Eserciti a buon mercato
Quando Francesco Vignarca ha cominciato a occuparsi delle private security company, fino ad arrivare a scriverci un libro (Li chiamano ancora mercenari. La privatizzazione degli eserciti nell'era della guerra globale, Ed. Berti «I libelluli di Altreconomia», pp. 192, € 10. Il volume sarà in libreria dalla prossima settimana), mai avrebbe pensato che la «privatizzazione della guerra» avrebbe occupato così tanto spazio nella discussione pubblica italiana. La ragione, forse, sta nel fatto che un giorno ci si è svegliati con quattro connazionali presi in ostaggio in Iraq dove lavoravano come guardie private. Qualcuno li chiama mercenari, ma secondo la tesi di Vignarca questo è un concetto antiquato: i dipendenti (spesso precari) delle compagnie di sicurezza private rappresentano «in prospettiva la modalità con cui la guerra sarà condotta nei prossimi anni».
Come dobbiamo quindi chiamarli?
I termini usati sono: o private military companies o private security companies. Sarebbe meglio chiamarle private military firms, perché ci troviamo di fronte a vere e proprie holdings.
Facciamo un po' di storia. Come e dove nascono?
La gestione privata della guerra c'è sempre stata. Solo tra il `700 e l'800 è stata posta sottol'egida degli stati. La conduzione della guerra ha sempre seguito il modello socioeconmico dominante: le milizie civili sono figlie della nascita dei comuni, come la guerra totale della prima e della seconda guerra mondiale è conseguenza del fordismo e del taylorismo. Oggi viviamo in un mondo globalizzato che vede un'induscussa egemonia delle grandi corporation che assumono sempre più funzioni «politiche». E questo modello è stato adottato anche nella gestione militare. Negli anni Settanta queste compagnie sono nate come piccole società di consulenza composte da ex militari, ma a partire dagli anni '80 c'è stato il loro boom, come conseguenza delle politiche di privatizzazione che hanno coinvolto anche il comparto della sicurezza. Basti pensare che l'8% del bilancio della difesa americano, cioè circa 35 miliardi di dollari, è destinato a società militari private. In un primo momento, la tendenza alla «esternalizzazione» era giustificata con la necessità di contenere i costi, ma i fatti dimostrano che non conviene fidarsi dei privati: gonfiano le fatture e se il contesto di intervento diventa troppo pericoloso abbandonano la missione.
Una realtà solo statunitense?
Per niente. L'addestramento del nuovo caccia Eurofighter è stato fatto da società private, anche italiane, come la Meteor. In tutto il mondo, comunque, l'impulso alla loro crescita è stato dato dal crollo del muro di Berlino e l'apertura del cosiddetto «security gap». Negli ultimi anni l'ascesa è stata però spettacolare: dal 2001, le compagnie di sicurezza private sono cresciute il doppio della media del Dow Jones Industrial Avarage, alcune hanno avuto un boom del 30% in un anno, nonostante la recessione dell'economia mondiale.
Sono compagnie che funzionano come le società virtuali della new economy: un paio di computer, due sedie e una lista di nomi. E se hai l'idea giusta vieni acquisito da un colosso del settore. Ad esempio la Dsl, che era una grossa compagnia inglese, è stata comprata dalla Armuor Holdings per creare l'Armour group. Oppure altre compagnie sono state acquisite da imprese non del settore: ad esempio, la Csic, una grossa azienda di comupter technology e consulenza si è comprata la Dyncorp.
Ma queste compagnie come operano?
In primo luogo, sono distinte tra compagnie di consulenza, di servizio e di supporto. Quelle di consulenza fanno training militare. Esempio: la Mpri nel `95 lavorò per l'esercito croato che era in grossa difficoltà sulle Kraijne contro l'esercito serbo. Le riconquistò in due mesi, e furono gli stessi militari della Nato a riconoscere un'«impronta» occidentale nelle nuove tecniche di guerra dei croati. Quelle di servizio invece forniscono gli uomini. Prendiamo ad esempio Sandline che il 31 gennaio del `97 ha firmato un contratto con la Papua Nuova Guinea per cacciare i ribelli. Missione compiuta. Infine, ci sono quelle di supporto legate alle compagnie di estrazione petrolifera o diamantifera. Quest'ultima è una tipologia molto pericolosa, perché veicolo di due tendenze: la cosiddetta foreign policy by proxy, in pratica una politica estera fatta per interposta persona, e la vera e propria politica di sfruttamento. Vinnel ad esempio non è pagata dal governo dell'Arabia Saudita, ma direttamente dagli Stati uniti per il lavoro di training alla guardia nazionale. Poi il governo dell'Arabia Saudita rifonde il governo Usa.
La seconda tendenza si riferisce invece al cosiddetto «neocolonialismo corporativo», cioè la vera e propria svendita di pezzi di terzo mondo a queste corporation. L'esempio più lampante è la Hulliburton che ha avuto in appalto praticamente l'intera ricostruzione dell'Iraq: estrazione petrolifera, ricostruzione delle strade, ma anche la sicurezza, attraverso la sua controllata «Kellog Brown e Root». In pratica funziona come una moderna «Compagnie delle Indie», altro che mercenari. Qui siamo di fronte a dinamiche strategiche di sfruttamento economico. Quando «Executive Outcomes» andò in Angola la «Diamonds Work» - legata alla Outcomes - ebbe cinque concessioni minerarie per una superficie di 18 mila chilometri quadrati. La «Lev'dan» israeliana ha preso una serie di concessioni petrolifere dal governo del Congo Brazzaville che era insolvente per 40 milioni di dollari, mentre la «International Defence and Security» ha ottenuto in Congo una concessione diamantifera vasta come l'intero Belgio.
Anche le compagnie di sicurezza italiane funzionano così?
Non ancora. In Italia siamo indietro di almeno cinque anni. Bisognerà vedere, inoltre, se le nostre compagnie di sicurezza riusciranno ad avere l'espansione di mercato conosciuta da quelle straniere. Le grosse holdings ormai esistono e prendono tutto, alle altre spettano le briciole, cioè i sub-sub appalti. La Presidium di Stefio, comunque, fa parte del giro internazionali. La stessa Dts Llc di Simeone, quella che ha ingaggiato i quattro italiani, è una compagnia nata cercando di sfruttare la popolarità di un'altra grossa compagnia americana - ma con sede in Virginia - la Dts. E' un po' come se chiamassi una fabbrica di vestiti «Benettan».
Qual è il giro d'affari di questo business?
Dal `98 al 2010 si parla di una crescita da 54 miliardi di dollari a 202 miliardi di dollari di fatturato annuo, che sono pari ad un quarto delle spese militari mondiali annuali. Si vocifera che al Dyncorp abbia l'elenco di 2 mila persone che parlano spagnole per un eventuale invasione di Cuba o, comunque, per quello che potrà accadere nel dopo Castro.
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