I fornitori italiani del Pentagono
Il Dipartimento della Difesa U.S.A. rende pubblici da parecchi anni tutti i contratti che vengono firmati con i propri fornitori; si tratta di una procedura standard che riguarda tutte le attività della pubblica amministrazione statunitense e che nel corso dell'ultimo decennio è stata progressivamente trasferita su internet con la costituzione di alcuni siti governativi accessibili a tutti gli interessati.
L'analisi di questi contratti offre numerosi spunti per comprendere le attività del Pentagono in relazione all'industria bellica statunitense e al tempo stesso rappresenta un importante riferimento per evidenziare il ruolo non marginale dell'industria bellica di altri paesi. Vogliamo soprattutto sottolineare come il coinvolgimento dell'industria italiana nel fornire prodotti e servizi al Dipartimento della Difesa statunitense costituisca un appoggio notevole alle attività militare degli U.S.A.: in pratica l'Italia è in guerra, soprattutto con la propria industria bellica ma anche con alcuni settori dell'industria civile.
Questo articolo nasce dal monitoraggio che come Associazione PeaceLink abbiamo svolto sui fornitori italiani del Pentagono dal 1997 ad oggi (settembre 2011). L'analisi è stata svolta mediante l'uso di strumenti informatici che, in concomitanza con l'uscita di questo libro, sono presentati pubblicamente sul sito www.peacelink.it/dodc, allo scopo di condividere uno strumento di approfondimento e ricerca nell'ambito dell'industria militare.
Perché solo il Pentagono
Chiariamo subito che questo lavoro di analisi prende in considerazione solo i contratti stipulati dal Dipartimento della Difesa statunitense.
La scelta è stata in pratica obbligata. Da decenni il Pentagono rende accessibili i dati relativi ai propri contratti in formato elettronico; inoltre, essendo i dati disaggregati ed estremamente dettagliati secondo delle specifiche altrettanto pubbliche, risulta possibile effettuare delle analisi e elaborazioni in proprio.
Nel resto del mondo, Italia compresa, non si riscontra altrettanta trasparenza. Alcuni governi europei mettono a disposizione dei propri cittadini degli strumenti informatici per analizzare la spesa militare, ma si tratta di strumenti dalle funzionalità limitate che non permettono un'analisi indipendente, o la rendono estremamente difficile.
La scelta di concentrarsi sul Pentagono è anche giustificata dal fatto che nell'ultimo decennio la spesa militare statunitense ha superato di gran lunga quella di tutti gli altri stati. Si può, infatti, affermare con buona approssimazione che il bilancio militare degli Stati Uniti di questi ultimi anni equivale a quello aggregato di tutto il resto del mondo.
Infine occorre tenere in considerazione la notevole presenza di basi militari statunitensi sul territorio italiano con il conseguente coinvolgimento di aziende italiane nella fornitura di servizi e prodotti.
Per cui, pur essendo impossibile analizzare la totalità dei contratti che vengono assegnati a livello globale all'industria bellica italiana, possiamo ritenere sufficientemente significativa l'analisi del coinvolgimento italiano nei confronti del Dipartimento della Difesa U.S.A.
Provenienza dei dati
Abbiamo elogiato la trasparenza statunitense in merito, ma è più corretto parlare di crescente trasparenza che si è andata via via perfezionando nel corso degli anni.
Fino a qualche anno fa, infatti, i dati relativi ai contratti del Pentagono venivano pubblicati su un server pubblico che non solo era ben difficile da scoprire ma che era anche irraggiungibile per buona parte della giornata. I dati erano forniti come un "dump" (ovvero una copia in formato testuale) della base dati, aggregati per anni (dal 1966 al 2004) e senza nessuna funzionalità di ricerca.
In pratica solo un esperto informatico, con tanta pazienza, avrebbe potuto ricavarci qualcosa.
In seguito i dati sono stati spostati su un altro server, più stabile e accessibile, dal quale era anche possibile ottenere una minima analisi statistica.
La situazione è migliorata nel 2007 con la creazione di due siti, il Federal Procurement Data System Next Generation e in particolare USA Spending, che raccolgono i dati di tutti i Dipartimenti e permettono di effettuare ricerche avanzate.
