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Ucraina e Italia, 20 anni di «professionalità» in tutte le guerre, bastano

7 maggio 2014
Gregorio Piccin

caschi blu italiano

Crisi ucraina. La ministra della difesa Pinotti, pervasa dal neopensiero, propone candidamente l’Italia come portabandiera del peacekeeping

Se la guerra cor­ri­sponde alla pace, la neu­tra­lità non può che essere «di parte». Così il mini­stro della difesa Pinotti, per­vasa dal neo­pen­siero, pro­pone can­di­da­mente l’Italia come por­ta­ban­diera del pea­ce­kee­ping in un con­flitto, quello ucraino, pro­vo­cato pro­prio dalla Nato di cui l’Italia stessa è mem­bro fer­vente. Chi man­de­rebbe un incen­dia­rio a spe­gnere un incendio?

La mini­stra sem­bra non con­si­de­rare mini­ma­mente il fatto che dopo il 1989 l’Italia è diven­tata un paese bel­li­ge­rante e pesan­te­mente schie­rato, senza se e senza ma. Que­sta bel­li­ge­ranza si fonda su sei punti di forza: il per­si­stente cieco atlan­ti­smo; la ces­sione di sovra­nità a favore delle esi­genze mili­tari e stra­te­gi­che Usa; la crea­zione di un eser­cito pro­fes­sio­nale da offrire come corpo di spe­di­zione per le peg­giori avven­ture; il ricorso ai mer­ce­nari o con­trac­tors che dir si voglia; la volontà di con­ver­tire Fin­mec­ca­nica alla sola pro­du­zione mili­tare; le «porte scor­re­voli» attra­verso le quali sem­pre più alti uffi­ciali pas­sano dai comandi ai con­si­gli di ammi­ni­stra­zione. Il «che fare» di un paci­fi­smo con­se­guente ed inci­sivo non può pre­scin­dere da una let­tura chiara ed orga­nica di que­sti aspetti: pur­troppo mi sem­bra che la linea espressa all’iniziativa dell’Arena di Verona mostri taluni limiti ana­li­tici e di pro­po­sta non­ché una ecces­siva fidu­cia nel libro bianco che la stessa Pinotti si appre­sta a varare. Il tema della ridu­zione delle spese mili­tari (F35 com­preso), se si risolve in se stesso, può per­sino tra­sfor­marsi in uno stru­mento utile a ren­dere più soste­ni­bile la guerra nel qua­dro di un grande corpo di spe­di­zione euro­peo al traino degli inte­ressi sta­tu­ni­tensi o del big busin­nes neo­co­lo­niale (v. il ruolo della Fran­cia in Africa).

Le nostre forze armate sono state rior­ga­niz­zate sul modello anglo-americano ed il reclu­ta­mento della truppa volon­ta­ria ha attinto dalla disoc­cu­pa­zione, tra le classi sociali più disa­giate e non a caso prin­ci­pal­mente nel mez­zo­giorno. Da un punto di vista demo­cra­tico e costi­tu­zio­nale ed in tempi di caval­cante auto­ri­ta­ri­smo isti­tu­zio­nale, que­sta dina­mica con­creta è som­ma­mente peri­co­losa; anche per­ché si è deciso di tra­sfor­mare la truppa in un corpo sociale sostan­zial­mente sepa­rato all’interno dell’organizzazione mili­tare dello stato.

Il nuovo eser­cito pro­fes­sio­nale è stato con­ce­pito per for­nire la cor­nice giu­ri­dica ade­guata alla neces­sità di essere inte­grato nel sistema ope­ra­tivo Nato ed essere pro­iet­tato ovun­que nel mondo in un nuovo con­te­sto ope­ra­tivo mul­ti­na­zio­nale inter­forze. L’esercito pro­fes­sio­nale trae il suo stesso senso d’esistere dall’essere impie­gato come corpo di spe­di­zione e occu­pa­zione con la mis­sione di pre­si­diare (e com­bat­tere in) ter­ri­tori situati al di fuori dei con­fini nazio­nali; da qui la neces­sità di una ferma volon­ta­ria di almeno quat­tro anni.

Non è più suf­fi­ciente pro­porre ridu­zioni di spesa — dove­rose — senza vin­co­larle alla pro­po­sta di una nuova e diversa forma di eser­cito. Non con­si­de­rare la que­stione «per­ché gli eser­citi andreb­bero abo­liti» è un grosso errore. Il modo in cui que­sti — ormai tutt’altro che abo­liti — sono orga­niz­zati non è mai neu­tro e buono per ogni cosa. Ad ogni tipo di orga­niz­za­zione cor­ri­sponde un pecu­liare uso e l’uso (strut­tu­ral­mente costo­sis­simo) dell’esercito pro­fes­sio­nale non è di tipo difensivo/territoriale ma offen­sivo da spe­di­zione (con o senza F35, con o senza paral­leli «dipar­ti­menti di difesa civile» e ser­vizi civili obbligatori).

Per una poli­tica di «ridu­zione del danno» e per disin­ne­scare con­cre­ta­mente le nostre respon­sa­bi­lità di guerra sarebbe ragio­ne­vole stu­diare e pro­muo­vere la for­ma­zione di un nuovo eser­cito costi­tu­zio­nale, di leva ma «civile», e con l’opzione dell’obiezione di coscienza, aperto a donne e uomini e che sia orga­niz­zato per inte­grare subito impor­tanti fun­zioni logi­sti­che e di sup­porto alla Pro­te­zione civile e per que­sto strut­tu­ral­mente inser­vi­bile alla Nato.

Andrebbe stu­diato un nuovo con­cetto di difesa territoriale/ambientale, anche in ambito euro­peo, che metta le forze armate nelle con­di­zioni di gestire diret­ta­mente sia aspetti di manu­ten­zione e messa in sicu­rezza, sia soprat­tutto le ricor­renti e deva­stanti fasi d’emergenza (incendi, allu­vioni, ter­re­moti, dis­se­sto idro­geo­lo­gico) ossia le vere minacce alla sicu­rezza dei cit­ta­dini. Den­tro que­ste nuove siner­gie sarebbe anche pos­si­bile ripen­sare le stra­te­gie indu­striali di Finmeccanica.

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