Il nulla per la difesa comune del Consiglio europeo e l’ambiguità del Parlamento italiano
Il 19 e 20 dicembre 2013 i rappresentanti delle nazioni europee si sono ritrovati in Consiglio a Bruxelles per discutere della politica di sicurezza e difesa comune, della politica economica e sociale, dell’unione economica e monetaria e dei flussi migratori. In particolare, dal comunicato finale, si può dedurre che si è ancora lontani dalla realizzazione di un sistema comune di difesa così come previsto dall’articolo 42 del Trattato sull’Unione europea “La politica di sicurezza e di difesa comune comprende la graduale definizione di una politica di difesa comune dell’Unione. Questa condurrà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, avrà così deciso”. Tuttavia, a prima vista, le Conclusioni sembrerebbero confermare quello spirito pacifista europeo nato dopo le due grandi guerre “Una politica di sicurezza e di difesa comune efficace aiuta a rafforzare la sicurezza dei cittadini europei e contribuisce alla pace e alla stabilità nei paesi vicini e nel mondo più in generale”.
Quando si entra nel merito del testo ci si accorge però che anche se non si usa mai il termine guerra, ma missioni civili e militari, prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi, interventi per garantire la pace o ripristinare la pace, la pace cessa di essere un principio del Trattato.
Invece di promuovere il miglioramento delle reciproche relazioni fra gli Stati, con questa distorsione linguistica i paesi europei hanno di fatto legittimato azioni belliche che nulla hanno a che fare con l’autodifesa o la sicurezza dei cittadini. Alla guerra difensiva, l’unica accolta come lecita, si è aggiunta come ammissibile quella necessaria. Il principio di solidarietà, messo a fondamento della risoluzione di ogni eventuale crisi (anche economica), inserito nella Costituzione europea insieme ai valori indivisibili e universali quali la dignità umana, la libertà e l’uguaglianza, si risolve in aiuti in cambio di riforme di austerità, nel salvataggio delle banche.
La stessa cooperazione, contrariamente a quanto si possa pensare, non serve alla costruzione di un “comune” nel segno dell’eguaglianza e della libertà, ma nella complementarietà con la NATO, nel rafforzamento delle operazioni di sorveglianza delle frontiere contro l’immigrazione clandestina, nella capacità di difesa ottenuta conformando capacità militari e capacità civili, e infine nel rafforzamento della base industriale della difesa.
“Il Consiglio europeo mantiene il suo impegno a realizzare le capacità essenziali e a ovviare alle carenze critiche attraverso progetti concreti degli Stati membri membri”, con questa raccomandazione si è deciso lo sviluppo di un aereo senza equipaggio, il programma di Medium Altitude Long Endurance europeo CPT di prossima generazione (MALE, UAV) e del multiruolo da trasporto militare e rifornimento in volo, e si è promossa l’elaborazione di un documento sulla difesa dagli attacchi informatici (cyber security) e per la comunicazione satellitare.
http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/it/ec/140259.pdf
In un contesto dove i Paesi europei dimostrano obiettivi politici molto diversi, sia per la difesa che per quanto riguarda l’espansione, questa prima riunione è stata solo un piccolo, lento passo avanti, ma si è ancora lontani da decisioni all’unanimità, da un esercito d’Europa o semplicemente da una visione comune della difesa.
Tanto è vero che al summit si è distinta immediatamente la posizione del premier britannico David Cameron, che ha bloccato i piani di creazione di un esercito unico d’Europa, truppe di terra o Forze aeree proprie. Per il ministro britannico il fondamento della sicurezza europea è rappresentato dal blocco NATO mentre la realizzazione di un Ministero degli Esteri comune viene vista più come un ennesimo rompicapo, e per sottolineare la sovranità di ogni paese, ha voluto che si affiancassero le parole “Stati membri” nelle Conclusioni “Per la prima volta, dall'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio europeo ha tenuto un dibattito tematico sulla difesa, individuando azioni prioritarie per una cooperazione più forte. Il dibattito è stato preceduto da una riunione con il segretario generale della NATO. Questi ha esposto la sua valutazione delle sfide attuali e future in materia di sicurezza e ha accolto con favore gli sforzi e gli impegni in atto dell'UE e dei suoi Stati membri, compatibili con quelli della NATO e dai quali la NATO stessa trae beneficio”.
Viceversa l’europeismo della Francia verte più nella riedizione di un asse della difesa (oltre che energetico) con la Germania. L’auspicio è stato sottolineato successivamente in una conferenza stampa il 14 gennaio 2014: “la coppia franco-tedesca può agire per l'Europa della difesa”. Se è vero che gli interessi dell’Europa oggi guardano all’Africa, dove si stanno svolgendo conflitti armati per le sfere di influenza, è la Francia ad essere prima linea in Mali e nella Repubblica Centrafricana, per cui è importante la realizzazione di un raggruppamento unico europeo di aerei da trasporto e rifornimento oltre agli UAV.