Questi ultimi siti non sono esenti da problemi e mancanze ma almeno sono fruibili da qualsiasi persona, anche non strettamente esperto in materia e privo di conoscenze tecniche avanzate.
È purtroppo prassi comune negli enti governativi, là dove per legge devono rendere trasparente la loro attività, che ciò avvenga mediante l'uso di soluzioni informatiche macchinose al punto da essere in pratica inutilizzabili, se non da parte di tecnici esperti. Questo è stato anche il caso dei dati relativi ai fornitori del Pentagono fino al 2007.
Per questo motivo, come PeaceLink, abbiamo raccolto e trasferito i dati in un database dedicato solo ai fornitori italiani, che ora viene reso accessibile a tutti all'indirizzo internet indicato in precedenza. Il periodo preso in considerazione è dal 1997 al 2011, però i dati riguardanti il 2011 sono ancora parziali.
È bene ricordare che si tratta esclusivamente di contratti stipulati dal Dipartimento della Difesa. Altri Dipartimenti, come quello dell'Energia, non sono stati presi in considerazione, sebbene siano in parte coinvolti in programmi militari.
Un cenno infine deve essere fatto alla purtroppo scarsa qualità e coerenza dei dati stessi. In un contesto così rigido e burocratizzato come quello militare verrebbe da pensare che l'acquisizione di dati sulle forniture sia un processo consolidato e accurato. Purtroppo non è così, non solo per la presenza di errori, anche banali, nell'inserimento dei dati ma anche per il frequente cambiamento delle codifiche e schemi utilizzati che creano inevitabilmente confusione da parte di chi compila (spesso manualmente) le schede relative ai contratti. Riteniamo comunque che questi errori siano poco influenti sull'analisi complessiva, considerata anche la mole notevole di dati che sono stati importati nel database di PeaceLink (circa 49.000 contratti e 7.000 fornitori).
I valori dei contratti sono in dollari statunitensi e sono stati normalizzati, per tenere conto delle variazioni del potere di acquisto della moneta statunitense nel periodo considerato (1997-2011), in base al Consumer Price Index pubblicato del Dipartimento del Lavoro U.S.A.
Come si diventa un "contractor"
I requisiti per diventare un fornitore del Pentagono sono estremamente complessi ed esulano da questa analisi. Esiste comunque un registro delle aziende che possono vendere i propri prodotti e servizi agli enti governativi statunitensi: il CCR (Central Contractor Registration), per iscriversi al quale occorre ottenere il famigerato codice N/CAGE (NATO Contractor and Government Entity), rilasciato per conto della NATO dal Ministero della Difesa. A oggi 783 aziende italiane sono iscritte al CCR, o almeno hanno optato per rendere visibile la loro iscrizione sul sito del Registro Federale.
Una volta ottenuti i requisiti, le aziende possono partecipare ai bandi pubblici, disponibili su vari siti governativi come Federal Business Opportunities, oppure possono cercare dei subappalti prendendo contatto con aziende che hanno già ottenuto un contratto.
Un aspetto importante da tenere in considerazione è che i contratti non sono sempre assegnati mediante bandi pubblici aperti a tutti, ma anche in base ad altri criteri, ad esempio secondo un elenco predefinito, per motivi di urgenza o di sicurezza nazionale.
Uno sguardo complessivo
Prima di addentrarci nell'elenco dei fornitori italiani è interessante rilevare alcuni aspetti che emergono dall'analisi complessiva, prendendo cioè in considerazione la totalità dei contratti stipulati dal Pentagono negli anni dal 1997 al 2011.
Indagini simili sono già state svolte, in particolare l'ottimo rapporto Outsourcing the Pentagon, del Center for Public Integrity, pubblicato nel 2004. Anche il GAO (Government Accountability Office) ha pubblicato una serie di articoli a riguardo, tutti estremamente critici del crescente fenomeno dei "contractors".
Queste analisi offrono numerosi spunti di riflessione che sono anche applicabili, in scala minore, alla specificità italiana.
