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Il funerale rubato di Luca Sepe: ecco come muore un italiano…

"Recita bene la tua parte, in questo consiste l'onore"
(da “L'Antologia di Spoon River”)
8 settembre 2004
Fonte: Reporter associati

Luca Sepe è morto in ospedale il 13 luglio del 1994 ed io ero accanto a lui quando ha chiuso gli occhi. Gli hanno rubato la vita, con la leucemia, con la sua missione di militare in Kosovo, a contatto con le armi all'uranio impoverito. E subito dopo, a Napoli, gli hanno sottratto anche la morte, con un funerale blindato, zeppo di divise, stellette e alti ufficiali che la famiglia non voleva in chiesa, non voleva in quel corteo. Ma loro c'erano, si sono imposti, sono stati i protagonisti. E io ero lì, ancora accanto a Luca, a osservare impietrita quel delitto della memoria, a ripensare alle ultime parole di Luca in ospedale: "Fate giustizia, fate che non si ammalino più, fate che non muoiano più. Lo Stato ci ha abbandonato. Ci ha ingannato.Ci ha fatto credere che eravamo al servizio dell'umanità, io ho sempre agito per questo, ignaro che per l'Esercito invece ero solo carne da macello".

Ufficialmente, i soldati italiani ammalati di tumori e leucemie dopo le missioni all'estero sono circa trecento e ventiquattro sono i morti. Ma le vittime vere sono molte di più, perché tanti giovani e le loro famiglie hanno pudore o paura di parlare. Perché partono per la Bosnia, il Kosovo e l'Iraq, dal quale ora tornano i primi militari ammalati?

Partono perché credono nel loro lavoro, oppure - e sono i più - perché all'estero il soldato guadagna bene e spesso ne ha bisogno, per sé e per i suoi cari. RaiNews24 dice che si pagano anche tangenti per partecipare ai contingenti in Asia e nei Balcani. Se è così lo si vedrà. Ma è certo che dietro molti arruolamenti si nasconde il bisogno: il bisogno di campare.

"Fate giustizia". L'appello di Luca era nel cuore di donne e uomini al suo funerale. Dietro al suo feretro la madre, il padre, la compagna. Altre mamme di militari morti. Tante madonne ai piedi della stessa croce. Poi un esrecito di generali e colonnelli circondati da altre stellette (mai viste tante in un colpo solo), i soldati di Ponzio Pilato anch'essi ai piedi della croce, hanno voluto rubare la cerimonia al dolore per farne una parata, ignorando, con arroganti e bellici sorrisi, con discorsi vuoti e di circostanza, il chiaro rifiuto della mamma, del papà e della compagna di Luca alla loro presenza. Nulla da fare. In ogni maniera hanno cercato di allontanarli. Gli uomini con le stellette hanno sfruttato il dolore, la fatica e la tortura dei quattro anni della malattia di Luca, fino a ricevere dai familiari un sì all'ingresso nella chiesa, a patto che restassero in fondo, nelle ultime file. Nulla da fare.

Le forze armate hanno conquistato il secondo banco, come un esercito in marcia inarrestabile. Hanno superato gli amici intimi del soldato Luca. Hanno messo su il loro picchetto d'onore in alta uniforme, hanno persino sostituito il parroco della famiglia Sepe con un cappellano militare. Una donna, anche lei in uniforme, ha voluto a ogni costo sedersi in prima fila, abbracciando la compagna di Luca che distrutta dal dolore e dall'offesa chiedeva aiuto per cacciar via quella donna con le stellette, quell'essere che del dolore altrui ha voluto fare la sua medaglia indegna.

Poi l'agguato: i generali hanno conquistato anche l'uscita della chiesa, per raccogliere le condoglianze loro, proprio loro, invece dei familiari di Luca. Un saccheggio di guerra.

Dopo "il silenzio" intonato dalla tromba (le sole note sincere) il cappellano di guerra ha predicato l'onore, la gloria, la difesa della Patria, il sacrificio. Molti amici di Luca, disgustati, sono andati via. Ma gli uomini in uniforme non conoscono vergogna, guardano a vanti sprezzanti e a testa alta, nei loro occhi la voglia di nuove guerre, nuove vittime, nuovi funerali da celebrare.

E poi quel drappo tricolore che avvolge la bara di Luca è pesante, pesante come l'uranio impoverito o quelle dannate pareticelle di metalli trovate nei nostri "soldati di pace" e che il Governo continua a non voler vedere, perché l'uranio è un business. Allora, ci saranno purtroppo altre morti, altre malattie. Altri funerali rubati.

Note: (grazie a Marco Mostallino)
http://www.reporterassociati.org/index.php?option=news&task=viewarticle&sid=3475

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