L’F-35, le basi militari e le bombe nucleari per distruggere l’articolo 11 della Costituzione
L’articolo 11 della Costituzione dovrebbe costituire la guida essenziale per la conduzione della politica estera italiana. L’uso del tempo condizionale per citare un articolo che riguarda due concetti, pace e guerra, tra loro contrapposti, si spiega alla luce delle trasformazioni nel diritto internazionale che, soprattutto alla fine della contrapposizione tra blocchi, riconosce la legittimità di interventi militari finalizzati alla tutela dei diritti umani o al mantenimento della pace. In particolare, in Italia, si sono viste iniziative volte a liberarsi dei principi fondamentali della Costituzione, come quello che l’Italia ripudia la guerra, ed anche il tentativo di una lettura separata delle proposizioni di cui si compone l’articolo con l’intento preciso di neutralizzare il valore forte del ripudio.
Un esempio chiarificatore di quest’ultima interpretazione è dato dalla guerra del Kosovo del 1999. Una guerra ripugnante chiamata “umanitaria” che ha visto, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, il bombardamento di una capitale europea, Belgrado. L’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, decise la partecipazione attiva dell’Italia senza chiedere l’autorizzazione del Parlamento concedendo non solo l’uso delle basi militari alla NATO, ma inviando portaerei, elicotteri, navi da sbarco, caccia, bombe e missili. All’accusa di aver violato l’articolo 11 della Costituzione, D’Alema si difese rispondendo che “L’articolo 11 dice che l’Italia rifiuta la guerra, ma accetta le limitazioni di sovranità derivanti dai suoi obblighi internazionali”. Evidentemente per D’Alema le “limitazioni di sovranità” vogliono dire poter bombardare le popolazioni civili. I politici italiani anziché fare tutto ciò che è possibile mettere in campo per denunciare la trasformazione della NATO da organizzazione difensiva a offensiva (uso della forza armata nelle missioni non articolo 5, cioè “fuori area”), preferiscono parlare di assunzione delle proprie responsabilità affinché l’Italia partecipi pienamente alla definizione dell’agenda globale.
La presenza di armi nucleari nelle basi di Aviano e Ghedi e il nuovo vettore F-35
Così come accade per l’articolo 11 della Costituzione, per conciliare la presenza di armi atomiche sul territorio italiano e l’obbligo di non possederle o riceverle in base all’art. II del TNP (Trattato di non proliferazione nucleare), si è trovato l’escamotage del sistema della doppia chiave. In questo modo le armi nucleari rimangono in possesso e sotto lo stretto controllo degli USA , che potranno decidere se ricorrervi sebbene solo a seguito dell’autorizzazione dello Stato territoriale, cioè dell’Italia. Ma quale possibilità ha l'Italia di inserirsi nelle decisioni americane? Nel 1984 il ministro Spadolini dichiarò che nessuna arma nucleare potrà mai essere lanciata dal territorio nazionale senza autorizzazione del governo italiano. Tuttavia è difficile immaginare che il presidente degli Stati Uniti considererebbe l' obbligo del parere alleato come un vincolo alla sua autorità, inoltre bisogna considerare non solo che una consultazione ha bisogno di tempo e circostanze che la permettono, ma che la sua realizzazione tecnica deve ritenersi riservata, segreta. E allora siamo sicuri che un fatto così importante debba essere deciso senza avvertire il Parlamento e la cittadinanza?
Per sostenere la decisione di permettere l’installazione di 30 missili Jupiter armati con potenti testate termonucleari nelle basi fra Puglia e Basilicata, nell’aprile del 1959 il Presidente del Consiglio Antonio Segni affermò: “Il comando dei missili sarà affidato agli italiani e noi non daremo mai il consenso a far partire il primo colpo”. Parlava di un accordo Italia – USA che non fu ratificato dal Parlamento, così come accaduto per il “Bilateral Infrastructure Agreement” del 1954 con tutti gli annessi collegati per ciascuna base, o per il memorandum del 1993 sull’uso della base di Aviano. Nell’“Accordo per la cooperazione nell’impiego dell’energia atomica a scopo di reciproca difesa”, sottoscritto nel 1960 fra Antonio Segni e il Governo statunitense, nella persona di J D Zellerbach, si sostiene che la reciproca sicurezza e difesa richiede che entrambi i paesi siano preparati ad affrontare le contingenze di una guerra atomica. Per quanto riguarda la durata, vi è scritto che l’accordo “rimarrà in vigore sino a quando non sarà estinto di comune accordo delle due Parti salva la possibilità per ciascuna delle due Parti di por termine alla propria cooperazione, di cui agli articoli II e III, all’atto dell’estinzione del Trattato dell’Atlantico del Nord”.