- Privatizzazione crescente
L'uso dei "contractors" appare come un fenomeno in crescita, parallela se non superiore alla crescita del bilancio militare statunitense. Dal 1998 al 2003 metà della spesa militare è stata "outsourced", in altre parole delegata a fornitori esterni al Dipartimento della Difesa. Questa percentuale è ulteriormente cresciuta dal 2004 raggiungendo il 70% nel 2007.
Questo fenomeno ha provocato non pochi problemi, al punto che il Pentagono ha dovuto ammettere di non essere in grado di quantificare la forza lavoro assunta come "contractors" e di dover ricorrere ad altri "contractors" per gestire i propri "contractors", in un evidente circolo vizioso di pessimo management. - Più servizi che prodotti
Un cambiamento significativo è avvenuto a cavallo del 1991. Mentre in precedenza la maggior parte dei contratti (più del 60%) riguardava prodotti, dalla guerra del Golfo in poi i servizi hanno preso il sopravvento, affermandosi intorno al 55% dei contratti complessivi. - Scarsa competitività
In spregio alle regole del libero mercato, nel periodo considerato dal rapporto del CPI (1998-2003) solo il 40% dei contratti sono stati assegnati mediante bando pubblico aperto a più fornitori. Spesso non sono disponibili informazioni sul criterio di assegnazione del contratto, oppure si è in presenza di "unico fornitore", scelto in base a varie altre motivazioni, come urgenza, sicurezza, accordi internazionali e così via. - Conflitto di interessi
Le commistioni tra militari e industria bellica sono sempre più profonde. In un recente rapporto intitolato "Defense Contracting: Post-Government Employment of Former DOD Officials Needs Greater Transparency" il GAO ha denunciato che, nel solo anno 2006, ben 2435 ex-dipendenti del Pentagono con potere decisionale in merito a contratti militari sono stati assunti da fornitori del Pentagono stesso. Difficile stabilire se poi hanno lavorato sui medesimi contratti, ma certo il fenomeno desta non poche preoccupazioni.
Un altro esempio significativo: la stesura del bilancio del Dipartimento della Difesa viene in parte delegata a "contractors", dipendenti delle medesime aziende che poi parteciperanno ai bandi previsti dal bilancio in questione.
In genere, nel mondo militare sempre più privatizzato, diventa in pratica impossibile tracciare il confine tra interessi privati e responsabilità all'interno della struttura militare. Per non parlare delle commistioni tra industria bellica e politica... - Pesci grossi e pesci piccoli
I primi dieci fornitori si sono assicurati circa il 40% del totale dei finanziamenti disponibili. Non solo, ma per questi dieci fornitori buona parte dei contratti è stata assegnata senza una competizione aperta. Il Congresso ha provato a porre rimedio a questo fenomeno incoraggiando i contratti verso aziende medio - piccole, col risultato che una serie di aziende di piccole dimensioni sono state utilizzate come tramite per acquisire un contratto e poi rilevate da un'azienda ben più grande. - Spreco di denaro pubblico
Una parte significativa di contratti (prevalentemente quelli assegnati ai top-contractors) sono con rimborso costi, e non a costo fisso, col probabile risultato di incrementare il costo finale. Non mancano poi le inefficienze, denunciate più volte dal GAO, o casi ai limiti del ridicolo come le centinaia di milioni di dollari in parti di ricambio per aerei dell'Air Force, ancora da consegnare mentre gli aerei sono già destinati a essere decommissionati. - Evasione fiscale
Verrebbe da credere che in un ambito così rigidamente controllato come quello della contrattualistica militare sia difficile evadere le tasse. Il problema è che la gestione di questa mole enorme di dati è cosi complessa e burocratizzata che diventa molto difficile tracciare i pagamenti e incrociarli con i versamenti delle tasse previste. Lo stesso IRS (Internal Revenue System – il fisco statunitense) ha dovuto ammettere notevoli difficoltà nell'ottenere i dati relativi ai contratti stipulati dai vari Dipartimenti.
I fornitori italiani
Le industrie italiane coprono una parte molto marginale dei contratti complessivi del Pentagono, circa l'1‰; però nel contesto della spesa annuale del Dipartimento della Difesa, che ormai ha superato i 600 miliardi di dollari l'anno, di cui il 70% viene ceduto a fornitori esterni, questo 1 per mille assume un valore notevole, in media intorno ai 400 milioni di dollari l'anno.
