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Inchiesta ONU sui crimini dei droni USA

Le Nazioni Unite hanno annunciato l’avvio di un’inchiesta sulle conseguenze degli attacchi militari Usa mediante l’utilizzo dei droni in Pakistan, Yemen e Somalia.
4 marzo 2013

Le Nazioni Unite hanno annunciato l’avvio di un’inchiesta sulle conseguenze degli attacchi militari Usa mediante l’utilizzo dei droni in Pakistan, Yemen e Somalia. L’indagine verrà condotta da Ben Emmerson, responsabile del settore inchieste Onu sui diritti umani e Christof Heyns, special rapporteur su controterrorismo ed esecuzioni extragiudiziali. Il gruppo di ricerca avrà sede a Ginevra ed esaminerà i sempre più numerosi “incidenti” che hanno investito la popolazione civile durante gli strike ordinati dalla Cia e dal Dipartimento della difesa statunitense. Successivamente la commissione potrebbe passare ad analizzare gli effetti delle operazioni dei velivoli senza pilota britannici in Afghanistan (più di 350 attacchi accertati) e di quelli israeliani nella Striscia di Gaza.

Nonostante l’amministrazione Obama si ostini a ribadire che gli attacchi dei droni vengono condotti “esclusivamente contro obiettivi terroristi”, media indipendenti, organizzazioni non governative e gruppi di difesa dei diritti umani hanno documentato che l’escalation nell’uso militare dei velivoli teleguidati sta causando un enorme numero di vittime civili, in violazione del diritto internazionale. Le stime più recenti parlano di oltre 3.000 persone assassinate dai droni killer in Pakistan, Yemen e Somalia, di cui almeno 500 “non combattenti”, cioè donne, bambini e anziani. Secondo l’osservatorio indipendente DronesWatch di Washington almeno 97 minori sarebbero morti in Pakistan e 25 in Yemen.

I velivoli senza pilota Usa vengono fatti decollare da alcune basi segrete in Medio Oriente (l’ultima è stata realizzata nel 2011 nel deserto dell’Arabia Saudita) e dalle isole Seychelles. Ma è soprattutto l’Africa ad aver assunto negli ultimi mesi il ruolo di vera e propria piattaforma e bersaglio per le operazioni dei droni. La principale infrastruttura a servizio dei velivoli killer sorge a Camp Lemonnier (Gibuti), dove risiedono più di 2.000 militari statunitensi impegnati nei conflitti che lacerano il Corno d’Africa, lo Yemen e le regioni africane nord-orientali. Il centro strategico che coordina l’intero sistema di sorveglianza ed intervento degli aerei senza pilota USA nel continente è ospitato invece all’interno dell’aeroporto di Ouagadougou (Burkina Faso). Anche le autorità di Mali, Mauritania, Etiopia, Kenya ed Uganda avrebbero concesso l’uso degli scali aerei per i decolli e gli atterraggi dei droni di US Africom, il Comando per le operazioni delle forze armate statunitensi in terra d’Africa. Secondo quanto trapelato a Washington, anche le autorità del Niger avrebbero autorizzato qualche settimana fa il dispiegamento dei droni del Pentagono e della Cia contro le milizie filo-al Qaeda attive nelle regioni nordoccidentali. Altra basi dei droni potrebbero essere attivate presto in Algeria e Sud Sudan.

Proprio in merito alla legittimità e alle criticità emerse sull’uso militare dei droni si è aperto un confronto serrato tra il Congresso e l’amministrazione Obama che all’esordio del suo secondo mandato ha nominato a capo della Cia, John Brennan, uno degli strateghi delle nuove guerre ipertecnologiche. Otto senatori del Partito democratico e tre del Partito repubblicano hanno chiesto ad Obama di rendere pubblico il documento edito dal Dipartimento di giustizia nel 2010 che ha autorizzato le forze militari e d’intelligence all’uso dei droni per individuare e uccidere all’estero i cittadini statunitensi accusati di terrorismo. Per le esecuzioni extragiudiziali sarebbe sufficiente l’ordine di un funzionario dell’amministrazione “di alto livello” che abbia determinato che il target sia implicato in “attività” che potrebbero condurre a un “attacco violento” contro gli Stati Uniti.

Il memorandum ha fornito la cornice “legale” per consentire alla Cia di lanciare in Yemen, nel settembre 2011, un attacco contro lo statunitense Anwar al-Awlaki, sospettato di legami con la rete di al-Qaida. “Al-Awlaki era implicato con non meno di tre attentati terroristici in territorio Usa”, ha spiegato al Senato John Brennan. “Si tratta della sparatoria che nel 2009 a Hood, in Texas, ha causato la morte di 13 persone, del fallito attentato a bordo di un aereo di linea a Detroit nello stesso anno e di un tentato assalto a un aereo da trasporto nel 2010”. Da qui la sentenza di morte e senza processo, decretata dall’agenzia d’intelligence. A causa del raid del drone killer, oltre ad Anwar al-Awlaki trovarono la morte il figlio sedicenne e Samir Khan, anch’essi cittadini statunitensi.

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