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Le narrazioni tossiche su Gaza

Gaza. Sui media è completamente assente il racconto della parte palestinese
26 luglio 2014
Fonte: Il manifesto - 26 luglio 2014

Gaza

Articolo di Richard Falk*

Gaza. Sui media è completamente assente il racconto della parte palestinese

La nar­ra­zione occi­den­tale dell’ultimo attacco israe­liano su Gaza, ini­ziato l’8 luglio, è costi­tuita da due ele­menti: in primo luogo c’è l’appoggio incon­di­zio­nato al pre­sup­po­sto israe­liano, secondo il quale è ragio­ne­vole e legit­timo attac­care Hamas a Gaza, come rea­zione al lan­cio di gra­nate dirette a col­pire le città israeliane.

In secondo luogo, si è con­si­de­rata tra­gica la vio­lenza che pro­voca vit­time inno­centi e civili da entrambe le parti. Anche in que­sto caso si è dato per scon­tato che tale respon­sa­bi­lità sia di Hamas. Il New York Times in un edi­to­riale, è riu­scito a sin­te­tiz­zare entrambi gli aspetti: «Non era con­ce­pi­bile che il primo mini­stro Neta­nyahu tol­le­rasse i bom­bar­da­menti di Hamas. Né lo deve accettare.

Come ha dichia­rato Obama, nes­suna nazione deve subire bom­bar­da­menti nei pro­pri con­fini, né tun­nel di ter­ro­ri­sti all’interno del pro­prio ter­ri­to­rio». Il con­tral­tare di que­sto qua­dro, è rap­pre­sen­tato dagli ultimi giorni di morte e distru­zione, affron­tati dalla popo­la­zione di Gaza. L’enfasi delle Nazioni unite è rele­gata al ten­ta­tivo di smi­nuire il prezzo della morte dei civili inno­centi, pagato ogni giorno. Il Segre­ta­rio delle Nazioni unite, Ban Ki-moon non rie­sce a fare di meglio che «sol­le­ci­tare Israele a fare quanto pos­si­bile per fer­mare le morti dei civili». John Kerry, segre­ta­rio di Stato ame­ri­cano, ha aggiunto la sua vana richie­sta agli israe­liani di essere «pre­cisi» negli attac­chi militari.

La pre­sen­ta­zione di quanto sta avve­nendo nella Stri­scia, distorce com­ple­ta­mente la natura dell’interazione fra il governo israe­liano ed Hamas nei con­fronti di Gaza. Più di ogni altra cosa, risulta total­mente sop­pressa la nar­ra­zione pale­sti­nese, che inter­preta que­sti eventi in modo total­mente oppo­sto rispetto a quanto viene «messo in scena» dai media occi­den­tali e dai lea­der poli­tici pro Israele.

Que­sta «sce­neg­gia­tura» ha un punto di par­tenza: il lan­cio dei razzi da Gaza su Israele. La nar­ra­zione pale­sti­nese — invece — insi­ste sull’importanza dell’assalto israe­liano con­tro Hamas nel West Bank, deciso da Neta­nyahu in coin­ci­denza con il rapi­mento dei tre ragazzi degli inse­dia­menti israe­liani, il 12 giu­gno scorso.

Da quel momento, è scat­tata l’accusa imme­diata con­tro Hamas per il cri­mine, senza mai aver tro­vato o pre­sen­tato – nean­che in que­sti giorni — uno strac­cio di prova che potesse giu­sti­fi­care le accuse, risul­tate, in seguito, «pro­vo­ca­to­rie». E nes­suno sforzo è stato fatto per pren­dere in con­si­de­ra­zione la posi­zione di Hamas, che ha sem­pre negato il pro­prio coin­vol­gi­mento nel crimine.