Nel grafico qui sotto è possibile osservare l'andamento nel corso degli ultimi undici anni dei contratti riguardanti il territorio italiano. Da ricordare che in questo grafico così come in tutti quelli successivi i dati relativi al 2011 sono parziali, ovvero relativi solo ai primi 9 mesi dell'anno. La valuta è sempre in dollari e i valori sono stati normalizzati tenendo in considerazione l’inflazione.
I contratti assegnati a fornitori non-italiani sono in evidente crescita e ormai si attestano intorno al 60%.
Di questi la maggior parte riguarda fornitori statunitensi.
L'elenco dei quasi 2000 fornitori italiani è troppo lungo da pubblicare e per chi volesse consultarlo in dettaglio rimandiamo al sito https://www.peacelink.it/dodc
Qui di seguito pubblichiamo una tabella con i venticinque più rilevanti, come ammontare di contratti conseguiti nel periodo 1997-2011. Si tratta dell'elenco delle compagnie "madri che hanno ottenuto i contratti. In realtà i contratti sono spesso assegnati ad altre aziende facenti parti del medesimo gruppo, rendendo difficile il loro tracciamento a causa delle frequenti acquisizioni e separazioni dei grandi gruppi aziendali. Un’ulteriore complicazione nasce dal fatto che il database del Pentagono non è sempre molto accurato nel tracciare le relazioni tra azienda "madre e sussidiaria.
Azienda | Totale ($) |
---|---|
FINMECCANICA S.PA. | 434,322,551 |
ENI SPA | 420,804,589 |
COOPERATIVA MURATORI RIUNITI SOC. COOP. A RL | 342,597,465 |
POST TELEPH & TELEGR MINISTRY | 237,094,872 |
ALISUD SPA | 222,532,903 |
ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE SR | 198,207,628 |
COOP MURATORI & CEMENTISTI CMC DI RAVENNA | 196,540,365 |
TELECOM ITALIA SPA | 126,509,694 |
AGIPFUEL SPA | 116,036,160 |
IMPREGILO SPA | 113,942,833 |
LOTOS SRL | 70,648,002 |
A.I.A. COSTRUZIONI SPA | 64,620,017 |
REM ITALIA SRL | 59,122,639 |
LA NUOVA MECCANICA NAVALE SRL | 57,312,176 |
AEREA SPA | 51,679,996 |
RIZZANI DE ECCHER SPA | 46,288,807 |
DOMENICO MORAS & C COSTRUZIONI | 41,167,583 |
ARTI SRL APPLICAZIONI RAPPRESENTANZE TECNICHE INDUSTRIALI | 39,567,035 |
ENEL SPA | 35,185,500 |
ROSSETTIS P.A. | 32,121,593 |
IMPRESA LOTUS S D F | 29,807,174 |
ESSO ITALIANA SPA | 28,785,105 |
PAVAN COSTRUZIONI SPA | 28,027,844 |
IMPRESA PIZZAROTTI & C SPA | 27,156,248 |
ALIBUS DI ACCAINO LORIS & C.S. | 26,466,020 |
Nella grande maggioranza dei casi i contratti si riferiscono a prodotti o servizi riguardanti il territorio italiano. Solo l’1.5% dell'ammontare complessivo dei contratti concerne forniture estere, prevalentemente in Afghanistan, Stati Uniti, Spagna, Kuwait e Germania.
Le forniture si concentrano in alcune categorie ben specifiche, almeno per quanto riguarda i contratti di valore maggiore.
Nel settore militare, Finmeccanica è presente con molte delle sue aziende (Alenia, Oto Melara, Selex, Logic) e si posiziona in testa, soprattutto grazie al contratto per la fornitura di 18 cargo G222 da parte di Alenia.