E la posizione italiana? La posizione italiana è stata ampiamente espressa nei resoconti sulle “Linee programmatiche e di indirizzo italiane in relazione al Consiglio europeo sulla Difesa di dicembre 2013” e “Indagine conoscitiva sui sistemi d’arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013” del 10 dicembre 2013”. http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede_v3/ProcANL/ProcANLscheda27307.htm http://www.camera.it/leg17/203?idLegislatura=17&idCommissione=04&tipoElenco=indaginiConoscitiveCronologico&annoMese=201310&breve=c04_arma&calendario=&soloSten=false
Entrambi forniscono indicazioni per verificare (qualora ne fosse ancora necessario) se l’art. 11 della Costituzione continua ad essere una guida essenziale della politica estera italiana.
Oppure, come è accaduto, la partecipazione italiana alle guerre dimostri che “di fatto l’Italia, a prescindere dalla caratterizzazione ideologica dei governi del momento, ha sempre aderito a decisioni assunte da organi direttivi di una organizzazione di sicurezza collettiva o di coalizioni formate ad hoc egemonizzate dagli Stati Uniti il cui ruolo si è sempre più imposto in una cornice di progressiva e inarrestabile delegittimazione di quello delle Nazioni Unite. La decisione sovrana si manifesta quindi non nel deliberare o non deliberare una guerra, ma nel decidere se aderire o non aderire a una guerra contro un nemico scelto da altri” (Giuseppe de Vergottini, Guerra e Costituzione. Nuovi conflitti e sfide alla democrazia).
Per quanto riguarda invece la prassi parlamentare relativa alle missioni militari all’estero, l’acquisizione del consenso parlamentare viene considerata, piuttosto che come un obbligo giuridico fondato su una precisa norma di legge, “come una linea di massima trasparenza nei confronti del Parlamento e dell’opinione pubblica”.
http://archivio.rassegna.it/2001/speciali/afghanistan/parlamento/intervento/martino.htm
L’Italia dagli inizi degli anni ’90 ha partecipato a più guerre in diversi paesi:
Prima guerra del Golfo (1990)
Afghanistan (2001) e Libia (2011) giustificando l’intervento perché riconducibile ad una azione di sicurezza collettiva avvallata dall’ONU
Kosovo (1999), decisa dalla NATO perché si trattava di difendere i diritti umani,
Ha concesso l’uso delle basi aeree agli americani durante l’invasione dell’Iraq (2003) come “collaborazione forzata”
Libano (2006) all’interno di una missione ONU definito di peacekeeping (eufemismo usato nel 'Memorandum of Cooperation' per quelle guerre chiamate “missioni di pace”)
Ha violato l’art.11 quando ha impiegato unità militari e/o la forza aerea sul territorio di un terzo Stato con modalità belliche (prima guerra nel Golfo, Kosovo, Libia, Afghanistan).
Può allora il Parlamento definirsi il luogo della trasparenza, di interazione e scambio informativo, come ha dichiarato il ministro della Difesa Mauro, solo perché vengono coinvolti in alcune sue audizioni esperti e rappresentanti di vari organismi politici, industriali, militari e civili?
Alla base di questo equivoco vi è la distinzione fra democrazia formale e democrazia materiale o sostanziale.
Le decisioni in realtà vengono prese altrove, nell’alto dei colossi che dominano l’economia globale o della Troika (Commissione europea, Bce e Fmi), in quella sfera di potere opaca il cui ritorno nella società provoca l’assuefazione alla guerra, lo sdoganamento di prassi discriminatorie, la risposta in termini di ordine pubblico ai conflitti sociali.
Nel documento “indagine sui sistemi d’arma in vista del Consiglio europeo” si sono affrontata la tematica sulla pianificazione dello strumento militare nazionale e del rinnovamento dei sistemi d’arma. In sintesi si è detto che l’integrazione a livello europeo del settore della difesa, diventa un importante obiettivo perché è l’industria della difesa nazionale ad aver bisogno di essere sostenuta finanziariamente, per essere in grado di competere sul mercato internazionale.
Inoltre si è chiesto un maggiore coordinamento fra gli Stati membri della UE per favorire un effettivo ed efficace utilizzo del sistema delle licenze, una riduzione dei costi e l’accelerazione dello sviluppo industriale. Altresì è urgente la rimozione degli ostacoli che le aziende (anche medie) incontrano sul trasferimento di tecnologie, il finanziamento di progetti in quei settori a carattere duale, e la realizzazione di una politica europea di protezione della proprietà intellettuale e delle regole di ingaggio societario.
