"Un po' di socialismo per salvare il capitale"
Corsie preferenziali per automobili collettive, restrizione dei permessi di guida per ridurre l'utilizzo dell'auto privata, riduzione dei limiti di velocità sulle autostrade a non più di 90 chilometri l'ora. E poi: trasporti pubblici gratuiti, incremento del telelavoro, riduzione della settimana lavorativa. Le rivoluzionarie proposte per abbattere il consumo di petrolio non sono frutto del fantasioso parto di un gruppo di bici-attivisti della Critical mass né, tanto meno, il decalogo di un altro mondo possibile uscito da uno dei seminari di Porto Alegre. La ricetta proviene invece da uno dei membri più autorevoli del potere petrolifero mondiale, quella International Energy Agency (o Iea) fondata negli anni Settanta per rappresentare gli interessi dei paesi importatori, cioè noi, e delle corporation occidentali. Un cambiamento radicale di prospettiva che ha meritato le prime pagine di tutti i giornali economici del mondo, Financial Times in testa, che hanno gareggiato nel riprendere le indiscrezioni sul rapporto in uscita raccolte dal quotidiano economico spagnolo Expansiòn.
Nel 1960 i paesi produttori di petrolio cercarono di riguadagnare il controllo delle proprie risorse energetiche. Quasi subito compresero che per arginare l'enorme potere delle grandi corporation petrolifere - le cosiddette Sette Sorelle - bisognava essere più uniti possibile. Nacque così l'Opec, fondata da Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita e Venezuela, con l'obiettivo di stabilizzare prezzi e di razionalizzare l'estrazione per evitare che una preziosa risorsa, l'unica per la maggior parte dei paesi produttori, venisse dissipata a prezzi stracciati. Immediatamente l'Opec venne percepito dagli occidentali come una minaccia e generazioni di giornalisti contribuirono a dipingere l'immagine che abbiamo ereditato: quella di una banda di sceicchi la cui unica aspirazione consiste nell'attentare alla sicurezza energetica dell'Occidente.
Nel 1974, proprio per contrastare il crescente potere contrattuale dell'Opec, venne creata l'International Energy Agency, un'agenzia autonoma legata all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (l'Ocse) destinata a difendere l'interesse dei paesi importatori e delle compagnie petrolifere che vi risiedono. L'Iea, con sede a Parigi, riunisce rappresentanti governativi di altissimo livello - in genere ministri dell'Energia o del Petrolio - dei 26 paesi membri, e redige di fatto le politiche dell'Occidente in materia energetica.
Come da statuto l'Iea si è data il compito di stilare piani energetici razionali, di regolarizzare il mercato internazionale dell'oro nero e di fornire informazioni affidabili in un settore dove nessuno dice la verità: né gli esportatori, che tengono nascoste le quote di produzione per non ammettere di avere violato i tetti fissati dall'Opec, né le compagnie, abituate a gonfiare le stime dei giacimenti per far salire il valore delle proprie azioni - l'ultimo scandalo in ordine di apparizione è quello della Shell che pare abbia sovrastimato la propria disponibilità di un 20-30 per cento.
Fino a poco tempo fa, dunque, l'Iea si configurava come il braccio armato dell'Occidente in chiave anti-Opec, sempre pronta a prendersela con i beduini e del tutto indifferente - come del resto le compagnie petrolifere - agli allarmi degli ambientalisti. All'alba del 2000 le cose sono cominciate a cambiare. Secondo Tony Scanlan, del British Institute of Energy Economies, «la visione statunitense di un Opec nemico non è più attuale, e comincia anzi a essere dannosa». L'entrata in scena dei flussi di petrolio provenienti dai paesi non-Opec - prima di tutto la Russia - disposti a vendere di tutto e a qualsiasi prezzo, ha dimostrato che, lungi dall'essere il nemico, l'Opec ha per decenni garantito una certa stabilità del mercato e della produzione decisamente indispensabile in un settore ad alto tasso di speculazione. Inoltre l'avvicinarsi del famoso picco di produzione - dopo il quale la risorsa comincia a esaurirsi - la cui esistenza è stata a lungo negata dai tecnici dell'Iea, è ormai considerato un dato di fatto: non si discute più del se ma del quando. E' anche chiarissimo che, l'incremento esponenziale dei consumi nelle popolose economie emergenti - India e Cina - non può che accelerare l'approssimarsi del picco, spingendo il prezzo del petrolio alle stelle. Un futuro talmente buio da spingere un'Agenzia che storicamente rappresenta gli interessi dei petrolieri a rivoluzionare il proprio approccio, e a lanciare un piano globale per il risparmio energetico.
