L'Italia va alla guerra
Per quanto la cosiddetta “opinione pubblica” si sia assuefatta all’idea che il Paese sia attore sempre più direttamente coinvolto nella guerra in Ucraina e che il conflitto opponga in realtà la NATO alla Russia, non c’è percezione comune di quanto l’Italia sia compromessa negli eventi bellici
Nello scenario di una guerra di lunga durata che minaccia di espandersi sul territorio europeo, l’Italia ha una posizione strategica nel Mediterraneo ed è deputata a ricoprire un ruolo di primaria importanz
Il nostro Paese è coinvolto in maniera sempre più diretta nel conflitto in corso in Ucraina.
Cacciabombardieri italiani sono allocati in Romania a Costanza sul Mar Nero e la nostra Marina militare è presente nel Mediterraneo allargato, in particolare sul fronte orientale.
Da prima del 24 febbraio dalle base di Sigonella decollano pattugliatori della Marina Militare degli Stati Uniti, droni USA e NATO, pattugliatori dell’aeronautica Militare italiana che svolgono attività di monitoraggio e di intelligence fornendo informazioni strategiche per le operazioni di attacco delle forze armate ucraine.
Da Pisa e da Pratica di Mare (provincia di Roma) partono gli aerei cisterna che riforniscono anche i bombardieri strategici B52 e i caccia di US Air Force; la scorta e la protezione aerea di questi velivoli è stata fatta dai cacciabombardieri F-35 dell’Aeronautica militare italiana partiti dalla base di Amendola (Foggia).
Ancora da Pratica di Mare partono gli aerei spia Gulfstream G550, di produzione statunitense-israeliana, che abbiamo acquistato e che svolgono un ruolo di intelligence determinante
Il nostro Paese sarà, inoltre, tra i protagonisti dello sviluppo di programmi ad altissimo contenuto tecnologico per l’industria militare, un piano in ambito NATO che coinvolgerà non soltanto l’apparato produttivo delle maggiori imprese del settore, ma anche le nostre università.
Gli italiani comuni, lavoratori e cittadini, saranno chiamati a pagare le spese vive di questa guerra attraverso la compressione della spesa sociale e l’aumento dell’impegno economico statale finanziato dalla tassazione, ma saranno anche penalizzati, nel quotidiano, dalla ristrutturazione del tessuto produttivo, dell’organizzazione del lavoro e della gerarchia di accesso ai consumi e al benessere che l’economia di guerra impone
Che la guerra abbia portato ad una generale contrazione del potere di acquisto dovuto all’ulteriore aumento dei costi energetici e al conseguente balzo dei prezzi al consumo di molti generi di merci – in primis i beni agricoli – è un dato di fatto sotto gli occhi di tutti. Così come è consapevolezza comune il fatto che l’incremento delle spese militari sottrae risorse per la spesa pubblica, la sanità, la cura dell’ambiente. Così come è percezione comune che l’impoverimento sociale che ne deriva sta diventando una condizione stabile, tanto che un penoso senso di impotenza pervade i singoli quanto le associazioni che rappresentano o raggruppano lavoratori e cittadini. Nonostante l’istintivo rigetto, largamente condiviso, al nostro coinvolgimento nella guerra, non si è prodotto un movimento di opposizione alle operazioni di concreta adesione del nostro Paese alla campagna bellica.
L’adeguare l’economia e la politica economica alle necessità della guerra non impone solamente di rendere disponibili risorse per gli armamenti e per aumentare l’efficienza degli eserciti, ma richiede di riorganizzare la produzione privilegiando le imprese competitive sul mercato dei sistemi d’arma, dell’innovazione tecnologica del comparto militare-industriale.
Si tratta di investire capitali enormi, capitali troppo ingenti per essere mobilitati dall’industria privata e dunque erogati dallo Stato alle sue imprese partecipate (come Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri) e, attraverso queste, distribuite anche ad una filiera di imprese private disettori tecnologicamente avanzati alle quali viene garantito un mercato ed alti profitti tanto su quello interno quanto su quello estero.
Si tratta di trasferire ricchezza pubblica ai privati privilegiando i settori ad alto utilizzo di tecnologia e basso impiego di manodopera, aumentando la disoccupazione.
Si tratta di finanziare con denaro pubblico la ricerca bellica nelle università, sottraendo fondi alla ricerca di base e a quella indirizzata ad impieghi civili o alla salvaguardia dell’ambiente.
I costi di una simile riorganizzazione dell’economia globale e locale gravano interamente sulle classi meno abbienti e sulla classe media anche in Occidente: deindustrializzazione, disinvestimenti in favore della speculazione finanziaria, inflazione, aumento del debito pubblico sono fattori che inducono in tempi brevi un peggioramento sensibile delle condizioni di vita per una parte consistente della società.
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Allegati
L'Italia va alla guerra
Valeria Poletti401 Kb - Formato pdfLa guerra in Ucraina e il suo impatto sull'Italia. Testo integrale
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