Giustizia climatica: come contrastare l'emergenza climatica attraverso il diritto
Il tema dei cambiamenti climatici diventa di anno in anno sempre più pressante. Questo tema si sta spostando sempre più su un piano giuridico. In particolare sembra oggi essere pregnante il rapporto fra clima, ambiente e giustizia. L’argomento può essere portato su un piano costituzionale, laddove le fonti regolamentari supreme dovrebbero aggiornarsi nell’accogliere dei veri e propri doveri di “specie” umana rispetto alla Terra e al clima. Si dovrebbero altresì considerare i danni che i cambiamenti climatici portano proprio alle nazioni che paradossalmente meno ne sono responsabili (i Paesi del Sud del Mondo, non inclusi nell'Allegato I della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici). Si verrebbe quindi a delineare un problema di giustizia sociale, strettamente collegata alla giustizia climatica.
Portare la problematica in oggetto su un piano costituzionale servirebbe quindi a dare responsabilità a ciascuno di noi, giacché allo stato attuale si assiste alla spersonalizzazione del vero responsabile di tali cambiamenti: la specie umana. Infatti proprio la mancanza di un soggetto collettivo giuridicamente responsabile non dovrebbe legittimare la specie umana a spogliarsi di tale responsabilità. Per questo motivo il Prof. Michele Carducci, attraverso tre saggi, “Clima ed ecosistema”, “Giustizia climatica” e “Clima e ambiente come questione di giustizia”, affronta in maniera esegetica le definizioni e le normative che possono aiutare in questo procedimento di responsabilizzazione utile a fronteggiare l’emergenza climatica.
Prima di continuare, è bene focalizzare la definizione di giustizia climatica.
Il concetto di giustizia climatica conferisce ai cambiamenti climatici mondiali una dimensione etica e politica, e non solo strettamente ambientale. In generale, esso riconosce l'esigenza di considerare l'equità dell'impatto, spesso sproporzionato, dei cambiamenti climatici sui cittadini e sulle comunità sia nelle economie in via di sviluppo che in quelle sviluppate, riconoscendo anche che le categorie più vulnerabili e più povere sono spesso quelle che ne subiscono l’impatto maggiore anche se sono le meno responsabili delle emissioni che tale impatto determinano. La fonte di tale definizione è il Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla "Giustizia climatica" (2017).
Nel saggio “Giustizia climatica” il prof. Michele Carducci evidenzia come “l’esistenza di un interesse comune, un “Common Concern”, è richiamato sia nell’UNFCCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) che nell’Accordo di Parigi del 2015”.
E si sottolinea come nel Preambolo all’UNFCCC si legge «che i cambiamenti di clima del pianeta e i relativi effetti negativi costituiscono un motivo di preoccupazione per il genere umano»; «che le attività umane hanno notevolmente aumentato le concentrazioni atmosferiche di gas a effetto serra, e che questo aumento intensifica l’effetto serra naturale e che tale fenomeno provocherà in media un ulteriore riscaldamento della superficie della terra e dell’atmosfera e può avere un’influenza negativa sugli ecosistemi naturali e sul genere umano»; «che la previsione dei cambiamenti climatici è soggetta a molte incertezze, in particolare per quanto riguarda la collocazione nel tempo, la grandezza e le manifestazioni regionali»; «che gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse in rapporto alle loro politiche nel campo dell’ambiente e dello sviluppo, e hanno la responsabilità di garantire che le attività svolte nel territorio soggetto alla loro giurisdizione o al loro controllo non causino danni all’ambiente di altri Stati o di regioni al di fuori della loro giurisdizione nazionale».
I saggi riconducono quindi a tutti gli stati una chiara responsabilità a fronteggiare i cambiamenti climatici superando ogni possibile deresponsabilizzazione interpretativa.
In conclusione possiamo dire che siamo in presenza non dei classici danni “ambientali” localizzati, definiti e caratterizzati che vengono considerati dalle normative nazionali, europee e internazionali. Siamo invece in presenza di danni climatici che vengono resi, sottolinea il prof. Michele Carducci, permanenti ed evidenti per la presente e per le future generazioni. Ed è importante intervenire contro la negligenza, pubblica o privata, per evitare che i rischi e le situazioni costitutive dell’emergenza aumentino e si diffondano ulteriormente.
“La giustizia climatica - scrive il Comitato economico e sociale europeo sulla «Giustizia climatica» - riconosce che le categorie più vulnerabili e più povere della nostra società sono spesso quelle che subiscono l’impatto maggiore a livello di cambiamenti climatici. Tale concetto viene generalmente visto in un contesto globale di interdipendenza spaziale e temporale, concentrandosi sulle responsabilità di quei paesi il cui sviluppo si è basato sullo sfruttamento delle risorse naturali”. (Cfr. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52017IE1144&from=EN)
Anche il Parlamento Europeo si è espresso con un’apposita risoluzione (2017/2086(INI)).
L'emergenza in atto solleva dal punto di vista del diritto delle inedite questioni di “giustizia climatica” intra- e inter-generazionale. Questioni che vanno comprese ed agite in chiave di cittadinanza globale per espandere i diritti umani in una prospettiva di tutela delle generazioni future, e delle aree più povere del pianeta, ben sapendo che l'emergenza climatica e le sue ripercussioni si stanno già manifestando oggi in tutta la loro gravità.
Allegati
Clima ed ecosistema
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Michele Carducci501 Kb - Formato pdfClima e ambiente come questione di giustizia
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