Lavorare meno e guidare piano
Si chiama Saving Oil in a Hurry (Sbrigarsi a risparmiare petrolio) il rapporto che verrà pubblicato in versione completa durante il vertice annuale dei ministri energetici dei paesi membri dell'Iea, che si terrà il mese prossimo a Parigi. L'agenzia fa sapere che sta lavorando alla seconda puntata, Saving Electricity in a Hurry, la cui uscita è prevista per luglio, e che finirà la «completa inversione di rotta dell'Iea» come la definisce il Financial Times. E' la prima volta infatti che l'Agenzia consiglia simili misure draconiane - adottate esclusivamente in periodi di crisi acuta - come permanenti. In sostanza l'Iea invita i paesi membri a «mettere in atto politiche di contenimento della domanda» nel settore dei trasporti, come appunto forti limitazioni del diritto di utilizzare le auto private o una sostanziosa riduzione della settimana lavorativa, in vista della riduzione delle scorte energetiche mondiali e di un ulteriore aumento del prezzo del petrolio.
Secondo il rapporto pubblicato ieri dalla Goldman Sachs - banca d'affari specializzata nelle materie prime - l'attuale picco di 55 dollari al barile è destinato a essere rapidamente superato e il prezzo del petrolio potrebbe assestarsi sui 105 dollari, un vero disastro per i conti energetici degli importatori. Interpellati sulle disastrose stime della banca, i tecnici dell'Iea invitano i governi a «intervenire sulla domanda oltre che sull'offerta», ovvero ridurre i consumi e non semplicemente cercare nuovi giacimenti. Fra le altre drastiche misure proposte c'è infatti la riduzione dei limiti di velocità nelle autostrade di almeno il 25 per cento, la promozione di trasporti pubblici gratuiti e del car-sharing, ovvero della condivisione delle automobili. Tutte misure che, assicura l'Agenzia di stanza a Parigi, «potrebbero condurre a un risparmio di un milione di barili al giorno» consentendo di ripristinare le scorte a tempo di record e, in conseguenza, di frenare la salita dei prezzi.
Pura fantascienza? In realtà alcune di queste misure sono già state adottate. Nelle Filippine i funzionari pubblici cominceranno da oggi la settimana lavorativa di quattro giorni prevista dal nuovo piano stilato dal governo di Manila nel disperato tentativo di ridurre la salatissima bolletta energetica nell'arco di due mesi. Ma, secondo quanto suggerito dal rapporto, gli investimenti in questo tipo di schemi «andrebbero decisi e adottati prima della crisi vera e propria», sia perché richiedono tempo e risorse sia perché «potrebbero inviare un forte segnale ai mercati».
Inutile dire che l'invito a «risparmiare l'energia più che produrne sempre di più», anche se visto nella logica esclusivamente mercantile dell'Iea - che, ad esempio, non menziona l'inquinamento, le guerre o tutte le altre conseguenze dell'economia drogata dall'oro nero - viaggia in rotta di collisione con la mitologia dell'american way of life dell'attuale amministrazione statunitense, disposta a sacrificare i propri parchi naturali per cercare nuovi giacimenti ma non a mutare di un solo millimetro le dispendiose abitudini energetiche dei propri cittadini e dei propri industriali. Certamente anche la junta petrolifera che siede alla Casa Bianca sarebbe costretta a cambiare opinione se si avverassero le previsioni della Goldman Sachs, ma si spera altri governanti si decidano a prendere qualche misura sensata prima di arrivare all'emergenza vera e propria, come consigliano, appunto, i tecnici dell'International Energy Agency.
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