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Armi e militari italiani per l’emiro del Qatar

Escalation nelle relazioni politico-militari con il Qatar. Dopo la firma nel 2011 dell'accordo di cooperazione militare-industriale, l'Italia invia nell'emirato consiglieri e addestratori, partecipa alle esercitazioni militari ed esporta elicotteri e nuovi sistemi missilistici. Ciononostante il Qatar sia all'indice per le crescenti violazioni dei diritti umani e le repressioni delle opposizioni.
27 dicembre 2012

L’ultimo incontro al vertice tra le autorità politiche e militari d’Italia e Qatar, uno dei più ricchi e armati emirati arabi, si è tenuto a Doha a fine novembre. Dal sovrano Sheikh Hamad Ben Khalifa al-Thani, al potere in Qatar dal 1995 quando con un golpe spodestò il padre, si sono recati in visita il sottosegretario alla difesa Filippo Milone, il sottocapo di Stato maggiore ammiraglio Cristiano Bettini e il consigliere strategico del ministro della difesa, Andrea Margelletti. Motivo ufficiale della missione l’esercitazione multinazionale “Falcone Feroce 3”, svoltasi nei pressi della capitale e a cui l’Italia ha partecipato con alcuni “osservatori” militari.

“L’esercitazione multinazionale è promossa dal Qatar fin dal 2008 con cadenza biennale”, spiegano in una nota le forze armate italiane. “Sviluppa diverse tematiche addestrative, tra le quali la lotta alle minacce asimmetriche e il contrasto al terrorismo, la gestione di crisi umanitarie ed eventi di rischio chimico, biologico, radiologico e nucleare”. Nel corso della missione in Qatar, sempre secondo lo Stato maggiore della difesa, il sottosegretario Milone ha incontrato un distaccamento di istruttori del GIS, il Gruppo Intervento Speciale dei Carabinieri, “presenti in Qatar per fornire addestramento specialistico al Reparto incaricato della sicurezza dell’emiro del Paese”.

La presenza di ufficiali italiani a fianco della guardia d’élite di Sheikh Hamad Ben Khalifa al-Thani è solo una delle attività regolate dall’accordo di cooperazione militare Italia-Qatar, sottoscritto dal governo Berlusconi durante il conflitto contro la Libia di Gheddafi e ratificato dal parlamento con voto bipartisan il 29 settembre 2011. Oltre alla partecipazione congiunta ad esercitazioni e ad “operazioni umanitarie e dipeacekeeping”, i due paesi possono collaborare nell’“organizzazione” e nell’“equipaggiamento” delle unità militari e, soprattutto, nello “scambio” di know how e materiali bellici, armi e munizioni. L’accordo di cooperazione fornisce un’ampia lista dei sistemi di guerra che possono essere esportati od importati: armi automatiche e di medio e grosso calibro, bombe, mine, missili, siluri, carri armati, aerei, elicotteri, esplosivi e propellenti per uso militare, sistemi fotografici ed elettronici, satelliti, sistemi di comunicazione ed attrezzature digitali, ecc.. Per la copertura finanziaria degli oneri previsti dall’attuazione dell’accordo, il parlamento italiano ha autorizzato una spesa annuale di 12.245 euro “mediante corrispondente riduzione del Fondo speciale iscritto nel bilancio di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze”.

Il Qatar è uno dei Paesi arabi più corteggiati dalle industrie e dalle banche italiane, i fondi sovrani dell’emirato hanno fatto incetta delle più prestigiose società immobiliari, di moda e turismo del made in Italy e adesso puntano ad entrare in Finmeccanica, la holding nazionale a capo delle aziende produttrici di armi. Tutto ciò mentre lo Stato arabo è all’indice delle maggiori organizzazioni non governative internazionali per le sempre più frequenti repressioni delle opposizioni, le violazioni dei diritti umani, l’applicazione della pena di morte, le spregiudicate relazioni con l’islamismo radicale. Le forze politiche e i gruppi economici e finanziari italiani non sembrano nutrire alcuna preoccupazione neanche per l’attivismo diplomatico e militare di Sheikh Hamad Ben Khalifa al-Thani nel conflittuale mondo arabo, spesso con un ruolo tutt’altro che subalterno agli interessi occidentali. In ottimi rapporti con la Fratellanza musulmana in nord Africa, il Qatar figura tra i maggiori donatori per la ricostruzione del Libano a fianco degli effimeri governi di “unità nazionale” che si alternano alla guida del martoriato paese. L’emiro sta pure giocando un ruolo guida nella “riconciliazione” tra le varie fazioni somale, sostenendo la leadership del controverso primo ministro Abdiweli Mohammad Ali.

L’emirato è stato inoltre uno dei primi paesi al mondo ad invocare l’invio di una forza multinazionale in Siria a sostegno dei “ribelli in lotta contro Bashar al-Assad. Da più di un anno il regime di Damasco accusa il Qatar di armare e finanziare gli oppositori e “manipolare l’informazione” attraverso il canale televisivo di Al-Jazeera (di proprietà qatarina), “bloccando così ogni soluzione alla crisi interna”. Il coinvolgimento diretto dell’emiro nelle operazioni di guerra in Siria è stato documentato pure da diversi organi di stampa israeliani. Citando fonti interne al Mossad, è stato provato ad esempio come alla vigilia della sanguinosa battaglia scoppiata ad Homs nel febbraio 2012, ufficiali del Qatar abbiano consegnato “munizioni e armi tattiche” ai ribelli in “quattro centri operativi” istituti alla periferia della città per “preparare un incursione coperta dei militare turchi in Siria”.

