Cooperazione giù, difesa su
Ma chi se ne importa della cooperazione internazionale? Par di sentirli gli sforbiciatori del governo Berlusconi, quelli che hanno dovuto aggiustare la Finanziaria 2005, la principale legge di spesa dello stato, per consentirne l’approvazione entro il 31 dicembre.
Risultato? Le risorse a disposizione della cooperazione allo sviluppo per l’anno in corso sono intorno ai 500 milioni di euro (cioè lo 0,11% del prodotto interno lordo), ancora meno di quelle già scarse – 616 milioni (0,16% del pil) – destinate dalla finanziaria 2004. Che andasse a finire così l’aveva già previsto un Libro bianco presentato ai primi di dicembre da Sbilanciamoci, una campagna promossa da una trentina di associazioni (tra cui Ctm-Altromercato, Emergency, Emmaus, Pax Christi, Mani tese, Cipsi) che fa le pulci alla spesa pubblica e propone alternative. Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci e coordinatore del Libro bianco: "In questi anni i governi italiani si sono sprecati nelle promesse non mantenute. Berlusconi, al vertice Fao del 2001, ha fatto riferimento all’obiettivo di destinare l’1% del pil alla cooperazione allo sviluppo. Poi è stato ribadito, in vari appuntamenti Onu e Ocse (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), l’impegno di raggiungere lo 0,70% del pil. Infine, nel Documento di programmazione economica e finanziaria 2003-2006 il governo ha previsto di arrivare nel 2006 allo 0,33% (nel 2005 allo 0,27%) del pil. Niente da fare: nonostante la progressiva revisione al ribasso degli obiettivi, oggi l’Italia è ben lontana anche da quelli più modesti".
A mettere in guardia il governo era stato, ancora la scorsa estate, un documento dell’Associazione ong italiane (164 organizzazioni non governative): "Gli stanziamenti per la cooperazione internazionale, ridotti a poca cosa, devono essere decisamente incrementati con la Finanziaria 2005. Ciò significa prevedere un’allocazione di risorse pari allo 0,27% del pil: tappa intermedia e minimale per raggiungere, entro il 2015, lo 0,70 del pil, come richiesto dagli obbiettivi del Millennio per la riduzione della povertà, fissati dall’Assemblea generale Onu nel 2000". Un’analisi condivisa anche dal sindaco di Roma Walter Veltroni e dal leader della Cisl Savino Pezzotta.
Secondo Sergio Marelli, presidente dell’Associazione ong italiane, "oggi siamo al minimo storico, mai la cooperazione ha avuto così poco. Il governo ci ricorda sempre le difficoltà di bilancio: gli ribattiamo che altri paesi messi come noi, per esempio la Francia e il Belgio, stanno incrementando i fondi della cooperazione. Comunque, abbiamo visto che i soldi per finanziare, faccio un esempio, il decoder terrestre (100 milioni), sono stati trovati. E aggiungo un altro dato di cui si parla poco: dei 70 milioni di denaro pubblico che il governo italiano destinerà al Sudest asiatico 35 verranno stornati dal fondo della cooperazione internazionale. Ma che senso ha dare a dei poveri, togliendo ad altri poveri?".
Il fatto è che la cooperazione gestita dalla Farnesina è malata. Nigrizia lo ripete da anni. È urgente, come sottolinea il Libro bianco di Sbilanciamoci, riformare la legge 49, che ha quasi vent’anni, e dunque creare un’Agenzia autonoma dal ministero degli esteri e separare la cooperazione allo sviluppo da ogni commistione con il sostegno alle imprese e da ogni subalternità alla politica estera e militare.
Un bilancio di guerra
Per una voce di bilancio che piange, un’altra che sorride: quella della difesa. "L’obiettivo nel medio periodo – il pensiero del ministro Antonio Martino a fine novembre – è di aumentare del 50% l’attuale bilancio, per far sì che lo strumento militare italiano si avvicini ai livelli qualitativi dei principali partner europei e alleati". Non è stato accontentato alla lettera dal voto dei due rami del parlamento. Ma il suo dicastero è tra i pochi ad aver mantenuto un segno “più” dopo i tagli alle spese imposti dal ministro del tesoro Domenico Siniscalco. "Il Dpef contiene la meritoria decisione", ammette Martino, "di incrementare il bilancio della difesa, legandolo al pil, verso l’obiettivo di un rapporto dell’1,5". Attualmente è dell’1,058. Un traguardo che sgonfia i timori dei militari.
Inizialmente, la capacità di spesa per il 2005, chiesta dal ministro, era di 20.793 milioni di euro. Cifra record. Con un incremento del 5% in termini monetari e del 3,4% in termini reali rispetto al 2004, quando era stata di 19.811 milioni. Alla funzione sicurezza dovevano essere destinati 4.982 milioni. Alla funzione difesa 15.208, contro i 14 milioni e 148 del 2004. Con aumenti sia per il personale (8.028 milioni, più 6,5%), per la manutenzione e supporto (3.771 milioni, più 10,6%) e per l’investimento, quindi nelle acquisizioni dei sistemi d’arma (3.409 milioni, più 6,5%). Poi, a ottobre, è arrivato il diktat di Siniscalco: ogni ministero deve tagliare il 2%. In un colpo potevano evaporare 1.357 milioni, virgola 96. Un terremoto per le stellette. Durato un soffio. Infatti, a tacitare i malumori è intervenuto un comma della Finanziaria, il 13 ter dell’articolo 41. Prevede la dismissione di immobili militari (leggi caserme) in favore dell’agenzia del demanio, con l’assegnazione alla difesa, da parte della Cassa deposito e prestiti, delle relative anticipazioni finanziarie. Che vuol dire? Che la Finanziaria consente di far entrare nelle casse del dicastero di Martino i soldi che il tesoro otterrà dalla cessione degli immobili. Quanto? Da un minimo di 953 milioni a un massimo di 1.300 milioni. Di fatto, si andrà a coprire il buco creato dai tagli del 2%. E i soldi entreranno già a fine febbraio nelle casse della difesa, prima ancora che gli immobili siano venduti. Saranno anticipati, infatti, dal tesoro stesso.
C’è un altro elemento, poi, che spesso si trascura: nel bilancio della difesa non viene considerata la cifra stanziata dal governo per le missioni all’estero. Nel 2005 è stata confermata quella del 2004: un miliardo e 200mila euro, con l’operazione in Iraq che succhia quasi la metà dei finanziamenti. In un bilancio tutto lacrime e sangue, i generali sorridono. Del resto, con il presidente Ciampi che chiede la revoca del divieto della vendita delle armi in Cina e con il governo che firma un accordo storico con Israele, per un investimento congiunto di 181 milioni di dollari per lo sviluppo di un "nuovo sistema di guerra elettronica", si prevedono cospicui ordinativi per la nostra industria bellica. Martino ha già annunciato le priorità: l’acquisizione dei caccia Eurofighter 2000 e delle navi Orizzonte; lo sviluppo dei sistemi missilistici Paams e Meads; lo sviluppo dei programmi satellitari, la realizzazione della nuova portaerei Cavour; l’acquisizione di fregate multiruolo di nuova generazione; la produzione dell’elicottero NH 90 e lo sviluppo del velivolo Joint Strike Fighter (Jsf). Un vero e proprio programma di guerra.
Non è una sorpresa, semmai una conferma. Briciole per i poveri e una bella fetta di torta per i militari e l’industria delle armi.
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