In sintesi l’articolo II riguarda lo scambio di informazioni per lo sviluppo di piani di difesa, addestramento del personale nell’uso si armi atomiche, valutazione del potenziale uso da parte di nemici e sviluppo di sistemi di trasporto sull’obiettivo adeguati alle armi atomiche trasportate, mentre il III riguarda la consegna di parti non nucleari di sistemi di armi atomiche comprendenti Dati Riservati. Nelle definizioni si chiarisce che le “parti non nucleari di sistemi di armi atomiche comprendenti Dati Riservati” si intendono parti di sistemi di armi atomiche diverse dalle parti non nucleari di armi atomiche, che contengono o rivelano informazioni atomiche e che non sono costituite in tutto o in parte da speciale materiale nucleare. https://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/Volume%20410/v410.pdf
Dunque in questo Accordo si fa riferimento alla NATO oltre che ai sistemi di trasporto delle armi atomiche. Per quanto riguarda la NATO, nel 2014 dopo l’esercitazione dedicata alle armi nucleari “Steadfest Noon” svoltasi presso la base dell’Aeronautica Militare di Ghedi, il ministro Roberta Pinotti dichiarò che la Steadfest Noon si svolge a rotazione in tutti i paesi Nato, e che l’impegno di appartenenza all’Alleanza Atlantica assunto dall’Italia è un cardine essenziale della sicurezza e della difesa del nostro Paese.
Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, dopo aver accolto favorevolmente l’impegno della Germania nella deterrenza nucleare, ha osservato che “la partecipazione nucleare, in cui sono coinvolti 29 alleati, è un accordo multilaterale che garantisce la condivisione di benefici, responsabilità e rischi di deterrenza tra le parti”. Ribadendo che la Nato continuerà a impegnarsi per l'obiettivo di un mondo privo di armi nucleari, ha poi affermato che finché esisteranno le armi nucleari, la Nato rimarrà un'alleanza nucleare.
Sebbene vi fossero già le prove della loro presenza, nel 2019 membri dell’Assemblea Parlamentare della NATO hanno pubblicato il documento “Una nuova era per la deterrenza nucleare? Modernizzazione, controllo degli armamenti e forze nucleari alleate” in cui si afferma che in Italia sono presenti armi nucleari sia nella base militare statunitense di Aviano, sia in quella italiana di Ghedi Torre. Le armi in questione sono le B61 che possono essere trasportare e sganciate dai caccia statunitensi F-16C/D schierati ad Aviano e dai Tornado italiani PA-200 della base di Ghedi. Vettori e bombe saranno sostituiti rispettivamente dalla nuova piattaforma F-35 e dalle testate B61-12.
Per ricevere le nuove bombe, la base di Ghedi ha dovuto ristrutturare i depositi in cui sono stoccate, cioè i magazzini corazzati che costituiscono gli ordigni (sistema WS3). Il contratto di appalto, classificato come “riservatissimo” è menzionato nel documento della Corte dei Conti “CONTRATTI SEGRETATI O CARATTERIZZATI DA PARTICOLARI MISURE DI SICUREZZA” https://www.corteconti.it/Download?id=66a27a35-1464-407d-857c-baea72cd4fb0
Nel giugno 2020, al termine di un contenzioso giudiziario, è stato siglato il contratto dal valore di circa 91 milioni per il potenziamento dell’aerobase di Ghedi, questa volta per ricevere i due gruppi di F-35A dell’Aeronautica Militare configurati per il trasporto nucleare. Si è resa necessaria la costruzione di due linee di volo con quindici hangar per ognuna, una nuova palazzina comando oltre che depositi, hangar di manutenzione, palazzina contenente il simulatore di volo, nuove centrali elettriche, sistemi di trasmissione dati e di telecomunicazione e le protezioni e sistemi di sicurezza per garantire la massima sicurezza.
Altre due basi pugliesi ospiteranno gli F-35 dell’Aeronautica e della Marina: Grottaglie e Amendola. Nella base di Grottaglie si addestra l’aviazione navale che dovrebbe equipaggiare la nave Cavour con gli F-35B. La base ha già speso 20 milioni per accogliere i futuri 15 F-35B ma è in ritardo con i lavori, mentre la portaerei ha completato circa il 90% dei lavori di ammodernamento fra cui interventi di carenaggio e metallizzazione del ponte di volo per contenere gli impatti termodinamici dei velivoli. Costo totale 74 milioni di euro per ristrutturare una nave progettata per i caccia Harrier II Plus. La nave dovrà poi raggiungere gli Stati Uniti per effettuare un ciclo di esercitazioni e abilitazione all’impiego degli F-35B entro la primavera del 2021. Amendola è invece la base dell’Aeronautica Militare. Ha già terminato i lavori di riconversione delle infrastrutture ed è stata individuata come polo nazionale degli F-35 a prescindere dalla versione. L’Aeronautica dovrebbe ricevere 60 F-35A (gli unici che hanno raggiunto la capacità operativa) e 15 F-35B.