Nel 2011 qualcosa del genere era avvenuto in Libia prima che la coalizione multinazionale a guida NATO avviasse la campagna di bombardamento contro le truppe fedeli a Muammar Gheddafi. Il Qatar, in particolare, aveva fornito una grossa quantità di armi e munizioni ai ribelli libici ed aveva pure infiltrato commandos addestrati e diretti dal Pentagono. Come poi ammesso pubblicamente da Sheikh Hamad Ben Khalifa al-Thani, durante il corso del conflitto “centinaia di militari delle forme armate del Qatar hanno combattuto a fianco degli insorti”.“Abbiamo gestito l’addestramento e le comunicazioni dei ribelli, supervisionando i loro piani e assicurandone il collegamento con le forze NATO”, ha dichiarato il capo di Stato maggiore qatarino Hamad bin Ali al-Atiya (The Guardian, 26 ottobre 2011). Inoltre, sei Mirage 2000dell’aeronautica militare dell’emirato hanno partecipato direttamente ai bombardamenti alleati, operando dalla base NATO di Souda Bay (Grecia). Conclusa la guerra, il Qatar è subentrato alla guida del “Comitato degli Amici a sostegno della Libia” che si occupa direttamente dell’addestramento delle ricostituite forze armate libiche. Dalla primavera del 2011, un piccolo contingente del Qatar partecipa pure alla forza militare del Consiglio di cooperazione del Golfo intervenuta in Bahrein a sostegno della locale dinastia sunnita invisa alla maggioranza della popolazione di fede sciita.

L’interventismo militare dell’emirato in Africa e Medio oriente consente ovviamente ottimi affari alle industrie d’armi dei paesi partner, Italia in testa. Quest’anno si è conclusa la consegna di 18 elicotteri bimotore di nuova generazione AW139 prodotti da AgustaWestland (gruppo Finmeccanica). Il contratto del valore di 260 milioni di euro era stato firmato dall’aeronautica militare del Qatar nel luglio del 2008 e prevede pure l’addestramento degli equipaggi e la fornitura di parti di ricambio. Con una velocità massima di crociera di 306 km/h e un’autonomia superiore ai 1.060 km, gli elicotteri AW139 vengono utilizzati oggi per molteplici funzioni, dal trasporto truppe e armamenti, al pattugliamento dei confini, alla ricerca e soccorso, alle operazioni delle forze speciali e al mantenimento dell’ordine pubblico sul fronte interno. Altri tre elicotteri AgustaWestland con relativo supporto logistico saranno forniti prossimamente alla Qatar Emiri Air Force per svolgere il servizio di emergenza medica.

Nell’autunno 2011, le autorità militari dell’emirato hanno pure espresso la volontà di entrare a far parte del consorzio internazionale “MEADS” (Medium Extended Air Defense) guidato dalla statunitense Lockheed Martin Corporation e di cui è partner l’italiana MBDA (Finmeccanica), per la realizzazione di un sistema anti-aereo, anti-missili balistici e da crociera e anti-UAV di ultima generazione. Il Qatar vorrebbe dotarsi del “MEADS” in vista dei campionati del mondo di calcio del 2022, ma il sistema potrebbe essere utilizzato pure in funzione anti-Iran.

Il Qatar acquisterà invece in Germania 200 carri armati “Leopard 2” (prodotti dall’industria Krauss-Maffei Wegmann) al prezzo di circa due miliardi di euro. La commessa, a differenza di quanto accade in Italia, è stata duramente criticata dai rappresentanti di differenze forze politiche e da alcuni quotidiani tedeschi che hanno definito l’emirato “uno dei più pericolosi regimi arabi, nonché coinvolto in tutti i disordini nella regione”. Per Washington, invece, il Qatar resta uno degli alleati mediorientali più fedeli da coccolare, militarizzare ed armare. Oltre un miliardo di dollari sono stati spesi negli ultimi anni dal Pentagono per potenziare la base aerea di al-Udeid che ospita 8.000 militari USA impegnati nello scacchiere di guerra afgano ed un centro dell’agenzia d’intelligence CIA dotato di aerei-spia senza pilota. Nella grande base qatarina sorgerà presto una delle tre grandi stazioni radar in X-Band per lo “scudo antimissile” che le forze armate statunitensi intendono attivare nell’area mediorientale (le altre due stazioni radar sono in via d’installazione nel deserto del Negev in Israele e in Turchia).

Un paio di mesi fa la Defense Security Cooperation Agency USA ha comunicato al Congresso l’intenzione di vendere al Qatar undici batterie del sistema Patriot di “difesa antiaerea e antimissile” (costo 9,9 miliardi di dollari). La commessa prevede complessivamente 44 lanciatori M902, 248 missili MIM-104E (più due di prova) e 778 PAC-3, undici radar e altrettanti sistemi di gestione d’ingaggio, 30 gruppi di antenne. L’agenzia statunitense alla cooperazione alla difesa ha pure espresso la volontà di trasferire al Qatar il sistema missilistico “Terminal High Altitude Area Defense” (THAAD) per la difesa ad alta quota, prodotto dal colosso Lockheed Martin. In questo caso l’emirato riceverebbe dodici lanciatori con 150 missili, più radar e altri sistemi associati, per un valore complessivo di 6,5 miliardi di dollari.

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