Tuttavia è ancora il programma F-35 a catalizzare alcune antinomie del Parlamento italiano:
- si inserisce nel “quadro geopolitico di riferimento e dalla chiara individuazione dei potenziali rischi che un sistema d’arma è chiamato a contrastare” cioè l’F-35 è necessario per l’Italia, che vuole essere una media potenza, perché aiuta a mantenere rapporti privilegiati con gli USA ma si riconosce che bisogna avere rapporti strutturati con la Pesd (Politica europea di sicurezza e difesa comune)e la Pesc (Politica estera e di sicurezza comune)
- non è un progetto europeo anzi si è posto sin dall’inizio in competizione con l’Europa
- contemporaneamente si vuole rafforzare il settore dell’industria europea della difesa
Il programma, in tutte le sue fasi, è stato approvato dal Parlamento che si è esposto, nella sua volontà di adesione, sino ad arrivare a rendere più difficile una sua fuoriuscita dal programma con la realizzare un reparto dedicato a Cameri (supervisionato dalla struttura governativa statunitense DCMA, Defence Contract Management Agency), tranne poi accorgersi della sua superficialità riparando con una assunzione di responsabilità (incredibile a dirsi) sulle ulteriori acquisizioni.
Siamo alla farsa. Si sa che gli indirizzi di spesa militare (risultanti dalla politica di bilancio) devono porsi in armonia con i caratteri di un modello di difesa. Quello “Spadolini/Rognoni” del 1991 (fortemente influenzato dal Concetto strategico dell’Alleanza atlantica emerso dal vertice di Roma
del 1991) prevedeva, per la prima volta, la centralità assoluta della capacità di proiezione della forza. Tale modello di difesa non solo è stato continuamente riconfigurato sulla base di una interpretazione estensiva dell’art. 11 della Costituzione, ma richiamato nel documento “La revisione dello strumento militare” di cui sono stati approvati da poco due decreti legislativi.
http://www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=74391
L’F-35 è un caccia multiruolo perché capace di effettuare differenti tipi di missioni, è multi- versione perché costruito in tre varianti, è artefatto perché muta quando muta il contesto affinché tutto questo moltiplicarsi non lo destrutturi irrimediabilmente.
Proprio la molteplicità di versioni è stato oggetto della critica di una relazione della Rand Corporation. Secondo il famoso think tank statunitense il programma F-35 costerà più di tre programmi singoli messi insieme. Nel report “Do Joint Fighter Programs Save Money?” gli autori mettono in discussione il principio fondamentale del programma più costoso del Pentagono, quello di essere multi-versione. “La necessità di adattarsi ai diversi requisiti di servizio in un unico disegno o famiglia di progettazione, può portare ad una maggiore complessità del programma, ad un aumento dei rischi tecnici”.
http://www.rand.org/pubs/monographs/MG1225.html
Naturalmente Lockheed Martin Corp. ha risposto dicendo che i dati usati dalla Rand sono obsoleti e che invece vi sono “notevoli progressi” nella riduzione del costo del programma: “Stiamo facendo progressi. Stiamo facendo bene, ma abbiamo una lunga strada da percorrere per arrivare a quello che un Joint Strike Fighter (JSF) dovrebbe costare". Ciò nonostante il Pentagono annuncia che insieme ai fornitori del programma si sta sviluppando un piano per ridurne il costo che consisterebbe in un nuovo meccanismo per incoraggiare le imprese a investire i loro fondi.
http://uk.reuters.com/article/2013/12/20/us-unitedtechnologies-pratt-idUKBRE9BJ1CD20131220
Nel mese di giugno 2013 Lockheed Martin ha messo circa 200 ingegneri al lavoro per studiare lo sviluppo del software dell’ F-35. Non tutti sono interni alla divisione aeronautica ma specializzati nei settori dello spazio, imbarco e tecnologia dei sensori. L'azienda ha anche investito circa 100 milioni di dollari per costruire un secondo laboratorio in cui i dipendenti devono lavorare a turni tutto il giorno per scrivere, testare e verificare i codici. Il pacchetto software completo, noto come 3F, è progettato per supportare una serie di armi interne ed esterne, tra cui le cosiddette munizioni intelligenti a guida GPS, le bombe Paveway II a guida laser, il missile Advanced Medium-Range Air-to-Air e il missile a infrarossi Sidewinder.
Poco tempo prima erano stati il Gen. Christopher Bogdan, supervisore del programma, e il Government Accountability Office, a individuare nello sviluppo del software “l’area di rischio a causa della sua complessità”. Conseguentemente Frank Kendall, il sottosegretario alla difesa per l'acquisizione, ha avuto il compito di presentare una relazione al Congresso da inserire nel National Defense Authorization Act (che definisce gli obiettivi politici e di spesa). Per ora, utilizzando una versione più limitata del software, il Corpo dei Marines prevede di iniziare i voli operativi della caccia nel 2015, Air Force nel 2016 e la Marina Militare nel 2019. http://www.military.com/daily-news/2013/06/19/lockheed-reassigns-workers-to-fix-f35-software.html
Si è parlato più volte dell’F-35 come un programma finito nella “spirale della morte”, cioè quel processo che impone alle autorità militari e politiche, di annullare un programma a causa dell’aumento esponenziale dei costi. Solo che questa spirale non porterà alla morte effettiva del F-35. Il combattente è di fatto diventato immortale, grazie all’impegno del Pentagono e della Lockheed Martin che sono riusciti ad imporre un velivolo multi-versione senza possibili alternative.
E grazie anche al fatto che sono riusciti a coinvolgere più partner internazionali. Di questi l’Italia è certamente la più fedele.
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