A que­sto pro­po­sito, Max Blu­men­thal (gior­na­li­sta ame­ri­cano ndt) ha scritto che Israele ha nasco­sto l’informazione rela­tiva all’assassinio dei ragazzi rapiti. Pare che i lea­der israe­liani fos­sero già a cono­scenza della morte dei ragazzi, alcune ore dopo gli eventi. Il rapi­mento, però, ser­viva per giu­sti­fi­care la dispe­rata ricerca dei ragazzi in tutto il West Bank. Una «ricerca» che ha otte­nuto come risul­tato la morte di sei pale­sti­nesi, la deten­zione di altri 500 (soprat­tutto per­sone sospet­tate di legami con Hamas), il blocco totale di città e vil­laggi, le demo­li­zioni di case abi­tate da «sospet­tati», incur­sioni not­turne e molte altre forme di abuso dei diritti umani.

E all’interno del con­te­sto di que­sti ter­ri­bili cri­mini com­messi, non viene mai ricor­data la con­ti­nua disputa per l’occupazione ille­gale, la pre­senza degli inse­dia­menti e degli inse­diati nei ter­ri­tori occu­pati; si tratta di ele­menti che pro­vo­cano risen­ti­mento e rab­bia, ali­men­tati dalle quo­ti­diane umi­lia­zioni subite dai pale­sti­nesi. È troppo aspet­tarsi che Hamas, o qual­siasi altra for­ma­zione poli­tica, possa igno­rare tali pro­vo­ca­zioni senza rea­gire in alcun modo? E quale altro modo rimane ad Hamas, come rea­zione, se non inviare i pro­pri rozzi e pri­mi­tivi razzi in dire­zione di Israele?

La rispo­sta è senza alcun dub­bio con­tra­ria alle norme di diritto inter­na­zio­nale, ma quali alter­na­tive erano a dispo­si­zione di Hamas se non una supina acquie­scenza? Israele — del resto — ancor prima dell’intensificarsi dei razzi lan­ciati da Gaza, ha comin­ciato a bom­bar­dare, con una stra­te­gia mirata a indurre una pro­vo­ca­zione che potesse for­nire a Tel Aviv la giu­sti­fi­ca­zione per sfer­rare una mas­sic­cia ope­ra­zione mili­tare. Attac­chi indi­cati da Israele con la spre­ge­vole meta­fora di «fal­ciare l’erba», a rap­pre­sen­tare le indi­scri­mi­nate incur­sioni puni­tive a Gaza.

Altret­tanto rile­vante, ben­ché mai men­zio­nato nella ipo­crita nar­ra­zione delle scu­santi che cir­conda l’interpretazione della vio­lenza attuale, è l’illegalità del blocco di Gaza, sta­bi­lito a metà del 2007.

Que­sto «par­ti­co­lare», viene con­si­de­rato da esperti di diritto inter­na­zio­nale come una forma di puni­zione col­let­tiva nei con­fronti di tutti gli 1.8 milioni di pale­sti­nesi. Si tratta di una vio­la­zione dell’Articolo 33 della Quarta Con­ven­zione di Gine­vra, in base alla quale la popo­la­zione civile pale­sti­nese dovrebbe essere pro­tetta da Israele, in quanto potenza occu­pante. È que­sta una delle più fla­granti vio­la­zioni da parte di Israele delle norme di diritto umanitario.

Si sarebbe dovuto tener conto, inol­tre, del fatto che sino ad oggi non una sin­gola morte in Israele è stata cau­sata dal fuoco dei razzi di Hamas (il primo decesso, dei due avve­nuti, è stato cau­sato dall’esplosione di un mor­taio che ha col­pito un civile che stava por­tando cibo ai sol­dati israe­liani, men­tre la seconda vit­tima sarebbe un sol­dato col­pito da «fuoco amico» durante la prima fase dell’assalto di terra da parte israe­liana), vice­versa il numero dei pale­sti­nesi uccisi è salito a oltre 600 e stando ai reso­conti delle Nazioni unite, il 75–80 per cento di que­sti sono civili. Di certo, nono­stante la dispa­rità dei morti, non è que­sta una scusa per aval­lare l’utilizzo indi­scri­mi­nato di razzi, con un poten­ziale rag­gio di azione suf­fi­ciente a rag­giun­gere e col­pire le prin­ci­pali città israeliane.

