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Città militarizzate: una rete per difendersi

Nessuna base, nessuna guerra

Sintesi dei lavori della giornata di studio del novembre 2004 a Taranto
5 dicembre 2004
Giovanni Matichecchia , Salvatore De Rosa

Non azzardiamo quando riteniamo che il convegno di Taranto sulla militarizzazione, sulla sempre più invasiva presenza delle basi militari in Italia, voluto dal Comitato dei 2 No (al nucleare e ad ogni ulteriore insediamento militare a Taranto), è stato un grande momento di riflessione e di studio. Con la presenza di un riconosciuto studioso (Francesco Polcaro che ha presentato un lavoro realizzato con Massimo Zucchetti e Francesco Iannuzzelli, vere e proprie autorità in tema), di politici di indiscussa militanza in materia (Mauro Bulgarelli, Giovanni Russo Spena e Nicola Occhiofino) e con i contributi autorevolissimi di Edoardo Magnone e di Pietro Maestri si è resa possibile una precisa ricognizione dello stato dell’arte in tema di militarizzazione dei territori urbani. Accanto a questi contributi vanno registrati quelli di Tonino Camuso (una puntuale mappa della militarizzazione in Puglia), Antonio Mazzeo (Sigonella – Militarizzazione, mafia e conflitti), Giuseppe Rizzardo (Comitato Unitario contro Aviano 2000), Alessandro Marescotti (Peacelink e Comitato dei 2 No), Giovanni Berardi (Comitato quartiere Città Vecchia), padre Michele Stragapede (Comboniani Puglia), Maja Maiori (Comitato La Maddalena), Salvatore De Rosa (Attac – Comitato dei 2 No), Ernesto Palatrasio (Slai Cobas – Comitato dei 2 No), Salvatore Fanuli (Rifondazione Comunista), Salvatore Stasi (Confederazione Cobas – Comitato dei 2 No), Enzo da Bisignano (Comitato contro la guerra di Ravenna), Francesco Carri (Pastore Chiesa Valdese – Comitato dei 2 No), Esponente Red Blok, Area Antagonista Campana, Gettiamo le basi di Bologna e Romagna, Coordinamento Naz. Per la Jugoslavia.

Come è intuibile, una sintesi di tali interventi (lodevole il contributo di Marinella Marescotti pubblicato su www.pecelink.it ) è problematica al punto che si sta valutando la necessità di una pubblicazione che raccolga puntualmente tutte le relazioni. Ci sembra più giusto far conoscere compiutamente il contributo di chi ha partecipato alla giornata di studio. Va altresì precisato che la sintesi tentata da Margherita Calderazzi (anch’essa su www.peacelink.it ) contiene, dettate dalla necessità di offrire un rapido resoconto, alcune imprecisioni.

Tentiamo, per quanto possibile, una lettura del valore politico di questo convegno.

