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Reattori nucleari da rottamare in visita nel Golfo di Napoli

Cerimonia di commiato a Napoli della portaerei nucleare Enterprise protagonista delle maggiori operazioni di guerra della Marina Usa negli ultimi 50 anni. Una sosta pericolosissima di tre giorni della più grande unità navale militare, dotata di ben 8 reattori atomici. Sono 11 i porti italiani utiolizzati periodicamnete per l'approdo di portaerei e sottomarini atomici.
25 ottobre 2012

Un ultimo approdo a Napoli per tre giorni prima d’incrociare l’Atlantico e raggiungere Norfolk, in Virginia. Dal 19 al 21 ottobre le acque del capoluogo campano hanno ospitato la USS Enterprise, la più vecchia delle portaerei a propulsione nucleare della marina militare Usa, nella sua ultima missione operativa. Dopo 50 anni di guerre e tantissimi morti, entro la fine di dicembre l’unità sarà smontata pezzo per pezzo e verranno inattivati i suoi otto reattori atomici. A omaggiare la Enterprise nella sua sosta a Napoli sono intervenute le massima autorità militari nazionali, l’ambasciatore Usa in Italia David Thorne e l’ammiraglio Bruce Clingan, comandante delle forze navali statunitensi in Europa e in Africa.

Nell’agosto del 1962, il Golfo di Napoli e la base Usa e Nato di Gaeta furono meta del viaggio inaugurale di quella che sino ad oggi è stata la più imponente delle unità da guerra (342 metri di lunghezza e un dislocamento di 93.000 tonnellate). Qualche mese dopo, la USS Enterprise venne trasferita nei Caraibi per stringere l’assedio contro Cuba durante la crisi dei missili nucleari sovietici. Da allora in poi la portaerei nucleare è stata la protagonista di tutte le operazioni di guerra scatenate da Washington a livello planetario: dal Vietnam al primo conflitto del Golfo, dai Balcani e il Kosovo sino alle odierne operazioni belliche in Afghanistan e in Iraq. Quella iniziata nel marzo di quest’anno in Medio Oriente è stata la venticinquesima e ultima missione della Enterprise: in meno di sei mesi e con un equipaggio di 3.000 marinai e 1.800 aviatori, ha attraversato lo Stretto di Hormuz una decina di volte e la settantina di caccia imbarcati hanno effettuato 8.800 sortite nell’area del Golfo persico, contribuendo a far crescere pericolosamente la tensione tra Stati Uniti-Israele e l’Iran.

Con la dismissione della portaerei, il Pentagono risparmierà in un anno perlomeno 85 milioni di dollari, 30 in manutenzione e 55 in costi operativi. Originariamente era stato previsto di pensionare l’Enterprise tra il 2014 e il 2015, quando sarà varata la nuova USS Gerald R. Ford, ma sia per motivi di bilancio che per l’errata previsione sulla durata di vita dei reattori nucleari, il comando generale di Us Navy è stato costretto ad anticipare l’uscita di scena dell’unità navale. In conseguenza, il numero delle portaerei statunitensi nei prossimi due-tre anni si ridurrà da undici a dieci.

Il regolare funzionamento e la tipologia degli apparati nucleari dell’Enterprise sono stati problemi ardui e costosissimi per la marina Usa. Essa è infatti l’unica portaerei al mondo dotata di più di due reattori: la propulsione è assicurata da quattro impianti dotati ognuno di due reattori atomici A2W di seconda generazione, dalla potenza di 210 MW, prodotti dall’industria statunitense Westinghouse. Gli impianti consentono alla portaerei di navigare ad una velocità di 33 nodi (60 km/h) con la possibilità di raggiungere anche per brevi tratti i 35 nodi (65 Km/h). I reattori sono ad acqua pressurizzata e vengono alimentati da uranio-235 altamente arricchito (intorno al 93%). Proprio la pericolosità di questi obsoleti impianti e gli insostenibili costi per la loro messa in sicurezza hanno reso impossibile il sogno dei veterani della Marina di trasformare l’Enterprise in un gigantesco museo di guerra navale. “Questa portaerei viene smantellata perché i reattori sono già stati riforniti tre volte e richiedono troppi uomini”, ha spiegato l’ammiraglio Ted Carter, al comando del gruppo di battaglia condotto dalla grande imbarcazione atomica.

 l commiato dell’Enterprise nel Golfo di Napoli ha riproposto all’attenzione pubblica la questione dell’utilizzo dei porti italiani per l’approdo e il transito di unità navali a propulsione nucleare e/o dotati di armamenti e testate atomici. Secondo quanto ammesso dal governo, attualmente sono ben undici le località adibite a porti nucleari: oltre Napoli, ci sono Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellamare di Stabia, Gaeta, La Maddalena, La Spezia, Livorno, Taranto e Trieste. Per la presenza in Campania dei maggiori comandi navali Usa e Nato nel Mediterraneo, Napoli è una della città più visitate dalle unità nucleari. Nel giugno 2011, proprio quando i cittadini italiani si recavano alle urne per ribadire il loro “No” all’installazione di centrali nucleari civili sul territorio nazionale, nel porto partenopeo approdavano provocatoriamente le unità componenti il George H.W. Bush Carrier Strike Group, la task force navale proveniente dai bombardamento in Libia e comandata dalla USS George H.W. Bush, portaerei della classe “Nimitz” con a bordo due pericolosissimi reattori nucleari A4W con una potenza di 194 MW.