Ma que­sta dispa­rità delle due parti deve essere presa in con­si­de­ra­zione e rico­no­sciuta, quando i diplo­ma­tici dis­ser­tano pie­to­sa­mente sulla sof­fe­renza dei civili di entrambe le parti. Un po’ di con­te­sto sto­rico è appro­priato. Israele, in pas­sato, ha accom­pa­gnato que­ste mas­sicce ope­ra­zioni mili­tari, con una nar­ra­zione auto­re­fe­ren­ziale costruita sulla base di provocazioni.

Nel 2008 venne sta­bi­lita una tre­gua; Israele sferrò poi un attacco a quelli che sta­bilì fos­sero mili­tanti di Hamas nei pressi di un tun­nel, ucci­den­done sei e vio­lando la tre­gua. Come rispo­sta Hamas lan­ciò razzi a salve con­tro Israele. Nella crisi odierna, la linea di demar­ca­zione è stata effet­ti­va­mente vio­lata da Israele, con una inten­sità tale da igno­rare la tre­gua pre­ce­den­te­mente sta­bi­lita, cui è seguito, imme­diato, l’attacco di terra.

Israele ha com­ple­ta­mente mono­po­liz­zato il dibat­tito pub­blico in Occi­dente, limi­tando la discus­sione al pro­prio diritto a difen­dersi dagli attac­chi dei razzi. (…) Da un excur­sus sulle ope­ra­zioni mili­tari pre­ce­denti, emerge un modello siste­ma­tico che dovrebbe creare sgo­mento in osser­va­tori obiet­tivi che ten­gono a cuore pace e giu­sti­zia: ad un periodo di quiete, segue una pro­vo­ca­zione israe­liana, poi una rea­zione di Hamas, seguita da una mas­sic­cia offen­siva israe­liana, seguita a pro­pria volta da espres­sioni di pre­oc­cu­pa­zione a livello inter­na­zio­nale. Appelli ini­zial­mente igno­rati, che invo­cano una tre­gua ed infine un ces­sate il fuoco.

E in ognuna di que­ste occa­sioni, le pro­cla­mate dichia­ra­zioni di Israele di voler dare fine alla capa­cità mili­tare di Hamas di lan­ciare razzi, non si sono mai rea­liz­zate, sol­le­vando il dub­bio che i veri obiet­tivi pre­fis­sati da Tel Aviv siano in realtà stati otte­nuti, ma mai resi pub­blici. (…) Gaza oggi sta subendo vio­lenze che non hanno pari per morti e distru­zione. Nono­stante que­sto, Hamas viene accu­sato di atti di «ter­ro­ri­smo». Vice­versa il ter­ro­ri­smo di Stato di Israele viene descritto come legit­timo e ragio­ne­vole. In tale con­te­sto, poco rico­no­sciuto, ogni cate­go­ria legale e morale risulta ina­de­guata per descri­vere quanto sta avvenendo.

Molti si chie­dono per­ché Hamas con­ti­nui a lan­ciare razzi con­tro Israele. Esi­ste una rispo­sta razio­nale con­vin­cente nell’annotare che la resi­stenza ad una occu­pa­zione stra­niera costi­tui­sce un impulso poli­tico fon­da­men­tale. Hamas, come sem­bra, ha acqui­sito una tec­no­lo­gia di razzi più sofi­sti­cata e in futuro potrebbe minac­ciare dav­vero Israele. Nel caso di Gaza — invece — la vul­ne­ra­bi­lità è evi­dente, ogni giorno; eppure si con­ti­nua a mostrare l’appoggio a Israele per la guerra e rei­te­rare il pio invito a limi­tare le sof­fe­renze della popo­la­zione civile.

*Richard Falk, pro­fes­sore eme­rito all’Università di Prin­ce­ton, è ex rap­por­teur su Gaza per le Nazioni unite. L’articolo è con­cesso al mani­fe­sto e Al Jazeera.

 

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