Banche Armate: Facciamo il punto
Lanciata nel 2000 su iniziativa di tre riviste del mondo pacifista (Mosaico di pace, Nigrizia e Missione Oggi), la Campagna di pressione sulle “banche armate” ha cercato, fin dal suo inizio, di perseguire un duplice scopo: da un lato favorire un controllo attivo dei cittadini sulle operazioni di appoggio delle banche al commercio delle armi, dall'altro fornire informazioni per un ripensamento dei criteri di gestione dei propri risparmi. In questi quattro anni sono state numerose le azioni di singoli e associazioni che, rispondendo all'invito dei promotori della campagna, hanno inviato alla propria banca una lettera chiedendo chiarificazioni in merito alle operazioni di appoggio all'export di armi italiane documentate dai dati forniti dalla Relazione prevista dalla legge 185/'90 che ogni anno la presidenza del Consiglio trasmette al parlamento. Dati che vengono puntualmente riportati sul sito della Campagna (www.banchearmate.it) corredati da precise analisi. Un'attività di pressione che ha condotto alcuni istituti di credito a prendere posizione.
Chi esce e chi... rientra
Tra le prime risposte va ricordata quella del gruppo Unicredit, che già nel 2000 ha manifestato agli organi di stampa la propria intenzione di uscire dal settore. “Nel dicembre 2000 sono stati emessi dalla Direzione centrale ordini di servizio che disponevano dal 1° gennaio 2001 di non assumere più nuovi contratti di questo tipo, sapendo che sarebbe stato però indispensabile un periodo transitorio per l'uscita definitiva da questo mercato” - spiega in una recente intervista Riccardo Della Valle, responsabile Bilancio sociale ambientale di Unicredit. Nonostante le dichiarazioni, anche nel 2003 Unicredit Banca d'Impresa continua però a comparire nella tabella delle “nuove autorizzazioni” con 39 operazioni del valore complessivo di 30,1 milioni di euro che rappresenta il 4,2% del totale delle transazioni. Finora la spiegazione dei dirigenti del gruppo è stata che “si stanno portando a termine impegni assunti negli anni precedenti”. Una risposta che non dissipa del tutto le perplessità delle associazioni. Va comunque riconosciuto che Unicredit ha notevolmente ridotto le proprie operazioni nel settore se pensiamo che nel 1999 il gruppo di provenienza di Unicredit (Unicredito Italiano) con 1248 miliardi di lire ricopriva più della metà del totale degli importi autorizzati di quell'anno.
Chi invece scompare - e crediamo definitivamente - dall'elenco delle cosidette “banche armate”, è il gruppo Monte dei Paschi di Siena che ormai da due anni ha praticamente interrotto i propri servizi d'appoggio alla compravendita di armi. Un risultato quanto mai positivo per gli attivisti della campagna e specialmente per il gruppo fiorentino, uno dei più attivi nel settore.
Anche la Cassa di Risparmio di Firenze non appare nell'elenco del 2004. Ma l'acquisizione lo scorso anno della Cassa di Risparmio di La Spezia, tradizionalmente uno degli istituti di riferimento della Oto-Melara, dovrebbe portare le operazioni svolte dalla banca spezzina nell'elenco della Cassa fiorentina. E non saranno poche visto che la Cassa di Risparmio di La Spezia ha ricevuto solo lo scorso anno 47 autorizzazioni, per un totale di oltre 34 milioni di euro (una percentuale che sfiora il 5% del totale) con operazioni che spaziano dalla Nigeria al Sultanato del Brunei fino alla Malesia.
Conferma invece anche nel 2003 la propria uscita dalla fornitura di servizi al commercio delle armi la Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino, dallo scorso anno fuse nel gruppo Banche Popolari Unite.
La novità dell'anno in corso riguarda uno degli istituti bancari maggiormente attivi nel settore. Si tratta di Banca Intesa che, a seguito delle pressioni dei correntisti e di una specifica iniziativa di richiesta di trasparenza confluita nella “Campagna Manca Intesa”, ha comunicato la decisione di “sospendere la partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano l'esportazione, l'importazione e transito di armi e di sistemi di arma, che rientrano nei casi previsti dalla legge 185/90”. Sebbene Banca Intesa si riservi di “valutare autonomamente operazioni che, pur rientrando fra quelle previste dalla legge 185/90, non abbiano caratteristiche tali da essere incoerenti con lo spirito di ‘banca non-armata' (come ad es. operazioni di peacekeeping, in cui i soldati Onu vanno comunque armati)”, l'istituto bancario si è impegnato a dare tempestiva comunicazione di queste autorizzazioni attraverso il proprio sito internet. Un passo significativo, soprattutto perché la banca ha accolto la domanda di trasparenza dei cittadini e ha avviato un dialogo con le associazioni promotrici della Campagna.