Nelle fasi di sofferenza della economia mondiale, prendono fiato i fautori di una economia di guerra. Per quanto possa apparire azzardato, la guerra, così come per altri versi il crimine, produce un fiorente indotto per le minoranze che detengono il potere, il potere di decidere sulle maggioranze. Quindi non di guerra preventiva è lecito parlare quanto piuttosto di una precisa scelta di potenziamento dell’apparato bellico con la prospettiva di una endemia bellica che abbia per scenario l’intero pianeta. Siamo alla preventiva guerra continua. Ci raccontano che così facendo rispondono all’esigenza di portare la democrazia nel mondo. Tutti dobbiamo riconoscere che la democrazia scarseggia un po’ovunque. Che il potenziamento dell’apparato bellico sia il prioritario impegno dei governi è dimostrato dalle più recenti scelte.
La Russia, con i suoi sistemi missilistico-nucleari (sono i nuovi missili balistici Topol-M, che dovrebbero essere consegnati all'esercito nel 2006. I loro 10 mila chilometri di gitatta li rendono unici al mondo. La loro estrema manovrabilità e velocità sono a prova di scudo anti-missile, il sistema di protezione fortemente voluto dal presidente americano Bush).
Gli Usa, con il riposizionamento delle forze navali e terrestri in Europa ma anche con l’assegnazione della Segreteria di Stato ad un “falco”.
L’Italia con il potenziamento delle basi militari di terra e di mare ma soprattutto con l’emblematica scelta di una legge liberticida in tema di diffusione di notizie militari? (1)
Il paravento dietro cui si nascondono è la lotta a quel terrorismo che indirettamente alimentano quotidianamente.
E’ questa la chiave di lettura per capire lo stato in cui versano le due regioni meridionali martoriate dalla presenza militare.
La Puglia e la Sardegna rappresentano il massimo della pervasività militare in un territorio. La Sardegna, come la Puglia, con la presenza dei poligoni di tiro e dei sottomarini a propulsione nucleare sta pagando un altissimo prezzo nella salute pubblica determinato dall’incremento delle neoplasie (2).
Alla Maddalena sono già numerose le nascite di bambini nati con problemi. I sardi hanno già chiesto agli americani di togliere il disturbo. A Gaeta sono felicissimi che gli americani vadano via. Il Cermis lo ricordano tutti. Aviano e Sigonella rappresentano le classiche città martoriate da un aeroporto da cui decollano jet a reazione. Brindisi ha conosciuto e continua a conoscere la “discreta” presenza americana che tutto osserva. Decine di città sono soffocate dalla ingombrante presenza militare.
Taranto ha già dato e continua a dare. Storicamente. L’inaugurazione di giugno della più grande base navale italiana è solo il suggello di una lunga tradizione.
Pensare di dare ospitalità ad un nuovo insediamento americano, di supporto logistico, è pura follia. Da un punto di vista economico, da un punto di vista sociale e, non ultimo, dal punto di vista della agibilità democratica.
Il Comitato dei 2 No è impegnato da circa un anno a scoraggiare uno strisciante consenso socio-culturale orchestrato da alcune agenzie miranti a realizzare a Taranto un nuovo insediamento militare.
In Puglia non mancano i poligoni di tiro; è presente la più grande base navale italiana, presidio dei sistemi informativi e comunicativi Italia-Usa. Viene ipotizzata, ma è molto più di una ipotesi, una base logistica americana di appoggio all’imminente trasferimento della VI flotta Usa da Gaeta a Taranto. Ciò significa che Taranto è candidata ad essere un’altra La Maddalena del Mediterraneo. Con questa mossa il Mediterraneo diventa Mare Loro. Il Mediterraneo è strategicamente il miglior osservatorio-base militare possibile. Dal Mediterraneo possono monitorare il Nord Africa, il MedioOriente, i Balcani e l’Europa, naturalmente. A queste popolazioni viene garantita “sicurezza” e “democrazia”. Il prezzo da pagare è la salute delle nostre popolazioni. Un sottomarino nucleare in avaria, con inevitabile dispersione di sostanze radioattive, staziona a Gibilterra da 4 anni e minaccia le buone relazioni con la Spagna. Oltre la salute degli abitanti di quelle terre. A sottolineare la propensione all’incidente dei sottomarini nucleari, pressoché quotidiana, i quotidiani Corriere della Sera e Liberazione, il giorno del convegno riportavano:
