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Lo sfruttamento minerario cinese impazza e inquina il Tibet

24 giugno 2005
Mauro Vendemia

. A partire dagli anni 60 il governo cinese ha iniziato a mungere il sottosuolo del Tibet per sostenere il proprio sviluppo industriale. Vi
erano ingenti quantità di ben 126 minerali, tra cui oro, litio, cromite, rame, borace e ferro, ma i ritmi estrattivi hanno portato ad esaurimento
sette tra i quindici minerali considerati indispensabili per l'economia cinese.

Il Tibet detiene il primato dei giacimenti d'uranio, con la metà delle riserve mondiali concentrata nelle montagne attorno a Lhasa e, nella regione dell'Amdo, si ricava greggio per più di un milione di tonnellate l'anno.

Ma l'occupazione ha comportato ben più dello sfruttamento intensivo: se un tempo il Tibet rappresentava una garanzia per la sua posizione strategica tra l'India e la Cina, oggi il suo tasso di militarizzazione è fonte di apprensione a livello internazionale. Nella parte più elevata dell'Amdo settentrionale è ormai acclarata l'esistenza di tre diversi depositi missilistici e, secondo alcune fonti, ve ne sarebbero altri a
150 miglia da Lhasa. Inoltre pare che sull'altopiano siano disseminati vari stabilimenti di produzione e le relative basi in cui si eseguono frequenti esercitazioni.

In base ai dati in possesso dell'Amministrazione Centrale Tibetana in esilio a Dharamsala, il paese ospita 300.000 soldati e un quarto della
forza missilistica di tutta la Cina. In più il governo ha scelto d'inviare in Tibet ingenti quantità di scorie nucleari da smaltire. Non a caso già vent'anni or sono la China Nuclear Industry Corporation offriva tale servizio all'occidente, al prezzo di 1.500 dollari al chilogrammo.

Nei dintorni delle basi atomiche e dei siti in cui vengono interrate le scorie radioattive sono state segnalate perdite dei raccolti, morie di bestiame e, tra gli abitanti, una più elevata incidenza di tumori e difetti congeniti. Lo stesso si è verificato nei pressi delle miniere di uranio dove, peraltro, la manodopera è quasi esclusivamente locale. Ormai la contaminazione radioattiva si è estesa ai corsi d'acqua e, tramite i grandi fiumi, rischia di propagarsi ad altri paesi.

Pare esistano rapporti, mai divulgati in via ufficiale, che riportano di un'aumentata mortalità a causa dell'approvvigionamento idrico nei pressi di una miniera di uranio a Ngapa, nella regione dell'Amdo. Gli abitanti hanno chiesto più volte se e da cosa sono inquinate le falde acquifere, ma la risposta è giunta solo per via indiretta, quando le autorità hanno messo in guardia gli immigrati cinesi. Nulla, invece, è mai trapelato circa eventuali test nucleari: le fonti ufficiali ne ammettono la realizzazione
esclusivamente nello Xinjiang, la più grande provincia della Cina.

L'esistenza di scorie radioattive in Tibet era stata già denunciata dal Dalai Lama nel 1992, durante una conferenza stampa a Bangalore, in India. In quell'occasione Pechino negò recisamente e, tre anni dopo, si limitò ad
ammettere l'esistenza di una discarica di venti metri quadri nei pressi del lago Kokonor, il più grande di tutto l'altopiano. Invece la dottoressa Tashi Dolma del vicino ospedale di Chabcha ha riscontrato casi di cancro in giovani nomadi, addetti al pascolo del bestiame nella zona a
rischio, ed un suo collega americano ha dichiarato che i sintomi sono simili a quelli causati dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.

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