La fornitura di carburante per le attività del Pentagono e delle loro basi militari è stata effettuata prevalentemente da ENI/AGIP, che è nettamente in testa come maggior fornitore italiano di questo ultimo decennio, con oltre 530 milioni di dollari (nella tabella ENI e AgipFuel appaiono distinte ma in realtà si sono fuse ad inizio 2008). Altre compagnie petrolifere italiane hanno il Pentagono come cliente: la ErgMed (Raffinerie Mediterranee) di Genova, del gruppo Garrone, recentemente acquisita dalla russa Lukoil, ha venduto quasi 200 milioni di dollari di combustibile. Per quanto riguarda le forniture di carburante occorre ricordare anche la presenza della multinazionale Exxon che ha venduto quasi 550 milioni di dollari in combustibile al Pentagono per le sue attività in Italia; non appare nell'elenco in quanto non italiana.
L'altra categoria principale di forniture è quella delle costruzioni, evidentemente correlata alla forte presenza militare degli Stati Uniti in Italia. In questa categoria sono le cosiddette "coop rosse a fare la parte del leone: la Cooperativa Muratori Riuniti di Ferrara (342 mln) e la Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna (196 mln) si sono assicurate oltre 1600 contratti, spesso relativi all'infrastruttura militare statunitense in Italia, in particolare le basi di Aviano, Sigonella, Camp Darby e Vicenza.
Un altro costruttore particolarmente attivo è la Rizzani De Eccher, impresa di costruzioni friulana che tra contratti diretti e indiretti (che non appaiono tra quelli delle aziende italiane) si è assicurata circa 100 mln di commesse, tra cui uno dei contratti più significativi fuori dal territorio italiano, il ponte sul fiume Pyandzh al confine tra Afghanistan e Tajikistan.
L'Impregilo di Milano, grande nome dell'industria delle costruzioni in Italia, ha avuto piu’ di 110 milioni di dollari in contratti. L'Impresa Pizzarotti & C. di Parma, impegnata in numerosi contratti per basi militari, da Comiso a Sigonella, da Napoli a Vicenza, ha ottenuto commesse per circa 27 milioni di dollari. I lavori presso le basi di Aviano e di Vicenza hanno coinvolto varie aziende della zona, tra cui Alibus, Pavan Costruzioni e il consorzio Bilfinger. Segnaliamo infine alcune imprese di Catania, come l'A.I.A. Costruzioni e la Lotus, che si sono complessivamente aggiudicate oltre 90 milioni di forniture.
Come già detto, non è sempre possibile distinguere i "contractors dalle compagnie sussidiarie che finiscono poi per realizzare le opere; inoltre nel settore edilizio si costituiscono spesso dei consorzi (si pensi al Bilfinger - Berger - Pizzarotti che si è aggiudicato alcuni importanti e recenti contratti per la base di Vicenza) per cui il panorama è ben più complesso rispetto a questa breve panoramica.
Un settore attinente a quello delle costruzioni è quello della manutenzione, nel quale ben 491 diverse aziende hanno fornito servizi al Pentagono. Oltre ai nomi già noti nell'ambito delle costruzioni, segnaliamo le napoletane Rem Italia (59 mln) e Arti (31 mln), la Lotos di Aci Castello - Catania (67 mln tra manutenzione e attività portuali) e la veneta Domenico Moras & C. Costruzioni (34 mln + altri 5 sotto Impregilo).
Un'altra categoria di rilievo è quella dei servizi aeroportuali, nella quale si distingue la Alisud di Napoli, che ha ottenuto contratti per più di 190 milioni di dollari, inclusi servizi per la base di Sigonella. L'Aerea Spa, società di Milano specializzata in equipaggiamenti e componenti strutturali per velivoli militari, ha ottenuto circa 38 milioni di dollari in contratti per conto della U.S. Navy.
Per le strutture portuali, e sempre per conto della U.S. Navy, si segnala La Nuova Meccanica Navale, di Napoli, con circa 45 milioni di dollari di commesse, e in particolare la Gemmo di Arcugnano – Vicenza, che tra contratti diretti e indiretti ha ottenuto commesse per quasi 60 milioni di dollari.
Infine nell'ambito delle telecomunicazioni il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni (213 contratti per un totale di 180 milioni di dollari) e Telecom Italia (288 contratti per oltre 125 milioni di dollari) hanno fornito al Pentagono tutta una serie di servizi, come elaborazione dati, manutenzione e noleggio di apparecchiature.