Il coraggio di un marinaio siberiano ha salvato il mondo da una potenziale catastrofe atomica. A bordo di un vecchio sommergibile russo armato di missili nucleari a lunga gittata è divampato un incendio. Il fuoco e' stato spento grazie all'intervento di un giovane marinaio russo che però, con il suo gesto, ha perso la vita. L'incidente è avvenuto il 14 novembre a bordo del Podolsk, un sommergibile della classe K223. Il fatto è diventato di pubblico dominio con quasi una settimana di ritardo, quando in un remoto villaggio vicino a Krasnoyarsk, nel cuore della Siberia, si sono celebrati i funerali di Dmitri Koval, il marinaio-eroe.
Che l’agibilità democratica sia compromessa lo abbiamo già affermato in avvio. Di recente era stata organizzata una conferenza stampa in prossimità di un obbiettivo sensibile, il Comando in Capo del Basso Adriatico e dello Ionio. Lo spiegamento di forze dell’ordine ci ha consigliato di dirottare i giornalisti. Lo stato di allerta delle forze dell’ordine ha una soglia molto più bassa. E’ facilmente prevedibile un intensificarsi delle attività di vigilanza sulla vita politica. Le normali manifestazioni studentesche potrebbero essere viste come elemento di pericolosità che non hanno mai avuto e che intrinsecamente non hanno.
Per tornare però alla legge, v’è da chiedersi perché il legislatore abbia introdotto in questo momento storico una norma così illiberale. Perché oggi non vuole che si parli di problemi militari, perché in questo momento gli serve uno strumento legislativo che faccia calare il sipario su scelte e strategie che si stanno delineando. C’è da chiedersi perché ci si vergogni delle “missioni di pace”.
A nostro avviso è già presente una sorta di autocensura delle forze politiche e sindacali che hanno da sempre un comportamento elusivo nei confronti dei problemi legati alle forze armate e alla loro funzione. Questo loro atteggiamento non favorisce una presa di coscienza della maggioranza dei cittadini ai quali vengono invece presentati come degni di interesse solo le irrisorie riduzioni del fisco (ci riferiamo naturalmente ai redditi più bassi). I problemi della tutela della salute dalle aggressioni del nucleare militare sembrano non entrare nelle agende dei partiti.
E questo induce la stampa a glissare l’argomento con il risultato che se ad una manifestazione partecipano alcuni cittadini preoccupati, i giornalisti si limitano ad una notarile annotazione. Non sono mai stati fatti approfondimenti seri su quello che respirano le popolazioni delle città militarizzate o quello che respirano i cittadini delle campagne laddove sono presenti i poligoni di tiro.
Circa il ruolo della Chiesa Cattolica (quella valdese ha fatto propria la causa della pace tra i popoli) sono in molti a nutrire perplessità. Tra la pace e il battesimo delle navi c’è l’abisso.
Il convegno di Taranto ha stabilito inequivocabilmente che è necessaria una rete delle città militarizzate. Per monitorare ogni modifica-potenziamento, per respingere l'attentato alla nostra salute e quindi per promuovere una civile opposizione ad un processo che mortifica e offende il nostro essere cittadini consapevoli e responsabili. Creare una nuova rete che affianchi l’esistente sembra poco opportuno e impolitico. Si tratta di potenziare la rete dandole un nuovo assetto e soprattutto nuovi strumenti di comunicazione. Peacelink sta realizzando una sezione capace di raccogliere tutto il materiale città per città. Conta, più del nome, delle etichette, delle primogeniture, la funzionalità di alcuni servizi e di alcuni sistemi comunicativi.
Quando potremo contare su una rete efficace ed efficiente (si sta lavorando perché ciò avvenga nel volgere di un paio di settimane), potremo pensare ad una vertenza a livello nazionale delle realtà soggette a servitù militari. Questa rete va sostenuta con manifestazioni locali improntate alla contemporaneità perché possa essere percepita come univoca volontà dell’intero Paese. Ogni realtà cittadina promuove e realizza varie iniziative di sensibilizzazione e informazione locale legate alle situazioni locali (pensiamo al presidio del 25 giugno scorso, all’ingresso della base navale, il giorno dell’inaugurazione, che ha dato a molti lavoratori e cittadini la possibilità di conoscere voci fuori dal coro delle celebrazioni). Le forme di lotta vanno progettate e, possibilmente, concordate. E’ ipotizzabile, a breve, un raduno delle delegazioni locali a Roma per la presentazione della vertenza. In conclusione, è stata proposta la pubblicazione degli atti del convegno. Chi lotta per un territorio vivibile e per una pace feconda di progresso e di sviluppo ha solidarizzato, nel corso del convegno con quanti, in questi giorni, lottano per difendersi dalle assurde accuse di aver attentato all’ordine costituzionale e di voler sovvertire l’ordine economico dello stato.

