Animali e piante mai visti: battaglia per l’ultimo Eden
28.04.05
Eden e inferno stanno sulla stessa isola, il Borneo. I nomi sono, com’è giusto, esotici, perché il primo si chiama Sangkulirang e il secondo Pramuka, ma i nomi sono soltanto divertenti mucchietti di sillabe. Sconvolgono le scene che là si vedono e che da alcuni anni i team degli scienziati registrano con precisione ossessiva. Nelle foreste scintillanti di umidità e nelle grotte gelide di Sangkulirang stanno osservando uno degli ultimi giacimenti della vita primordiale, dove succede di scoprire 361 nuove specie di piante e animali, compreso un antichissimo scarabeo gigante, che è l’equivalente entomologico di un Tyrannosaurus Rex vivo e vegeto. Nelle vie puzzolenti e sovraffollate di Pramuka stanno invece spiando il maggiore mercato nero dell’Asia di animali rari e protetti da inefficaci convenzioni internazionali: nelle gabbie si agitano gibboni e orang-utang, venduti anche a 30 mila euro a esemplare, mentre nei negozietti si ammucchiano gioielli in avorio di elefante e pozioni a base di corno di rinoceronte, tutti pronti per export clandestini, dalla Cina agli Stati Uniti.
Eden e inferno quasi si toccano e, mentre il secondo fagocita il primo, una serie di organizzazioni - in prima linea Wwf e Nature Conservancy - ha presentato a Londra un ponderoso e dolente rapporto che racconta le meraviglie che l’umanità sta per perdere. Tanto per dare un’idea, in un decennio di esplorazioni sono state classificate 260 nuove specie di insetti, 50 di piante, 30 di pesci d’acqua dolce, oltre a sette inediti tipi di rane, sei di lucertole, cinque di granchi, due di serpenti e, infine, un rospo mai visto prima: tutti concentrati in una striminzita penisola dai paesaggi estatici che è appena un frammento del Borneo indonesiano. Eppure, a sorpresa, il ritmo dei ritrovamenti continua ancora ad aumentare. «Ecco il millepiedi gigante ed ecco il mini-granchio da aggiungere alla lista! Questi li abbiamo individuati proprio nell’ultima missione, durata poco, cinque settimane», ha detto in toni entusiastici uno scienziato dal cognome impegnativo, Scott Stanley. «Chi può sapere che cos’altro racchiude la foresta? Di sicuro molto altro. E se non la proteggiamo, incredibili ricchezze di flora e fauna svaniranno nel nulla, prima ancora di poterne fare la conoscenza».
Le liste dei numeri e dei nomi sono pallidi indizi della bellezza primordiale del Sangkulirang, sepolta nel più vasto Kalimantan, il Borneo sotto la sovranità di Giakarta, un territorio ormai a macchia di leopardo, dove le zone vergini si stanno contraendo a isole indifese nel mare tempestoso del disboscamento selvaggio. Si rade al suolo, si brucia e si stermina nella quasi totale impunità: l’alleanza tra contadini in miseria (paga massima due dollari al giorno) e businessmen senza scrupoli, sostenuta da ufficiali e burocrati corrotti sta producendo un disastro ecologico che le opinioni pubbliche dell’Occidente preferiscono ignorare. In questo caso un paio di numeri può essere più eloquente delle rare proteste intrise di romanticismo: dal Borneo al resto dell’Indonesia la foresta viene cancellata al ritmo di due milioni di ettari l’anno (una superficie pari a quella del Belgio) e già entro il 2030 non resterà praticamente nulla, solo striminzite chiazze verdi, come rovine malinconiche.
L’orologio della «distruzione totale» accelera (secondo la definizione dell’organizzazione «Forest Watch») e non resta che un estremo, per quanto tardivo, salvataggio: nelle prossime settimane i principali «club» ecologisti mondiali si riuniranno con i governi di Indonesia, Brunei e Malaysia e cercheranno di mettere sotto tutela un terzo dell’isola (grande più di due volte l’Italia). Il megaparco sarà battezzato «Heart of Borneo», cuore del Borneo, e ospiterà anche le inedite meraviglie di Sangkulirang, l’ultimo Eden.
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