Un elenco delle categorie principali di servizi, e del relativo totale in contratti, è consultabile nella tabella seguente.
Categoria | Totale ($) |
---|---|
Costruzione di strutture e impianti | 1,013,589,772 |
Combustibili, lubrificanti, petrolio | 839,193,072 |
Manutenzione e riparazione di beni immobili | 503,765,412 |
Bollette e servizi domestici | 430,331,913 |
Elaborazione dati e servizi di telecomunicazione | 343,650,788 |
Operativita' di impianti governativi | 288,328,857 |
Trasporto, viaggi e e traslochi | 281,657,326 |
Manutenzione e riparazione di apparecchiature | 199,238,818 |
Servizi ingegneristici | 79,427,161 |
Servizi amministrativi e di gestione | 69,868,333 |
Affitto di apparecchiature | 59,357,818 |
Arredamento | 55,683,751 |
Strumenti e apparecchiature di laboratorio | 51,169,851 |
Strumenti e dispositivi per formazione professionale | 42,060,466 |
Apparecchiature per decollo, atterraggio e trasporto aerei | 41,875,151 |
Componentistica e accessori per aerei | 40,368,266 |
Risorse naturali e servizi di tutela dell'ambiente | 39,469,796 |
Sussistenza (viveri) | 38,389,803 |
Ricerca e sviluppo | 32,167,816 |
Fibre ottiche, materiali e componenti | 23,201,631 |
I committenti
L’Italia è uno dei pochi paesi (insieme a Giappone, Corea del Sud e Gran Bretagna) a ospitare sul proprio territorio basi militari di tutte e tre le forze armate statunitensi, ovvero Esercito, Marina e Aeronautica militare (corrispondenti a Army, Navy e Air Force).
Secondo l’ultimo censimento del Dipartimento della Difesa (Base Structure Report 2011), l’Esercito ha 11 basi in Italia (tra cui Camp Darby, Ederle, Livorno, Vicenza), l’Aviazione 16 (ad es. Aviano e Ghedi) e la Marina 13 (citiamo Augusta, Gaeta, Napoli, Sigonella).
Questa variegata presenza militare è rispecchiata nel grafico qui di seguito, nel quale abbiamo preso in considerazione tutti i contratti (con fornitori sia italiani che stranieri) stipulati in Italia dalle forze armate statunitensi dal 1997 al 2011.
A sottolineare l’importanza strategica dell’Italia per la U.S. Navy, la cui Sesta Flotta opera stabilmente nel Mediterraneo, poco meno della metà (45%) degli investimenti complessivi sono stati effettuati dalla Marina militare. L’Esercito e l’Aeronautica hanno investito molto meno, rispettivamente il 12 e il 14%. Infine un limitato 1% riguarda il Genio Militare.
I contratti non sono sempre riconducibili ai corpi suddetti, ma vengono anche sottoscritti direttamente con il Dipartimento della Difesa: si tratta in particolare di forniture di carburante che per il loro notevole valore arrivano ad avere un peso significativo (28%) rispetto al totale. Non è sempre possibile determinare l’uso finale di questo carburante, anche se si stima che tre quarti del fabbisogno energetico del Pentagono siano spesi per la mobilità dei propri mezzi e solo un quarto per le infrastrutture. Ad esempio, nel 2006 il DESC (Defense Energy Support Center) ha ridistribuito il 53% dell’energia che aveva acquisito all’Air Force, per le costose operazioni militari in Iraq e Afghanistan.
Tornando agli investimenti in Italia, l’andamento temporale è rappresentato nel grafico seguente, sempre suddiviso in base alle diverse forze armate. I picchi relativi al Dipartimento della Difesa (nel 1999 e nel 2006) sono dovuti appunto a contratti per la fornitura di carburante stipulati con l’ENI e altri fornitori.
Conclusioni
Pur con tutte le approssimazioni del caso, possiamo indicare una cifra complessiva per il periodo che abbiamo preso in considerazione, dal 1997 al 2011: $ 7.682.671.758.