Giovanni Matichecchia e Salvatore De Rosa - Comitato dei 2 No


Note: (1) Scrivere su Internet di cose militari - riferisce Alessandro Marescotti - potrebbe costare più caro che falsificare un bilancio aziendale, dopo le recenti norme che il centrodestra ha approvato. Preparare dossier per il movimento pacifista e pubblicare articoli sui retroscena della guerra a Nassiriya diventa un'attività a rischio. Avevo incontrato miei ex studenti - in missione a Nassiriya - che mi confidavano che le cose stavano diversamente da come le raccontavano in TV; gli italiani avevano abbandonato quelle postazioni che invece si diceva fossero ancora in mano alla "forza di pace". Diffondere su Internet tutto questo è ora una vera gatta da pelare. Cambia il codice penale militare italiano. E arrivano le manette per chi raccoglie informazioni sulla dislocazione, i movimenti e le operazioni delle forze armate. Per chi le divulga (anche su Internet) la pena minima è di 5 anni. Le notizie che le autorità ufficiali negano di far conoscere, assumono il carattere di notizie "riservate": infatti chi "procura notizie concernenti la forza, la preparazione o la difesa militare, la dislocazione o i movimenti delle forze armate, il loro stato sanitario, la disciplina e le operazioni militari e, ogni altra notizia che, essendo stata negata, ha tuttavia carattere riservato". Su proposta del centrodestra il Senato ha infatti approvato ieri una "riforma" del codice penale militare. Per effetto delle norme approvate ieri diventano "operativi", cioè pienamente in vigore anche gli articoli 72 e 73 del codice penale militare italiano là dove la legge recita che viene punita con la reclusione militare "l'illecita raccolta, pubblicazione e diffusione di notizie militari". Il giornalista che verrà accusato di questi "reati" potrà essere condannato ad una pena variante tra i due e i dieci anni di carcere, ovviamente militare. Non è tutto. Se queste notizie verranno "divulgate" la pena potrà essere raddoppiata e arrivare fino a venti anni di carcere. Il minimo della condanna per il cronista che osa scrivere qualcosa che disturba è in questo caso di cinque anni. E' necessario mobilitare i parlamentari, i giornalisti e tutto il mondo dell'informazione perché questo bavaglio è inaccettabile.
(2) C'è un nuovo allarme La Maddalena. L'ha segnalato, durante la visita dell'assessore regionale al San Giovanni di Dio, il primario del reparto, Salvatore Ortu. Secondo il responsabile della divisione oncologica, ci sono buone ragioni per ritenere che - a causa di problemi ambientali - La Maddalena registrerà molto presto un incremento di tumori ossei e della mammella. Ortu ha spiegato a Nerina Dirindin le ragioni che l'hanno spinto a fare questa denuncia. Più che ragioni, numeri: 400 casi in più l'anno nell'intera area della Asl con qualche preoccupante aumento proprio dove dormono i sommergibili americani a propulsione nucleare, baia di Santo Stefano.
Manca una qualunque prova provata di un nesso tra tumori e presenza della base statunitense. Anzi, a voler essere precisi, il ministero della Difesa sostiene - per bocca di un team di esperti -esattamente il contrario. Salvatore Ortu ha tuttavia buoni motivi per non stare tranquillo: a Sassari
mancano statistiche e rilevazioni recenti. Dunque, non potendo fare raffronti e calcolare l'incidenza anno per anno, si è richiamato ai dati di oggi. E i dati di oggi sono tutt'altro che tranquillizzanti. Per questo ha approfittato della visita di Nerina Dirindin. Sapeva che in questo modo la questione non sarebbe passata sotto silenzio. E così è stato.L'assessore alla sanità ha raccolto prima di tutto le lamentele di routine (spazi angusti, problemi organizzativi e di personale), poi si è
concentrata su La Maddalena. Il direttore generale Scarteddu le ha comunicato tra l'altro di essere stato convocato dalla commissione ambiente del Senato che sta svolgendo un'inchiesta sui rischi di inquinamento atomico. La faccenda è talmente sentita che attualmente è in corso un'indagine epidemiologica tra gli undicimila residenti dell'isola. I risultati si avranno soltanto tra qualche mese. Nel frattempo la Dirindin s'è fatta parte diligente e ha parlato della questione durante l'incontro con la conferenza dei sindaci. Il suo intervento e le sue preoccupazioni hanno tuttavia irritato Settimo Nizzi, sindaco di Olbia. Che dietro ci ha visto, con tutta probabilità, il pericolo di una strumentalizzazione politica. Il solito complotto comunista, direbbe il leader del suo partito. Secondo lui (ma si ignora sulla base di quali dati), non c'è alcun rischio-tumori, la presenza dei sommergibili Usa non comporta conseguenze sul piano ambientale e tantomeno
su quello della salute pubblica.La Dirindin gli ha replicato a modo suo, in maniera netta e precisa,
spiegandogli di non essere d'accordo. E richiamandosi alla testimonianza del primario di Oncologia, ha sostenuto che è comunque necessario un approfondimento sul campo. Occorre, insomma, accertare una volta per tutte se esistono legami tra l'attività dei militari americani ed un eventuale inquinamento dell'acqua e dell'aria. Per dovere di cronaca, va ricordato che la commissione nominata dal ministro Martino ha effettivamente rilevato la tossicità di alcune alghe e
la presenza sulle rocce di sostanze che hanno una bassa radioattività. Si tratta - hanno spiegato - di fenomeni assolutamente naturali e in nessun modo riconducibili alla flotta statunitense.
Per il sindaco di Olbia questo basta e avanza per seppellire definitivamente angosce e paure della gente. Nerina Dirindin non è della stessa opinione e intende invece andare a fondo. Non si sa però in che modo il capitolo La Maddalena entrerà nel Piano regionale sanitario: appena un
mese d'attesa e lo sapremo.
Unione Sarda cronaca di Olbia del 16/11/2004

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