Forze armate missili e 007 a difesa del Ponte sullo Stretto di Messina
Il Presidente della Commissione nazionale antimafia, sen. Centaro, annuncia la possibilità di inviare le forze armate in Sicilia per contrastare gli interessi della Mafia sugli appalti del Ponte. La Difesa chiede intanto missili terra-aria, caccia e unità navali per difendere la megaopera.
Mai dichiarazione tanto significativa e densa di oscuri presagi passò tanto inosservata. Intervenendo ad un recente convegno pro-Ponte sullo Stretto di Messina organizzato dalla CISL, il presidente della Commissione parlamentare antimafia sen. Roberto Centaro (AN), soffermandosi sui rischi di infiltrazione mafiosa nella gestione degli appalti per la realizzazione dell'opera, ha preannunciato le "contromisure" che il governo starebbe per adottare. "I servizi segreti saranno operativi - ha affermato Centaro - e se necessario non si esiterà ad attuare un'operazione sullo stile dei Vespri Siciliani, anche se rinunciare alla militarizzazione sarebbe una prova di forza da parte delle istituzioni".
007 e militari dunque per presidiare i cantieri del Ponte, in una riproposizione della sventurata stagione post-stragista del 1992, quando l'allora governo Amato inviò in Sicilia i reparti dell'Esercito del Centro-Nord Italia per presidiare strade, porti, ponti, infrastrutture produttive, finanche abitazioni private. Un'operazione di "controllo del territorio" che ha accelerato i processi di militarizzazione dell'isola fornendo un'occasione unica e irripetibile alle forze armate per sperimentare ruoli di controllo "interno" e di "ordine pubblico", funzioni poi "esportate" nei principali scacchieri di guerra, dalla Somalia alla ex Jugoslavia, sino alle recenti missioni in Afghanistan ed Iraq.
A quel tempo, i posti chiave del ministero della Difesa erano coperti da potenti rais della prima repubblica - siciliani - contigui alla grande imprenditoria mafiosa e alle lobby politico-massoniche; i reparti militari italiani venivano impiegati per la prima volta nella lotta contro gli sbarchi di migranti ed i servizi segreti erano al centro di un occulto processo di trasformazione interna; la Sicilia subiva l'ennesimo colpo di acceleratore per adeguare le proprie infrastrutture militari (Sigonella in testa) alle strategie USA e Nato di proiezione nel Mediterraneo, Africa e Medio Oriente.
Che l'operazione "Vespri Siciliani" nascondesse ben altri fini dell'opposizione alla mafia lo avrebbero capito i più qualche anno dopo.
Mentre infatti nelle città siciliane facevano sfoggia di sempre più sofisticate armi da guerra fanti, alpini, bersaglieri e parà, le istituzioni dello Stato (civili e militari) aprivano la "trattativa" con i boss mafiosi autori delle stragi. In cambio di qualche mediatica "autoconsegna" si firmava un nuovo trattato di non belligeranza. "Basta con le bombe, ricominciamo a convivere", fu il messaggio inviato attraverso agenti "segreti", vecchi potentati politici e faccendieri in odor di eversione neofascista. Nacque la seconda repubblica, quella dell'Italia in guerra comunque e dovunque, della precarizzazione del lavoro e delle nuove povertà, del rilancio delle Grandi Opere, Ponte sullo Stretto in testa.
Se per assicurare la "pax sociale" nell'area dello Stretto il governo ha già pronto un piano di intervento di militari ed agenti segreti (ed a Messina ha operato per anni uno dei nuclei più agguerriti di Gladio-massoni.), più complesso e certamente più costoso sarà il dispositivo militare ed "anti-terrorismo" che dovrà essere predisposto per la difesa vera e propria della megainfrastruttura. Nonostante solo i pacifisti locali lo abbiano denunciato per anni, l'eventuale realizzazione del Ponte tra le due sponde dello Stretto di Messina genererà una vera e propria rivoluzione dell'assetto militare delle forze armate nel Mezzogiorno d'Italia.
Nella seconda metà degli anni '80 alla Società Stretto di Messina, incaricata alla progettazione dell'infrastruttura, il ministero della Difesa presentò un rapporto segreto (denominato "Coefficiente D"), in cui venivano analizzati gli interventi necessari per garantire un eventuale utilizzo dell'infrastruttura per esigenze di tipo militare e per assicurare la "protezione" del manufatto in caso di crisi internazionale o di conflitto armato. Sin da allora il tema della "difesa del ponte" apparve agli strateghi uno dei problemi più complessi da affrontare per la realizzazione dell'opera. Il generale Gualtiero Corsini, in un suo intervento su una rivista specializzata delle forze armate, parlò di "grossi problemi di vulnerabilità del ponte", data la sua sovraesposizione "ad ogni tipo di attacco con navi, aerei o missili". Secondo il generale Corsini, il ponte sullo Stretto era destinato a diventare "punto sensibile di dimensione strategica probabilmente non comparabile con alcun altro obiettivo esistente in Italia".
"Il risultato di un'azione offensiva contro una tale opera - aggiungeva il militare - sarebbe in ogni caso "eccezionale" specie per i contenuti di "simbolo", politici e psicologici, che un attentato all'infrastruttura verrebbero ad assumere". Nel suo intervento il generale Corsini non si sbilanciava a quantificare gli oneri finanziari aggiuntivi per la "difesa militare" del Ponte, anche se li definiva "altissimi" in quanto si sarebbero dovuti approntare "una molteplicità di sistemi aerei, missilistici e artigliereschi con base a terra e su mezzi navali".
Valutazioni per fino profetiche se si pensa agli scenari internazionali apertisi dopo l'11 settembre 2001 con l'attacco aereo alle Torre Gemelle di New York.
Ecco allora che con l'inizio dei lavori per il Ponte sullo Stretto e lo sbarco dei nuovi "Vespri Siciliani" è sempre più ipotizzabile l'installazione di sistemi di missili terra-aria tra Scilla e Cariddi, l'utilizzo degli scali "civili" di Reggio Calabria e Lamezia Terme per il rischiaramento di cacciaintercettori e bombardieri, il potenziamento (già in atto) dei porti militari di Messina ed Augusta, la "cessione" alla Nato del porto di Gioia Tauro (preannunciata), la predisposizione di una "cintura navale" nel Basso Tirreno e nello Ionio magari utilizzando l'arcipelago delle Eolie ed i porti di Milazzo, Giardini-Naxos, Riposto e Catania (come avvenuto durante le crisi USA-Libia e la prima Guerra del Golfo). Un Ponte-Fortezza, dunque, a segnare irrimediabilmente la cultura di guerra e di morte del XXI secolo.
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