F-35: il caccia che dovrà sostituire i Tornado IDS impiegabili per strike nucleare.
Ad oggi solo gli F-15E Strike Eagle e F-16 Fighting Falcon sono le uniche piattaforme tattiche degli Stati Uniti certificate per trasportare la B61-12. Così come per la Bundeswehr (forze armate della Repubblica federale di Germania), il Tornado è per ora l'unico vettore con capacità nucleare dell'Italia. Ma, mentre la Germania ha deciso di comprare gli F-18E/F Super Hornet di Boeing, la cui certificazione per l’impiego di armi nucleari dovrà passare per un accordo con Washington, l’Italia deve decidere quanti F-35 destinare all’attacco nucleare. Gli Stati Uniti hanno stimato un costo per il processo di certificazione Dual Capable Aircraft dell’F-35 pari a 340 milioni di dollari. La certificazione è prevista nel Block 4B del software. L’integrazione DCA deve prevedere anche aggiornamenti hardware. Quattro giorni fa la Rivista Italiana Difesa ha riportato la notizia che “l’Ufficio di programma dell’F-35 ha rilasciato alcune foto che mostrano i test di un F-35 con un simulacro della nuova bomba nucleare tattica B-61/12. L’F-35 avrà infatti la doppia capacità – nucleare/convenzionale – e dovrebbe conseguire una prima operatività in tal senso tra il 2024 ed il 2026”.
In realtà l’aggiornamento del blocco 4 non è solo in ritardo di 2 anni (dal 2024 al 2026), ma ha visto un aumento di 1,5 miliardi di dollari in un anno arrivando a costare 12,1 miliardi di dollari. In aggiunta bisogna contare altri 6 miliardi di dollari per il retrofit del Blocco 4 sugli aerei già consegnati. La fonte della notizia è il GAO che sostiene che il programma non sta fornendo aeromobili al livello di qualità previsto. https://www.gao.gov/assets/710/706815.pdf
Lockheed Martin infatti continua a fornire componenti che non sono pronti per l’installazione. Sostanzialmente il Comitato della Camera dei rappresentanti USA ha riscontrato che persistono problemi con i pezzi di ricambio che aumentano i costi e impongono al personale militare di risolvere i problemi per mantenere i velivoli in volo. https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-06-23/air-crews-balk-at-lockheed-f-35-parts-that-aren-t-ready-to-use
Un altro documento mostra i pochi progressi fatti dall’azienda nel riparare le centinaia di difetti di progettazione. In particolare, riferendosi alla configurazione associata al Blocco 4, si sostiene che il software che controlla tutti i componenti e i sistemi di missione del velivolo è instabile. Se non si rende stabile la base su cui aggiungere nuove funzioni si accumuleranno nuovi difetti ai vecchi, che finiranno per mettere in pericolo il programma e aumentare i costi. https://www.pogo.org/investigation/2020/03/f-35-design-flaws-mounting-new-document-shows/
A giugno l’Italia ha completato la fase 1 del programma F-35 acquistando 6 F-35 (5 F-35A e 1 F-35B) per 368 milioni di dollari appartenenti al lotto di produzione 14. I velivoli verranno assemblati presso la FACO di Cameri (Novara). I 368 milioni non coprono il costo totale dei velivoli in quanto non viene conteggiato il motore. In realtà il costo unitario di un F-35A è pari a 91,6 milioni, quello di un F-35B è di 100 milioni. Tuttavia il problema maggiore è dato dal costo del funzionamento e mantenimento del velivolo previsto del 7,8% rispetto alla stima dell'ufficio F-35 del Pentagono dello scorso anno. Senza contare che il sistema logistico integrato, conosciuto come Autonomic Logistics Information System (ALIS), deve essere rifatto da cima a fondo. Con questo ordine salgono a 28 gli F-35 italiani come previsto dal Documento programmatico pluriennale (DPP 2019-2021) della Difesa. Nel documento per il 2020 sono stati stanziati 859 milioni di dollari. La fase 2 prevede l’acquisto di altri 27 velivoli. Il programma, una volta completato, vedrà l’Italia dotarsi di 90 velivoli per un costo totale di circa 14 miliardi di euro.
14 e più miliardi per avere un velivolo che non funziona, che viola la Costituzione italiana e il Trattato di non proliferazione nucleare.
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