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Il solo sistema che tutti conoscono è quello capitalista.

Non dobbiamo salvare il Pil, ma la terra e l'uomo

13 maggio 2005
Fabrizio Giovenale

Da elettori di sinistra, diciamocelo, siamo contenti ma un po' sconcertati. Sbattere fuori Berlusconi sta bene. Ma poi? L'idea che c'è ancora chi è rutellianamente convinto che quello le elezioni le ha perse per le promesse non-mantenute - gente disposta a mantenerle in sua vece se arriva al governo - è di quelle che fanno cascare le braccia. Ma non volevamo il contrario, noialtri? E invece se n'esce Fassino con l'intervista al Corriere: meno tasse, lavoro flessibile, privatizzazioni, il Ponte sullo Stretto perfino: una sorta di concentrato del Berlusconi-pensiero. E poi Mario Monti con la sua fede inconcussa nelle virtù taumaturgiche del dio-mercato puntualmente smentite dei fatti. Ditemi voi se non aveva ragione Bertinotti nel chiedere a Prodi «ma a che gioco giochiamo?».

E non basta. Se n'esce fuori D'Alema con l'esportazione della democrazia a mano armata... Ma non s'era d'accordo nell'elaborare i programmi "nelle sedi appropriate"? Ma perché le primedonne di sempre straparlano tanto?

D'accordo: c'è un altro motivo. Al di là dei malanni berlusconiani c'è la realtà di un paese allo sbando economico: il Pil che non cresce, le esportazioni che calano, la produzione non tira, la gente che stenta a arrivare alla fine del mese... Sta lì il guaio vero.

E' questo il problema di fondo, è questa l'angoscia che stringe alla gola noi tutti. Ed è questo che spiega anche in parte, a me sembra, le sterzate a destra dei centrosinistresi nostrani. Perché se il problema è di farci più ricchi (il Pil in aumento), il solo sistema che tutti conoscono è quello capitalista.

«Per inciso: le cose non stanno nemmeno così. Sono modi anche questi per darcela a bere. Prova ne sia che le imprese italiane licenziano in patria ma incassano valanghe di soldi con le lavorazioni spostate in altri paesi» (cfr. S. Cannavò, "Liberazione" 27/4). Il che potrebbe portarci a pensare che una buona svolta a sinistra - a colpi di tasse progressive, "ecologiche", sui beni extralusso, i movimenti di capitali, i patrimoni, le rendite, le successioni e quant'altro - ancora ce la farebbe a rimettere in sesto le cose... Ma non è tutto qui. C'è dell'altro.

Come ambientalista mi tocca di porre l'accento su un'altro aspetto della realtà. Quello di un mondo già troppo sfruttato, con le risorse in rarefazione, che perde vivibilità ogni giorno che passa... Così stando le cose ostinarsi nella ricerca del Pil in aumento è pura pazzia. O nasconde magari la voglia di alcuni - i più forti - di prendersi tutto, e che gli altri s'arrangino...

Diciamoci la verità: che popolazioni alla fame si pongano come primo problema la crescita economica è logico. Sarebbe anche giusto però che man mano che aumenta il benessere l'attenzione si spostasse dalla creazione di nuova ricchezza alla miglior ripartizione fra tutti di quella che c'è. Non è il caso di cominciare a riflettere se pensare soltanto agli aumenti del Pil non sia una solenne sciocchezza? E addirittura se non ce la faremmo lo stesso a cavarcela - magari anche meglio - con una "economia in contrazione"? E cioè producendo, comprando e vendendo non molto di più del necessario per vivere?...

Idea, questa, ovviamente blasfema rispetto ai sacrosanti princìpi economici. Che è già nell'aria, però: se ne scrive, se ne comincia a parlare... Serge Latouche, che la sostiene da sempre, ci ha scritto sopra un ennesimo libro ("decolonizzare l'immaginario": "Liberazione" 23/4). Si tratta in sostanza di darci per obiettivo come paese la ricerca del necessario perché tutti abbiamo quanto occorre per vivere - modestamente magari - in serenità e sicurezza. Senza cercare di più. Nel rispetto sia dell'ambiente sia di normali criteri di parsimonia.

Il che non ha niente a che fare col batter la fiacca, sia chiaro. Serve più scuola e migliore, d'accordo. Serve ricerca, serve intervento pubblico a sostegno di produzioni essenziali, e sta bene. Serve un'infinità di lavoro per il risanamento ambientale, i rimboschimenti, la regolazione delle acque e quant'altro. Serve un rilancio agricolo-zootecnico "a base biologica" per far fronte ai bisogni nostrani prima ancora che per l'esportazione. Serve produrre-e-consumare-sul-posto per risparmiare energia nei trasporti. Serve riusare e riciclare metalli e produrre energie rinnovabili di derivazione solare per supplire alle materie prime mancanti. Serve turismo...

Quel che mi preme di mettere in chiaro è che colmare le nostre lacune in fatto di scuola, cultura, ricerca e quant'altro non può e non deve servirci soltanto a risolvere i problemi economici. Deve servirci per diventare un paese migliore. Più civile. Con una qualità della vita più gratificante "a prescindere" dagli alti-e-bassi del Pil.

Mi rendo conto ovviamente che - in una situazione già così complicata per chi dovrà governare domani - l'idea di puntare su di una fase di "economia in contrazione" può apparire pazzesca. E tuttavia direi proprio che è il caso di rifletterci sopra parecchio: partendo dalla realtà inconfutabile dello squilibrato rapporto uomo-Terra-risorse.

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