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Fuochi chimici nell'Unione

Nel Consiglio europeo si è già aperto il conflitto attorno alla direttiva Reach sull'uso delle sostanze chimiche che infiammerà la Ue quanto la Bolkestein. Sui diversi Stati premono le industrie chimiche, supportate dagli Usa
29 marzo 2005
Alberto D'Argenzio
Fonte: www.ilmanifesto.it
27.03.05

Sostanze chimiche, protocollo di Kyoto e decisione sugli Organismi geneticamente modificati: i prossimi mesi del calendario europeo si tingono di battaglie verdi. Intanto l'ambiente è rimasto praticamente, e colpevolmente, fuori dal progetto di rilancio della strategia di Lisbona messo a punto a metà settimana dai 25 capi di stato e di governo riuniti nel Consiglio europeo. Accenni qua e là ma nessun impegno concreto, tranne la «strategia comunitaria per il Kyoto 2» recepita nelle conclusioni del vertice. Le cose dovrebbero migliorare nel prossimo futuro visto che la presidenza britannica, incaricata di gestire la Ue nel secondo semestre dell'anno, ha deciso di fare della questione ambientale il centro del suo programma. La scelta potrebbe apparire sorprendente, se non fosse che l'«ambiente» nasconde dietro di sé una partita di tutt'altro genere, e delicatissima, per il governo britannico.

Blair in verde?

Il problema è come preparare il referendum sul Trattato costituzionale europeo che si terrà nella primavera del 2006. Il voto sarà una sofferenza per Tony Blair (sempre che venga prima rieletto). I cittadini di sua maestà non amano particolarmente Bruxelles in quasi ogni sua scelta, salvo - e lo dicono i sondaggi fatti da Londra - sull'ambiente. La politica comunitaria appare infatti agli inglesi come un valore aggiunto per la difesa della natura e della salute. Fatto uno più uno, Blair per salvare Costituzione e poltrona punta tutto sul verde. E guarda caso già Londra è attivissima per cercare di sbloccare uno dei dossier più importanti dell'Unione: la direttiva Reach sulle sostanze chimiche.
Dietro l'acronimo Reach (Registrazione, valutazione e autorizzazione delle sostanza chimiche) si nasconde una della più grandi battaglie in corso nell'Unione europea, comparabile a quella intorno alla direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi pubblici. Uno scontro tanto importante da vedere in campo come liberi battitori anche gli Usa. Il testo proposto l'anno scorso dalla Commissione, e ora all'esame del Parlamento e del Consiglio in prima lettura, mira a sottoporre a un regime di registrazione, valutazione dei rischi e, in alcuni casi, autorizzazione comunitaria, gran parte delle sostanze chimiche utilizzate nei mercati della Ue. Non una cosa da poco visto che sarebbero almeno 30.000 i prodotti utilizzati, di cui spesso sappiamo poco o nulla.

Reach, spettro per i padroni chimici

Nella pratica la normativa propone che ogni impresa che vuole produrre un determinato prodotto chimico lo debba prima provare registrando componenti ed effetti. Si tratta di una garanzia che appare ovvia sia per i consumatori che per l'ambiente, ma è anche un'operazione che crea vantaggi per l'industria visto che così aumentano le informazioni sulle sostanze e viene prevista una regolamentazione uniforme in tutta Europa invece che tante norme frammentate. Il tutto si paga però in termini di costi aggiuntivi per le società, cosa che non piace per nulla al potente mondo della chimica.
Per questo la direttiva ha sempre avuto vita dura. Nata con due anni di ritardo, prosegue schiacciata dalla forte opposizione dell'industria chimica, di quella che utilizza componenti chimiche e dalla confederazione padronale europea, l'Unice. Dicono no anche alcuni governi, a partire da quello tedesco, mentre gli Usa non stanno con le mani in mano.
Il 15 marzo 2004 Colin Powell inviava un fax a tutte le ambasciate nordamericane in Europa per invitarle a impegnarsi in un serrato lavoro di lobbing contro la direttiva Reach. Interrogato dal deputato democratico Henry Waxman e da associazioni ambientaliste, l'ex segretario di stato Usa non ha mai voluto mostrare il testo del fax, che invece veniva dato tale e quale alla potente associazione nordamericana delle imprese chimiche.

Effetto Usa

I risultati di queste pressioni non tardano a farsi sentire. L'eurodeputato popolare tedesco Hartmut Nassauer ha infatti chiesto il ritiro della direttiva prima della discussione a Strasburgo, e con lui una buona fetta del suo partito, schierato con l'Eurodestra. A favore del testo è invece il centro-sinistra, compresi i liberali, inizialmente contrari, ma poi convinti al sì dalla svedese Lena Ek - Stoccolma è particolarmente favorevole, avendo la normativa più avanzata sulla chimica in Europa.
Anche la Ces, la Confederazione dei sindacati europei, sobillata in un primo tempo dai chimici tedeschi, era contraria alla direttiva. Poi è intervenuto l'eurodeputato socialista Guido Sacconi, che ne è relatore, e il suo attento lavoro di convincimento ha portato la Ces a posizioni più sagge, ossia al sì. In sostanza schieramenti contrapposti con grandi forze in campo.
Per smuovere la situazione e facilitare l'accordo, Regno unito e Ungheria hanno presentato una proposta di mediazione: la Osor, altro acronimo che sta per «una sostanza, una registrazione». La Reach prevede la condivisione dei test sul medesimo prodotto fra differenti imprese solo nelle prove sugli animali, per diminuire il numero di cavie impiegate (sulla questione sono in campo le associazioni animaliste). Londra e Budapest propongono ora di ampliare la condivisione dei test a tutte le sostanze, per ripartirne i costi.
In pratica viene proposta una registrazione unica con l'accesso ai dati, invece che l'obbligo per ogni impresa di ripetere la prova sulla sostanza. Dopo di che le aziende che utilizzeranno le analisi e i dati realizzati dalla prima impresa, dovranno farsi carico di una parte dei costi sostenuti. Per le spese la Osor propone due vie: un accordo volontario oppure, qualora fosse impossibile, un sistema «obiettivo» per la ripartizione dei costi.

L'idea piace alle piccole e medie imprese mentre fa imbufalire le multinazionali perché se da un lato si risparmia dall'altro si perde in segretezza. Per le grandi società le spese non sono un problema mentre lo è la condivisione delle informazioni imposta dalla Osor. In sostanza i colossi del settore vogliono blindare il loro vantaggio competitivo, considerare le sostanze testate come brevetti e pertanto mantenere il monopolio dei dati.

Competitivi si deve

La proposta di compromesso sta comunque facendo la sua strada. Già ha spaccato l'Unice tra i rappresentanti delle piccole e medie imprese e quelli delle grandi società e ha spaccato anche il Partito popolare europeo. Il Parlamento sembra così intenzionato a introdurre questa modifica e benedire, probabilmente per settembre o ottobre, la direttiva. Ma tra gli stati il discorso è come sempre più ambiguo. Nelle conclusioni del vertice di metà settimana i 25, affrontando il rilancio della strategia di Lisbona, dedicano proprio un capitoletto alla Reach. Si legge che «qualsiasi accordo deve conciliare la protezione dell'ambiente e della salute pubblica con la necessità di promuovere la competitività dell'industria europea, accordando nel contempo un'attenzione particolare alle piccole e medie imprese e alla loro capacità innovativa». In tre righe c'è tutta la battaglia in corso sulla Osor.

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