Le “banche armate” del 2003
La “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento e dei prodotti ad alta tecnologia” trasmessa dalla presidenza del Consiglio al parlamento nel marzo scorso, riporta per il 2003 un forte aumento delle consegne effettuate - che crescono quasi del 30% rispetto all'anno precedente passando dai 487,2 milioni di euro del 2002 ai 629,6 milioni dello scorso anno. Ma sono state soprattutto le nuove autorizzazioni a destare numerosi interrogativi. Innanzitutto l'ammontare delle autorizzazioni all'esportazione rilasciate dal governo per l'anno 2003 fa segnalare la cifra record dell'ultimo quadriennio toccando 1 miliardo e 282 milioni di euro, con un incremento che sfiora il 40% (39,36%) rispetto ai 920 milioni di euro del 2002. Autorizzazioni, quelle del 2003, che per il 72,3% riguardano Paesi non Nato, e per il 53% sono rilasciate per contratti verso Paesi del Sud del mondo spesso nelle “aree calde” del pianeta ed addirittura a Paesi verso i quali è in vigore l'embargo da parte dell'Unione europea, come nel caso della Cina.
In un anno di forte crescita dell'export di armi, sono aumentate anche le attività degli istituti di credito, ai quali sono state concesse complessivamente 707 autorizzazioni per lo svolgimento di transazioni bancarie relative ad esportazioni e importazioni sia temporanee che definitive, pari ad un valore di oltre 1 miliardo e 155 milioni di euro. Tale cifra segna il top dell'ultimo decennio con un aumento del 50 % rispetto al 2002. Un giro d'affari che ha portato alle banche compensi di intermediazione per oltre 42,6 milioni di euro. Tre quarti delle transazioni degli oltre 722 milioni di euro di esportazioni definitive sono state negoziate da cinque istituti bancari: Banca di Roma, che con oltre 224,3 milioni si aggiudica oltre il 30% delle operazioni; il Gruppo Bancario S. Paolo IMI che con 91,7 milioni euro migliora lo share dell'anno precedente, quando era del 10%, toccando il 12,7%; Banca Intesa (88,8 milioni euro di transazioni per il 12,3% del totale) che con Intesa BCI (operazioni per 8,5 milioni euro pari all'1,2%) porta al 13,5% la sua performance complessiva (era del 7% lo scorso anno); la Société Générale (70 milioni di euro pari al 9,7%) che si aggiudica la mega fornitura alla Malesia, e Banca Nazionale del Lavoro (BNL) che con 108 operazioni del valore 69,6 milioni euro raggiunge il 9,6%. Ciò segnala un calo rispetto agli ultimi due anni, quando ricopriva il 18% del totale.
Le tesorerie disarmate
Da qualche anno diversi gruppi locali hanno iniziato a chiedere ai propri Comuni di adottare un regolamento etico nella scelta della tesoreria comunale. Accogliendo le richieste della Campagna di pressione sulle banche armate, lo scorso anno la Rete di Lilliput ha dato vita alla Campagna tesorerie disarmate. L'iniziativa chiede che nei bandi per le gare d'appalto per le tesorerie degli enti locali e pubblici non territoriali venga inserita una voce relativa al finanziamento del commercio di armi e propone di assegnare un punteggio negativo agli istituti di credito che forniscono i propri servizi al commercio delle armi, ed uno positivo a quelli che non sono implicati in alcun modo in attività di compravendita di armi. L'iniziativa ha preso il via nel Comune di Pavia e si sta estendendo ad altre città, come Ladispoli, Firenze e Palermo.
Le prossime iniziative
Lo scorso luglio, in occasione dell'assemblea annuale dell'Associazione delle banche italiane (ABI), le associazioni hanno infatti inviato una lettera al direttore generale dell'ABI chiedendo di appoggiare ufficialmente le scelte annunciate Banca Intesa ed altri istituti bancari di non fornire finanziamenti al commercio delle armi e di invitare le altre banche italiane, oggi coinvolte nella vendita di armi ad intraprendere a loro volta un percorso di responsabilità e trasparenza. L'ABI ha risposto comunicando la disponibilità ad incontrare in sede privata alcuni rappresentanti dell'iniziativa. Una disponibilità che sarà da valutare nel merito, ma che rappresenta un segnale positivo anche a fronte dell'atteggiamento ostile dei dirigenti della Banca regionale europea (Bre, gruppo Banca Lombarda e Piemontese). Coinvolta per una fornitura al Belgio di kit per mitragliatrici aviotrasportabili della ditta Aerea (poco più di un milione di euro), nel gennaio scorso Bre Banca ha citato in tribunale “La masca” un settimanale di Cuneo, sede della banca, che aveva riportato i dati della Relazione governativa. Iniziativa ritirata solo dopo una totale smentita da parte del periodico richiesta dalla banca.
E di “banche armate” e finanza etica per la pace si parlerà anche al prossimo convegno dell'Associazione finanza etica in programma a Firenze e Bologna, rispettivamente il 18 e 20 novembre 2004.
Rimane comunque fondamentale che associazioni e gruppi del mondo pacifista si attivino sia nel chiedere trasparenza agli istituti bancari e fondazioni collegate ai medesimi, anche trasferendo i propri conti bancari verso istituti di credito non coinvolti nel commercio delle armi, sia invitando i propri associati a fare altrettanto. L'impegno per la promozione della pace passa anche da qui.
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