Introduzione al convegno "Mediterraneo para bellum" - Pisa, 11 e 12 Dicembre 2004
Il Comitato Nazionale per il ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq con il convegno di oggi segna un punto di svolta che chiude una fase dei suoi lavori proponendo una proiezione in avanti, all’altezza delle sfide lanciate dalle politiche di “guerra infinita” sui nostri territori.
Lo facciamo forti quest’oggi di uno spettro di riflessione dal respiro nazionale ed internazionale, con l’apporto di economisti, analisti, esponenti del movimento contro la guerra, rappresentanti politici, del mondo della cultura e dell’associazionismo che in questi ultimi due anni hanno mantenuto un no netto alle guerre di aggressione contro popoli e nazioni sovrane, a partire da quello palestinese ed iracheno.
L’impegno è quello di gettare le basi di una riflessione che esca da un rifiuto generico delle politiche di guerra, in piena evoluzione in questo drammatico scorcio storico.
La rielezione di Bush alla presidenza statunitense apre , se possibile, scenari ancora peggiori per il futuro prossimo dell’umanità .
Si tratta di attrezzarci per affrontare e sconfiggere, ognuno nel suo paese con strumenti e obiettivi concretamente possibili, questa nuova era di barbarie, indicando i nostri no ed i nostri si nella costruzione di quello che abbiamo chiamato “Un altro mondo possibile”.
In questo titanico ma imprescindibile lavoro riteniamo che un grande contributo giunga dagli interventi e deliberazioni del movimento mondiale contro la globalizzazione, a partire dal forum di Mumbay, durante il quale si indicò proprio nella mobilitazione contro le basi militari uno degli obiettivi da socializzare e a livello planetario.
Walden Bello durante il forum di Beirut, svoltosi nel settembre scorso, ha contribuito grandemente, secondo il nostro punto di vista, a chiarire i termini dello scontro in atto tra la brutale volontà di potenza anglo/israelo/americana ed i popoli in lotta contro queste aggressioni imperialiste . Le parole che ci ha inviato come contributo a questo convegno sono un prezioso tassello di riflessione ed indicazione in questo cammino.
Dall’aprile scorso un variegato fronte di organismi di massa, strutture sociali e culturali, sindacati non concertativi, partiti o importanti componenti di questi ultimi hanno mantenuto nel paese una mobilitazione costante intorno alla parola d’ordine del ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq e per lo storno di risorse dal militare alla spesa sociale.
Oltre 200.000 firme sono state raccolte in centinaia di banchetti dal Sud a Nord Italia, consegnate alle massime autorità dello Stato italiano durante una mobilitazione contro la costruzione di una Europa che non ci piace, perché ha inscritto nel suo codice genetico politiche sociali e militari uguali e contrarie al blocco israelo/angloamericano e alle altre potenze in conflitto e competizione per la supremazia, la rapina di risorse ai quattro angoli della terra.
Abbiamo proposto la petizione come strumento concreto di continuità nella mobilitazione contro la guerra, in un contesto nazionale caratterizzato da un movimento che si è espresso attraverso manifestazioni oceaniche e poca continuità di lavoro sul territorio, indicando così un terreno concreto di coagulo di forze e di organizzazione orizzontale minima.
Con questo bagaglio di esperienza siamo oggi a proporre un passaggio concreto di continuità, individuando negli insediamenti militari un obiettivo centrale per il prossimo futuro.
Da li partono truppe, mezzi e armi di distruzione di massa verso i fronti del new deal colonialista.
Il nostro paese si conferma drammaticamente come portaerei e trampolino di lancio delle aggressioni contro i paesi limitrofi, ieri la Jugoslavia oggi il Medio Oriente.
Siamo investiti in pieno dal ridispiegamento strategico statunitense verso Sud, con grandi lavori in atto e previsti a Camp Darby, La Maddalena, Taranto, Brindisi, Sigonella, Pisignano, Aviano ed in altri siti ancora…..di questo ci parleranno tra oggi e domani le realtà che da anni si battono sui territori contro le basi della guerra e della morte.
Un ridispiegamento che mentre vede un tessuto civile attivo ed in grado di costruire vertenze, lotte e mobilitazioni nei territori circostanti, ha dalla sua un governo tra i più entusiasticamente collaborativi e subalterni alle strategie statunitensi e NATO.
Tra questo governo e le nostre mobilitazioni esiste ancora un incredibile gap di rappresentanza, un vuoto da colmare nell’agenda politica delle opposizioni sulla dirimente questione delle basi, della militarizzazione dei territori, del ruolo giocato oggi dal nostro paese nello scacchiere mediterraneo ed internazionale.
In questo senso non aiutano le ambiguità di tante pubbliche amministrazioni locali, molte di centrosinistra, che da una parte criticano blandamente lo sviluppo estensivo ed intensivo dei mostri militari sui nostri territori e dall’altra votano per il loro effettivo ampliamento, come è successo in Toscana nel luglio 2003, quando nella commissione paritetica i 7 rappresentanti della Regione hanno votato per il varo dei lavori di sviluppo di Camp Darby.
Ne aiutano le opzioni che guardano con favore alla logica del Peace Keeping come alternativa al Peace Enforcing, essendo queste solo due facce della medesima logica di ingerenza e dominio alla base dell’attuale sviluppo militarista .