"Quello di Napoli e degli altri dieci porti italiani è un inaccettabile paradosso”, commenta Angelica Romano, peace researcher e curatrice del volume Napoli chiama Vicenza. Disarmare i territori, costruire la pace (Gandhi edizioni, Pisa, 2008). “Negli Stati Uniti i mezzi navali nucleari non possono attraccare ai porti civili. Una precauzione per evitare che un solo terrorista, con estrema facilità, vi spari contro un razzo e provochi un disastro. Da noi invece tutto è permesso. A Napoli non esistono norme di sicurezza, o perlomeno non sono ancora divulgate, tantomeno piani di prevenzione e conoscenza dei rischi dovuti al passaggio di sommergibili o portaerei a propulsione e/o con armi nucleari. Né, tantomeno, sono presi in considerazione gli effetti legati alle operazioni di manutenzione o di semplice passaggio, che possono creare danni all’ambiente. Siamo una metropoli di oltre tre milioni di persone, con una densità di 8.566 abitanti per kmq, altissima rispetto ad altre città. Come ci potremmo salvare da un incidente nucleare?”.

 Angelica Romano ricorda che negli ultimi anni sono state presentate al prefetto diverse interrogazioni in merito al cosiddetto Piano di Emergenza Esterna per i porti di Napoli e Castellammare di Stabia. “Le risposte sono state alquanto evasive”, aggiunge la peace researcher. “Si è sostenuto che i piani esistono, ma che si attendono i pareri dagli organi centrali e la valutazione tecnica della Commissione della Sicurezza e protezione sanitaria. A oggi però, non si è registrato nessun atto formale”.

 Comportamenti omissivi in aperto contrasto con le norme sulla protezione dei cittadini dalle radiazioni ionizzanti. Il decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995 all’art. 129 prevede “l’obbligo d’informazione alle popolazioni che possono essere interessate da emergenza radiologica”. L’articolo successivo impone come tale informazione, di competenza dei sindaci interessati, debba comprendere almeno la “natura” e le “caratteristiche” della radioattività e suoi effetti sulle persone e sull’ambiente; i “casi di emergenza radiologica” presi in considerazione; il “comportamento” da adottare in tali eventualità; le autorità e gli enti responsabili degli “interventi d’informazione, protezione e soccorso” in caso di emergenza radiologica. L’assenza di questi interventi ha indotto l’associazione nazionale Verdi Ambiente e Società, presieduta dall’ex parlamentare Guido Pollice, a presentare l’11 aprile 2011 una diffida al Sindaco di Napoli per violazione del decreto legislativo suddetto, con invito a provvedere, entro 90 giorni, a predisporre un progetto finalizzato per l’informazione della popolazione.

 “Al fine di evidenziare il pericolo del nucleare militare, il successivo 12 luglio, abbiamo organizzato un’assemblea pubblica sul tema Napoli Porto di Pace, a cui abbiamo invitato i rappresentanti istituzionali locali”, afferma Flavia Lepre del Comitato pace, disarmo e smilitarizzazione del territorio di Napoli. “All’incontro è intervenuto pure il dottore Alessio Postiglione, assicurando l’adesione all’iniziativa del sindaco De Magistris e la sua intenzione di provvedere quanto prima ad una formale notifica alla cittadinanza dell’emergenza derivante dalla presenza nel porto di natanti militari nucleari e della necessità di redigere e diffondere, successivamente, un apposito Piano particolareggiato”. Disatteso l’impegno, nel maggio 2012 Verdi Ambiente e Società ha presentato un esposto alla Procura della repubblica di Napoli. “Con due lettere successive - in data 6 dicembre 2010 e 3 gennaio 2011 - abbiamo fatto richiesta alla Prefettura di Napoli di avere accesso al Piano di Emergenza Esterna del Porto di Napoli, ottenendo però solo una parziale documentazione, consistente nell’allegato G9 (Piano particolareggiato per l’informazione della popolazione)”, denunciano i rappresentanti dell’associazione. “Il documento ricevuto è risultato molto generico, privo dei riferimenti richiesti e quindi della specifica situazione di emergenza che ha motivato la redazione del Piano relativo (…) Il Sindaco, e per esso i preposti responsabili, persistono da anni nell’omettere l’adempimento di cui sopra, in quanto nessuna informazione preventiva è stata mai fornita alla cittadinanza interessata ad un’eventuale emergenza radiologica dovuta ad incidente che possa occorrere ad un’unità a propulsione nucleare, nonostante le precedenti sollecitazioni ad esso indirizzate. Tale inadempienza, oltre a contravvenire alle disposizioni di legge, potrebbe di fatto vanificare l’attuazione di provvedimenti, preventivi e protettivi, finalizzati alla pubblica incolumità, o quanto meno comprometterne l’efficacia”.

Per il professore Massimo Zucchetti, ordinario di Impianti nucleari presso il Politecnico di Torino, la presenza di unità militari nucleari non è assolutamente ammissibile, per motivi di sicurezza, in nessuno degli attuali porti italiani. “Nell’ambito della localizzazione e del licensing di reattori civili terrestri – spiega Zucchetti - le normative impongono intorno ad essi la previsione di un’area con un raggio di 1.000 metri in cui non sia presente popolazione civile (la cosiddetta zona di esclusione), mentre è richiesta, in una fascia esteriore più ampia - di non meno di 10 km di raggio - una scarsa densità di popolazione per ridurre le dosi collettive in caso di rilasci radioattivi, sia di routine che incidentali. Cosa del tutto diversa nel caso dei reattori nucleari a bordo di unità navali militari, dato che molti dei porti si trovano in aree metropolitane densamente popolate e i punti di attracco e di fonda delle imbarcazioni sono, in alcuni casi, posti a distanze minime dall’abitato. La presenza di reattori in zone densamente popolate provoca poi, in caso di incidente, evidenti difficoltà di gestione dell’emergenza”. Un rischio ambientale insostenibile, dunque, che continua però a non turbare il sonno delle autorità statali e dei sin troppo compiacenti amministratori locali.

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