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In Sicilia si prepara la guerra nelle oasi naturali

Le esercitazioni in mare della Nato: Dynamic Manta
5 aprile 2017
Gianmarco Catalano

esercitazioni militari in mare

Da Nord a Sud, da Est a Ovest, proseguono senza sosta le prove di guerra in Sicilia. Archiviata la terza edizione della mega-esercitazione in mare Nato Dynamic Manta, l'Isola rimane a fare i conti con le ordinarie e insostenibili esercitazioni a fuoco delle forze armate italiane.

Giunta la primavera, mentre la marina militare si addestra nelle acque dello Ionio e del Mediterraneo Centrale, ad occupare vasti spazi terrestri ci pensano le intense attività belliche della brigata meccanizzata “Aosta”. Con l’utilizzo di armi portatili e di reparto, artiglieria pesante, bombe a mano e mortai, questa unità dell’esercito italiano impegna – contemporaneamente - almeno quattro poligoni di tiro siciliani: “San Matteo” in territorio di Erice (Trapani), “Santa Barbara” nei comuni di Tripi e Novara di Sicilia (Messina), “Drasy” tra la riva di levante del fiume Naro e Punta Bianca (Agrigento) e “Masseria dei Cippi” nelle campagne di Montelepre (Palermo). Sono aree di grande valore naturalistico, archeologico ed etnoantropologico, da decenni soggette a servitù militare e seriamente minacciate nella loro sopravvivenza.

Esemplare è il caso di Drasy: un poligono che si trova a due passi dalla Valle dei Templi (patrimonio Unesco) e comprende un’incantevole fascia costiera in attesa del riconoscimento come riserva naturale orientata, dopo la dichiarazione di “notevole interesse pubblico” emanata dalla Regione Siciliana nel 2001. Questo, però, non è bastato a porre fine ai continui bombardamenti dei carrarmati, da terra verso il mare, che stanno provocando l’inesorabile crollo della falesia di Punta Bianca e un probabile inquinamento del suolo e delle acque. Nell’oasi dell’Agrigentino, il 29 aprile si concluderà il primo quadrimestre di esercitazioni condotte sotto la direzione del Comando militare Autonomo di Sicilia. Da gennaio, al netto delle festività, fanno 90 giorni consecutivi – dalle ore 8 alle ore 17 - di addestramento a fuoco. Dopo la pausa estiva, si tornerà a sparare in autunno. In totale sono circa 8 mesi all’anno di esercitazioni, senza contare i war games svolti nello stesso luogo dalle forze armate statunitensi. Un calendario serrato che si ripete da oltre 60 anni, nonostante i danni ambientali denunciati dalle associazioni Mare Amico, Mare Vivo e Legambiente. Proprio quest’ultima, in una memoria depositata presso la Commissione Difesa della Camera dei Deputati, ha chiesto che «si ponga fine allo svolgimento di queste attività che nulla hanno a che fare con le finalità di un’area protetta, ma rappresentano un anacronistico e pericoloso utilizzo del nostro territorio in barba a leggi e regolamenti nazionali e direttive europee e internazionali, che nemmeno i Comitati Misti Paritetici tra Forze Armate e le singole Regioni sono stati in grado di garantire».

Un destino analogo è toccato anche al parco naturale di San Matteo. Un’area inclusa nel sito d’importanza comunitaria (SIC) denominato “Monte San Giuliano”, appartenente alla Rete Natura 2000, eppure inspiegabilmente adibita a poligono militare “occasionale”. Nel settembre dello scorso anno, dopo un’inchiesta del quotidiano MeridioNews, la vicenda è finalmente approdata sul tavolo del Ministero della Difesa, attraverso un’interrogazione parlamentare firmata dal senatore Vincenzo Maurizio Santangelo (M5S). Senonché «a detta dello stesso ministero, tutto è nella regola», ha riferito qualche giorno fa il senatore Santangelo al termine di un’apposita audizione in Commissione Difesa. Il risultato è che, anche per quest’anno, le esercitazioni di tiro andranno avanti in aperta violazione delle direttive comunitarie, in assenza di una valutazione d’impatto ambientale (VIA) e nell’ignavia delle istituzioni locali. «Faranno solo un gran rumore, ma nulla di pericoloso» commentava a MeridioNews Salvatore Angelo Catalano, assessore del Comune di Erice e ufficiale dell’esercito.

Non vanno meglio le cose sul versante nord-orientale della Sicilia, nel Messinese, dove l’esercito testa i lanciarazzi anticarro “Panzerfaust 3”, tecnologia di produzione tedesca che ha rimpiazzato i vecchi bazooka. A soli tre chilometri dal borgo collinare di Tripi, in località Santa Barbara, «i militari sparano nella direzione di una grande roccia e il rumore si avverte sino in paese», confermano dall’ufficio tecnico comunale. Le sessioni di tiro coprono l’intero anno – mesi estivi compresi - e si svolgono proprio a ridosso dell’alveo del Torrente Mazzarrà, a poca distanza dalla riserva naturale di “San Cono-Casale-Carnena”. Un’oasi regionale istituita per offrire protezione e rifugio agli animali selvatici, per i quali la presenza di un poligono, con il suo forte impatto acustico e per l'ecosistema, non può che rappresentare un pesante deterrente.

Sul monitoraggio degli effetti ambientali di queste esercitazioni, in effetti, le autorità civili non sembrano particolarmente vigili. Come nel caso del poligono “Masseria dei Cippi”, alla periferia del Comune di Montelepre in provincia di Palermo. «E’ una zona di campagna, a poche centinaia di metri dai pascoli, che insiste sopra una falda acquifera» spiega Giacomo Maniaci, giornalista del quotidiano MontelepreWeb. A sparare in questo poligono, accanto ai reggimenti dell’esercito, si recano il corpo forestale, l’XI reparto mobile della polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza e polizia scientifica. «Il rischio è che a lungo andare queste attività possano avere degli effetti negativi sull’acqua del pozzo Cippi, principale fonte di approvvigionamento idrico di Montelepre», sottolinea il giornalista. «Per il momento le analisi sul pozzo sono perfette, ma i controlli sul terreno non spettano al Comune», afferma Maria Rita Crisci, sindaca di Montelepre eletta col sostegno del Partito Democratico, poco più di un anno fa, dopo lo scioglimento del consiglio comunale per mafia avvenuto nel marzo 2014. «Tutti gli anni chiediamo contezza dei prelievi effettuati dall’assessorato regionale – aggiunge la sindaca – Per il momento non sono in possesso di dati da cui desumere motivi di allarme, ma mi riservo di approfondire con i miei uffici». Da tempo però, secondo Maniaci, «sulla questione si fa troppo silenzio, a causa del disinteresse delle istituzioni e degli stessi cittadini».

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