleare civile.
Solo la testimonianza di Mordechai Vanunu, verificata da esperti nucleari di ambedue le sponde dell’Atlantico, ha mostrato che Israele deve essere tenuto in considerazione come una potenza nucleare, al sesto posto nella graduatoria atomica. Tuttora il governo israeliano non nega né conferma ufficialmente di possedere armi nucleari, e non aderisce al Trattato non proliferazione nucleare (TNP).
“E’sempre stata nostra intenzione sviluppare un potenziale nucleare.
Ephraim Katzir, quarto presidente di Israele dal 1973 al 1978”
http://www.fas.org/nuke/guide/israel/nuke/farr.htm
Secondo gli analisti locali il vero valore delle aziende della difesa non sta nel contributo diretto all’economia (3% del PIL con circa 50.000 persone occupate), ma nello sviluppo tecnologico e nella formazione di personale qualificato. L’industria della difesa israeliana non è importante solo perché è necessario per Israele sviluppare armi avanzate, ma per la sua capacità di interagire anche con paesi ostili alla politica del governo.
Da questo punto di vista, Israele ha cercato una combinazione fra governo e industria in grado di trarre benefici, lasciando però spazio alla iniziative private (in totale vi sono 150 aziende). La seconda grande azienda privata è la Tadiran-Elisra Group specializzata nella elettronica della difesa, essa produce sistemi di comunicazione sofisticati, apparecchiature per la guerra di Intelligence e simulatori di volo. E’ controllata da Koor Industries.
Altre aziende private, come la Friendly Robotics, producono per il civile ma sono di derivazione militare.
Le esportazioni di Israele sono coordinati e regolate attraverso SIBAT http://en.sibat.mod.gov.il/Pages/home.aspx, organismo gestito dal Ministero della Difesa.
Il rapporto dell’Europa con Israele è sempre stato ambiguo.
L’Europa applica sanzioni ed embarghi nei casi di violazioni del diritto internazionale o dei diritti umani, o di politiche che non rispettano lo Stato di diritto o i principi democratici.
Nel quadro della politica estera e di sicurezza comune, l'UE adotta embarghi sulle armi per arrestare il flusso di armi e di attrezzature militari verso zone che sono teatro di conflitti, o verso regimi che potrebbero utilizzarle per la repressione interna o per aggressioni nei confronti di un paese straniero.
http://eeas.europa.eu/cfsp/sanctions/docs/index_it.pdf
Nel 2002 il Parlamento Europeo attraverso una Risoluzione sulla situazione in Medio Oriente ha invitato il Consiglio a decretare un embargo sulle forniture di armi a Israele e alla Palestina http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+TA+P5-TA-2002-0173+0+DOC+PDF+V0//IT
Un'altra risoluzione in cui è stato richiesto l'embargo è stata elaborata durante la guerra di Gaza nel 2009, ma non è mai stata adottata
http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+MOTION+B6-2009-0054+0+DOC+XML+V0//IT
Il 3 Marzo 2010 viene approvata una Risoluzione del Parlamento europeo sull'attuazione del rapporto Goldstone. Gaza: rispetto dei diritti umani e accertamento delle responsabilità
http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=IM-PRESS&reference=20100226FCS69663&language=IT#title4
Eppure dalla relazione annuale degli Stati membri dell'UE sul commercio delle armi si può notare che nel periodo 2005-2009 sono state rilasciate autorizzazioni all'esportazione di materiali di armamento verso Israele per un valore di 7.465.500.000 euro.
I maggiori esportatori di questo periodo sono stati Francia, Germania, Regno Unito, Romania, Belgio. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2011:009:0001:0417:IT:PDF
L'Unione europea sta finanziando l'industria israeliana armi con le sovvenzioni di ricerca. Il budget stanziato per il programma ESPR è 1,4 miliardi di euro dal 2007 al 2013.
Security Co-operation between the EU and Israel
http://www.statewatch.org/news/2010/nov/quaker-esrc-briefing.pdf
In particolare:
Dal 2005 al 2009, la Francia è stata il più grande esportatore di armi verso Israele. Per una analisi sul rapporto Francia-Israele “France-Israël : From military to security cooperation” http://www.enaat.org/reports/2011-FR.pdf
La Germania ha recentemente sostituito la Francia come più grande fornitore europeo per l'esercito israeliano. La cooperazione militare risale al 1955-1956 ed è stata segnata da una volontà di riservatezza. Viene Analizzata in “The German-Israeli Armaments Cooperation” http://www.bits.de/public/articles/cast06-02.htm del 2002 e in http://axisoflogic.com/artman/publish/Article_29923.shtml 2009
Nel Regno Unito la Commissione per il controllo delle esportazioni di armi nel 2011 ha concluso che "... la politica del governo in materia di esportazione di armi o componenti di armi che potrebbero essere usate nei Territori palestinesi occupati sembra essere confusa” http://www.publications.parliament.uk/pa/cm201011/cmselect/cmquad/686/68614.htm
Ma sebbene la politica del regno Unito non permetta la vendita di armi a Israele se usate contro i Territori occupati, l’esportazione di armi verso Israele aumenta http://www.palestinecampaign.org/images/arms%20briefing%20final.pdf
In Spagna il Centro Delas ha pubblicato una sintesi sulle relazioni militari Spagnolo-israeliane in cui si analizza la militarizzazione di Israele e i regolamenti commerciali della UE.