Oltre 7.5 miliardi di dollari che, sebbene rappresentino una goccia nel mare della spesa militare mondiale, hanno un peso significativo per l'industria italiana. Rappresentano indubbiamente l'impegno industriale, tecnologico e anche politico (perché molti di questi contratti nascono da accordi internazionali presi al di fuori del libero mercato) che il paese Italia offre al Pentagono, la macchina da guerra più devastante che abbia percorso questo pianeta.
Di fronte a questi dati, non ci si può certo nascondere: l'Italia, con la sua industria, dal suo petrolio ai suoi muratori, è complice dell'azione militare statunitense nel mondo, e questa complicità sfugge al controllo dei cittadini perché i veri dettagli restano nascosti. Non sappiamo quali armi siano maneggiate e quali attività si svolgano in queste basi, non sappiamo quale sia il fine ultimo dei servizi e dei prodotti che le aziende italiane vendono al Dipartimento della Difesa statunitense. È già un miracolo che riusciamo ad avere delle cifre indicative, accompagnate da una generica descrizione, che ci offrono un'idea della dimensione del problema.
Quali strumenti ha il popolo italiano, la giustizia così come il Parlamento, per monitorare l'attività' militare statunitense sul proprio territorio? O per comprendere quanto l'appoggio industriale che è fornito dalle aziende italiane non sia in pratica un sostegno alla politica estera dell'amministrazione di Washington, sostegno che è dato solo secondo una logica di profitto aziendale e non, come sarebbe più corretto, sottoposto al vaglio del Parlamento?
La parte più consistente di questa cifra è strettamente correlata alla militarizzazione del territorio, con appalti per costruzioni di infrastrutture e servizi strettamente connessi alle attività delle forze armate statunitensi in Italia.
Questi sette miliardi e mezzo di dollari valgono i danni ambientali di questi ultimi quattordici anni?
Per non parlare poi della dipendenza, sia industriale che economica, che viene imposta dall'infrastruttura militare alla popolazione locale. Come già successo, queste basi militari possono essere rapidamente dismesse e trasferite altrove, per una serie di motivi, tutti al di fuori non solo del nostro controllo ma spesso anche della nostra visibilità. L'indotto industriale che generano può ritrovarsi da un momento all'altro senza il cliente unico da cui dipende e a cui ha legato la propria produttività.
Non solo, buona parte di questi servizi è di medio - basso livello, servizi accessori che non comportano una crescita industriale, in termini di competenze e opportunità, o una ricaduta economica più ampia. Va infatti ricordato che il 60% delle commesse riguardanti le attività delle forze militari statunitensi in Italia vanno ad aziende non-italiane. Si tratta di una percentuale cresciuta significativamente negli ultimi anni (fino al 2007 non superava il 40%), indicativa del fatto che per varie ragioni il Pentagono preferisce sempre più appoggiarsi a fornitori provenienti dagli U.S.A. Non si tratta solo di un aspetto quantitativo, ma anche qualitativo, nel senso che le commesse più critiche, in termini tecnologici e industriali, vengono assegnate a fornitori statunitensi e non italiani.
In conclusione, la "ricchezza generata da questa collaborazione industriale e militare col Pentagono sembra parecchio effimera. Porta ben pochi vantaggi: sono appalti che si potrebbero ottenere anche in altri settori, diversi da quello militare, senza dover sottostare ai vincoli e alle incertezze di un mondo che risponde a interessi oscuri e sicuramente estranei alle logiche di mercato. Sono inoltre accordi industriali e commerciali che si innestano nella degenerazione ambientale ed economica che accompagna la militarizzazione del territorio; e da questa militarizzazione dipendono, diventandone complici. Infine, a proposito di complicità, come non porsi il legittimo dubbio che questi prodotti e servizi servano a una logica di guerra totalmente estranea alle nostre intenzioni?
Per dare risposte più dettagliate a queste domande è anche necessario approfondire il lavoro di analisi che abbiamo sommariamente presentato in quest’articolo e collegarlo alla conoscenza del territorio da parte di chi vive in prossimità delle basi militari statunitensi. Per questo invitiamo chi volesse collaborare a visitare il sito https://www.peacelink.it/dodc, segnalando eventuali errori, integrando i dati esistenti e migliorandone la metodologia di analisi.
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