Il movimento contro la guerra nel nostro paese sta attraversando un momento di crisi, evidenziato in queste ultimi mesi dall’assordante silenzio che accompagna il massacro di Falluja e del popolo irakeno, dall’incapacità attuale di dire una parola forte, unitaria e chiara sul diritto dei popoli a resistere.
Una crisi che cade proprio in un momento di fortissima involuzione militarista verso l’esterno e di conseguenti strette autoritarie interne.
In questo contesto, con la coscienza della grande sedimentazione lasciata dal movimento, dobbiamo tracciare le linee guida per una ripresa in grande stile delle mobilitazioni.
Le giornate pisane si inseriscono in un percorso di riflessione che in queste ultime settimane sta attraversando l’Italia, dal convegno di Venezia del 14 novembre in occasione delle contestazioni contro il vertice NATO a quello di Taranto del 20 novembre. Altri momenti di confronto e organizzazione seguiranno nei prossimi mesi a Firenze, Brescia e probabilmente in altre importanti città del Sud militarizzato.
In tanti e tante attendono di tornare protagonisti nella battaglia contro la guerra e la militarizzazione dei nostri territori.
Dobbiamo dare indicazioni chiare e semplici, in grado di unire l’immediato interesse delle nostre popolazioni ad allontanare le basi della morte con la più generale mobilitazione per inceppare il meccanismo di proiezione bellica.
Il rilancio della lotta contro gli insediamenti militari contiene in se questi due grandi obiettivi, nel contempo è elemento di chiarezza per i governi di oggi e di domani, contro ogni guerra imperialista, senza se e senza ma.
La scelta di Pisa per tenere questo convegno non è ovviamente un caso.
Questo territorio, in generale la fascia centrale del nostro paese è stata interessata sin dall’immediato dopoguerra ad una militarizzazione abnorme, fatta di truppe straniere, corpi speciali dell’esercito e delle forze della repressione interna.
Motivata inizialmente dal pericolo sovversivo interno ed internazionale, questa militarizzazione permanente ed in sviluppo ha generato da sempre una forte opposizione politica e sociale, dalle lotte nell’immediato dopoguerra sino alle mobilitazioni di questi anni contro la base di Camp Darby.
Da questa base sono partite e partono truppe, uomini e mezzi di occupazione verso l’estero ma anche, in forme subdole e devastanti, verso il nostro paese.
Come dimenticare il ruolo strategico di questa base, come del resto di tutte le altre sparse nel nostro paese, nella strategia della tensione che ha sconvolto l’Italia per oltre un ventennio.
Da Camp Darby partivano e tornavano i bombaroli nazifascisti, probabilmente sin dal 1947, ascari omicidi nella strage del primo maggio a Portella delle Ginestre, poi verso la Grecia dei colonnelli ad apprendere tecniche di sabotaggio e terrorismo sperimentate nelle banche, nelle piazze e nelle stazioni di un’Italia in lotta per un futuro più giusto.
Verità seppellite nell’oblio di una classe dirigente che, anche quando con governi diversi dall’attuale ha avuto in mano le leve del potere, ha optato per il silenzio, per la continuità con i passati governi.
Un altro importante convegno, svoltosi a metà degli anni ‘90 nella nostra città grazie all’Associazione Dare voce al silenzio degli innocenti smascherò questa mancanza di volontà politica a portare sul banco degli imputati uomini e poteri che fecero di queste basi retroterra strategico per una vera e propria “guerra di bassa intensità” contro le masse popolari italiane per più di un trentennio.
Una esperienza concreta che fu utile alle gerarchie politico/militari statunitensi in altri scenari, come quello cileno del 1973, in un altro 11 settembre voluto da Henry Kissinger e Nixon, che soffocò nel sangue il governo di Unidad Popular
Reminescenze che appaiono oggi quasi fuori tema e fuori tempo, ma che vivono concretamente attraverso gli stessi uomini, come l’attuale proconsole USA a Bagdad, John Negroponte impegnati negli anni a massacrare i popoli del Nicaragua, El Salvador, Guatemala, Grenada, Colombia, Cuba.
Basta rileggere i piani del Dipartimento di Stato e della CIA degli anni ’60, quando un signore, ”esperto” in molte trasmissioni della nostra TV di regime, tal Edward Luttwak, pianificava le strategie di controinsurrezione volgarizzate dal nostrano “Piano di Rinascita Nazionale” .
Tutta questa pletora di criminali continua, dai tanti avamposti militari insediati nel nostro paese e ai quattro angoli della terra, a lavorare alacremente a che il mondo ed i suoi popoli mantengano la testa china di fronte al dogma neoliberista.
Come efficacemente ha affermato pochi anni fa un analista economico a stelle e strisce “ non può esistere la MacDonald senza la McDonnel” la prima fornitrice di spazzatura alimentare, la seconda di missili intelligenti a media e lunga gittata.
La battaglia che facciamo oggi contro le basi della morte deve tenere presente questa lugubre storia.
Lottando perché se ne vadano dai nostri territori contribuiamo, oltre a proteggere il nostro ambiente e la nostra immediata sicurezza dai pericoli delle armi di distruzione di massa lì stoccate, ci battiamo anche contro una concezione di dominio militare, politico, sociale e culturale .
La sfida, oggi più di ieri, è grande.
I signori di Washington e di Bruxelles hanno fatto i conti presupponendo un seconda linea pacificata e complice .
Sta a noi sconvolgere le retrovie della loro “guerra infinita”.
Ci auspichiamo che queste giornate siano utili alla realizzazione di questo obiettivo.
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