“molti di noi potrebbero essere mirati in futuro come i residenti di Gaza, Nablus e Hebron oggi, siamo davvero tutti i palestinesi”.
http://www.centredelas.org/attachments/604_llibre_eng_armament.pdf
L’Olanda viene usata come porto di transito dei più importanti trasferimenti di armi, ma una proposta parlamentare per un migliore controllo durante la guerra di Gaza è stata respinta. http://stopwapenhandel.org/node/1069
Il Belgio fa parte dei cinque principali esportatori europei in Israele. Considera Israele come una destinazione sensibile, a causa della violazione dei diritti umani e la persistenza di tensioni e di conflitti regionali. Tuttavia, Israele è il quarto paese delle esportazioni belghe in Medio Oriente. http://www.demorgen.be/dm/nl/2461/De-Gedachte/article/detail/633053/2009/01/22/Militair-Israel-en-het-Belgische-bedrijfsleven-twee-handen-op-een-buik.dhtml
Italia: le ragioni della manifestazione nazionale Nessun M346 a Israele
Fin dal 2005 è operativo uno scellerato accordo di “cooperazione militare”, economica e scientifica tra il nostro Paese ed Israele. Un accordo che non è stato scalfito neppure dall’ “Operazione piombo fuso” del dicembre 2008 - gennaio 2009, che ha visto Israele colpire con il suo “potere aereo” la popolazione palestinese civile inerme (1400 uccisi, di cui ca 400 bambini). Un’ azione militare brutale, senza giustificazioni, nella quale sono state usate anche armi sconosciute o già vietate dalle Convenzioni internazionali (fosforo bianco, bombe D.I.M.E., uranio impoverito) e nella quale Israele ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità (come documentato dall’ ONU nel “Rapporto Goldstone”). Un’operazione condannata dalle principali organizzazioni internazionali per la promozione e la difesa dei diritti umani.
L’Italia, almeno di fronte a ciò, avrebbe dovuto condannare Israele e recedere da quegli accordi di cooperazione militare. Ma come avrebbe potuto quando anch’essa, dopo l’introduzione del “Nuovo Modello di Difesa” nel 1991 - che ammette interventi militari “ovunque i propri interessi siano minacciati” - viola sistematicamente l’articolo 11 della nostra Costituzione, che invece “ ripudia la guerra”? Quando partecipa alle iniziative militari USA e NATO e fa “carta straccia” dello Statuto dell’ONU che voleva “risparmiare la guerra alle generazioni future”, vietandola esplicitamente ?
Il nostro paese non avrebbe dovuto sottoscrivere quell’accordo di cooperazione militare perché esso viola la Legge 185/90 che pone limiti all’export di armi verso paesi belligeranti; a maggior ragione verso Israele, paese in conflitto e fuorilegge per la sistematica violazione delle Risoluzioni ONU e dei pareri della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja a tutela dei diritti del popolo palestinese.
Il Tribunale Russell (un’istituzione composta da personalità emerite, giuristi e intellettuali, tra cui diversi premi Nobel) ha infatti affermato che il popolo palestinese è “soggetto a un regime istituzionalizzato di dominazione che integra la nozione di Apartheid come definita nel diritto internazionale”. E lo Statuto della Corte Penale Internazionale all’art. 7 comma 1 include l’Apartheid tra i “crimini contro l’umanità”, definendolo “atto inumano commesso nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e dominazione di un gruppo razziale su di un altro, e commesso con l’intento di mantenere quel regime”.
Invece accade che, facendo “carta straccia” anche della L.185/90, AleniaAermacchi, la società di Finmeccanica con sede nazionale e stabilimenti significativi a Venegono (Varese), si accinge a consegnare ad Israele 30 jet M346 , definiti come “addestratori tecnologicamente avanzati” ma in realtà già strutturati per essere armati con missili o bombe. Queste armi verranno sicuramente testate contro i palestinesi, prima di tutti.
Nella sua qualità di addestratore l’M346 è finalizzato a formare i piloti all’uso di cacciabombardieri tecnologicamente più evoluti tra i quali il “netcentrico” e “invisibile” F35, di cui Israele si vuole dotare (19 + 56 in opzione), e che anche l’Italia sta purtroppo acquistando per le guerre future.
Negli ultimi mesi è cresciuta in Italia una significativa opposizione all’acquisto degli F35 per il loro costo esorbitante ( non meno di 15 miliardi di euro) che sottrae risorse all’economia civile e ai settori dello “Stato Sociale” già colpiti dai tagli operati da governi più o meno tecnici, capaci solo di colpire i più deboli. Ma l’opposizione agli F35 non è certo solo economica; è soprattutto opposizione alla “neoguerra”, pratica affermatasi negli ultimi 20 anni che chiama “pace” la guerra, e la vorrebbe giustificare come strumento di “sicurezza preventiva” e di “esportazione di democrazia”, giungendo così a definirla “umanitaria”.
Ma “guerra umanitaria” è un ossimoro: la guerra provoca solo morti, feriti, distruzioni e genera odio, rancori e vendette; essa è quanto di più disumano si possa immaginare.
*Una raccolta degli scritti di Stefano su PeaceReporter si trova qui:
http://it.peacereporter.net/ricerca.php?Titolo=&testo=stefano+ferrario&keyword=&numero=21 La notizia della sua tragica morte invece è qui: http://www3.varesenews.it/gallarate_malpensa/articolo.php?Id=235780
L’acquisto da parte di Israele degli M346 e degli F35 – questi ultimi verranno prodotti e periodicamente revisionati a Cameri (Novara) proprio da AleniaAermacchi – è inoltre inserito all’interno di un quadro di riarmo ad alta tecnologia, che impegna l’industria bellica israeliana e che fa perno anche sulle sue armi nucleari (come già denunciò nel 1986 il fisico israeliano Mordechai Vanunu che scontò per questo 18 anni di carcere in isolamento). Grazie ad una accorta manipolazione mediatica Israele, che non ha mai firmato il “Protocollo di Non Proliferazione Nucleare” e che è ben dotato di armi nucleari, si presenta come legittimato ad intraprendere una guerra contro l’Iran, che invece quel Protocollo ha firmato e che afferma di voler utilizzare l’energia prodotta da generatori nucleari solamente a fini civili. Una guerra questa che dobbiamo scongiurare a tutti i costi perché, tra l’altro, potrebbe degenerare in un’escalation incontrollata.
Mai più guerra, avventura senza ritorno.
Questi aerei non devono essere venduti.
Le armi non devono essere prodotte.
Nel maggio di quest’anno si è già svolto a Varese un importante convegno contro l’F35 e sui temi del ripudio della guerra, del taglio alle spese militari e della riconversione al civile.
Chiediamo ai lavoratori di AleniaAermacchi e di tutte le aziende a produzione militare di non accettare il ricatto occupazionale e di adoperarsi affinché le fabbriche non producano strumenti di morte ma siano destinate alla produzione di beni socialmente utili ed ecologicamente compatibili.
Tra l’altro, in questo caso, la “vendita” degli M346 ad Israele sarà “ compensata”dalla cessione all’Italia di altre armi: infatti a fronte della commessa da 1 miliardo per la fornitura dei 30 velivoli, l’accordo commerciale prevede che noi acquistiamo da Israele materiale bellico per il valore di 2 miliardi.
Non possiamo più attendere, diciamo:
Solidarietà ai lavoratori che si trovano costretti a contraddirsi nell’ etica,
ma NO alla Guerra, NO alle produzioni belliche ed ai mercanti di morte.
Nessun M346 né altra arma deve essere data ad Israele.
L’Italia receda dall’accordo di cooperazione con quel Paese.
Siano riconosciuti i diritti del popolo palestinese.
Siano garantite Pace e Giustizia per tutti i popoli di quella regione.
Un nuovo apartheid merita una nuova mobilitazione.
Uniamo le forze di tutti quelli che si oppongono alla violenza, alla prepotenza, alla falsità di chi (parlando di pace e giustizia e facendo la guerra) pratica e promuove la predazione delle nostre vite, delle nostre speranze, delle nostre idee, del nostro lavoro. Di chi ci fa continuamente passare sopra la testa, come malefici cacciabombardieri, scelte di morte, di sopraffazione, di subdolo dominio finanziario che minano la democrazia e vanificano la sovranità popolare.
Sostenitori della Palestina, pacifisti, antinucleari, tutori dei beni comuni, ambientalisti, oppositori di “grandi opere”e servitù militari, associazioni umanitarie, culturali e sociali, collettivi, reti, lavoratori e rappresentanze sindacali, disoccupati, precari, studenti, tutti uniti in quanto vittime, o dalla parte delle vittime…., troviamoci allora in tanti, tanti, arricchiti delle nostre differenze, nonviolenti, a Venegono Superiore davanti ad AleniaAermacchi, così come abbiamo fatto in passato davanti alle basi militari di Comiso, Camp Darby, Vicenza, Solbiate Olona e alle aziende belliche di tutta Italia, così numerose in provincia di Varese.
VI INVITIAMO ALLA MANIFESTAZIONE NAZIONALE di sabato13 Ottobre 2012 presso l’AleniaAermacchi di Venegono-Varese
Il Comitato promotore varesino (segreteria tel 0332-238347) Per adesioni (di associazioni, gruppi e singole persone) invia una mail a nessunm346xisraele@gmail.com
http://nessunm346xisraele.blogspot.it/
*Pier Giovanni Donini “Immigrazione ebraica e trasformazione economica in Palestina”.
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