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Lo stato del pianeta Un leader ecologista e un ambientalista pentito discutono sulla reale scarsezza di risorse e su come affrontare l’inquinamento. Alla vigilia del G8, il dibattito nella comunità scientifica è più che mai aperto

Ma il mondo è messo male o sta meglio?

«Ecologia prima di tutto». «No, cominciamo dal benessere economico». Due visioni a confronto
5 luglio 2005
Carl Pope* e Bjorn Lomborg** (*Direttore del Sierra Club Docente alla Business School di Copenaghen**Professore di Statistica)
Fonte: www.corriere.it
4.07.05

carl pope «Il nostro tetto sta crollando»

CARL POPE — La questione ambientale abbonda sia di rischi che di opportunità. Il mondo è in notevole pericolo, ma le soluzioni ai problemi che ci si presentano sono a portata di mano. Per secoli abbiamo scaricato nell’atmosfera terrestre il mercurio sprigionato dalla combustione del carbone, dall’industria chimica e dalle miniere. La conseguenza è che ora il consumo di pesce dei nostri mari è rischioso per la salute delle donne giovani. Tuttavia esiste, e a costi ragionevoli, la tecnologia per fermare il rilascio del mercurio nell’ambiente. Il problema è trovare la volontà e la saggezza per perseguire questo obiettivo. Attualmente il mondo, e gli Stati Uniti in particolare, non hanno leader in grado di farlo. Milletrecento scienziati di 95 Paesi hanno recentemente pubblicato un rapporto intitolato Millennium Ecosystem Assessment, in cui si fa notare che 15 dei 24 ecosistemi cruciali per la vita sulla Terra sono in uno stato di degrado o di eccessivo sfruttamento. È come se un dottore ci dicesse che il 60 per cento dei nostri organi sta cedendo. Tuttavia non riusciamo a trovare il coraggio per affrontare soluzioni semplici. Se per esempio in America si tenessero le gomme delle automobili gonfie al punto giusto, si risparmierebbe tanta benzina quanta se ne può estrarre dall’Arctic National Wildlife Refuge (distruggendolo). Se non si vuol credere a un rapporto di 1300 scienziati, si prenda in considerazione quel che afferma la CIA, cioè che nel 2015 tre miliardi di persone vivranno in regioni senza acqua, dal Nord Africa alla Cina. Nella Cina settentrionale il livello delle acque di falda delle principali aree coltivate a cereali si sta abbassando di un metro e mezzo all’anno, e in India si prevede che nel prossimo decennio la disponibilità pro capite di acqua sarà dal 50 al 75 per cento inferiore dell’attuale. Nei Paesi africani subsahariani il numero di persone cronicamente malnutrite aumenterà del venti per cento nei prossimi quindici anni. È una situazione spaventosa, ma non inevitabile. Queste tendenze allarmanti significano che il cielo sta crollando? No. Se il cielo venisse giù, non potremmo fare gran che, oltre a cercarci un rifugio. Ma questi andamenti sfavorevoli indicano che sarà il tetto sopra la nostra casa a crollare, se non sarà riparato a dovere. Prendiamo in considerazione la politica energetica degli Stati Uniti. Gli americani consumano il 25 per cento della produzione petrolifera mondiale. Perché? Perché i consumatori non hanno scelte. Anche se l’industria ha costruito motori d’auto più efficienti del 25 per cento, l’aumento di automobili ha peggiorato l’economia energetica. In alcune città americane la lista d’attesa per una macchina ibrida è più lunga di quella per un trapianto di reni. Invece di migliorare simili situazioni, gli Stati Uniti invadono l’Iraq, minacciano il Venezuela e fanno la voce grossa in Iran. Nello stesso modo in Cina si costruiscono alacremente dighe che distruggeranno villaggi e impoveriranno migliaia di persone, mentre progetti a bassa tecnologia per un maggior risparmio energetico non vengono considerate. Questo vuoto di leadership globale è pericoloso. La collera per l’abisso che c’è tra la possibilità di trovare migliori soluzioni energetiche e la miopia dei nostri leader non è limitata agli ambientalisti che si incatenano agli alberi. Ascoltiamo quel che ha detto l’ex segretario di Stato di Ronald Reagan, George Schultz: «Quante altre legnate in testa dobbiamo prendere prima di far qualcosa per questo grave problema... Nuovi materiali ultraleggeri e sicuri possono far quasi dimezzare i consumi di carburante, con un costo aggiuntivo nullo o modesto». Il mondo ha una scelta: abbandonare le tecnologie arcaiche e le abitudini sconsiderate, riconoscere che affrontare soluzioni è meglio che restare in ansia ad aspettare che la scienza ci dia una buona notizia. L’alternativa è continuare a negare il problema, pensare che un modesto cambiamento ora sia più doloroso di una catastrofe futura, e raccogliere quel che abbiamo seminato.

Bjonr Lomborg «Elenco di priorità, non propaganda»

BJØRN LOMBORG — È vero, abbiamo dei problemi. Ma ne abbiamo anche risolti molti. E possiamo continuare a risolvere quelli che rimangono, ma non tutti assieme. Dobbiamo avere delle priorità. Il fatto importante — come afferma il Millennium Ecosystem Assessment—è che le condizioni di vita di gran parte dell’umanità sono migliorate enormemente sia nel mondo ricco che nei Paesi in via di sviluppo. Nei Paesi più poveri l’aspettativa di vita è quasi raddoppiata negli ultimi cento anni. Il tasso di malnutrizione globale è passato dal 50 al 17 per cento dal 1950 a oggi, mentre il numero di persone che vivono sotto il livello di povertà è passato dal 50 a meno del 25 per cento. Dal 1970 a oggi l’accesso all’acqua potabile è passato dal 30 all’80 per cento. Non è mai andata così bene, e probabilmente andrà ancora meglio. Dobbiamo considerare i problemi ambientali nel contesto e decidere quali risolvere per primi. Nonostante che in America l’inquinamento dell’aria sia molto diminuito, costituisce ancora uno dei più seri problemi ambientali e uccide circa 135.000 persone all’anno. Però tu parli di mercurio, che causa molti meno danni e la cui eliminazione darebbe benefici assai minori. Questo è quel che intendo quando parlo di priorità. Lo stesso vale per il mondo in via di sviluppo. Certamente l’acqua è importante. Ma tu metti l’accento sulla scarsità, che è un problema di gestione. Perché non parlare di accesso all’acqua potabile? Nonostante ci siano stati enormi miglioramenti, oggi un miliardo di persone è priva di acqua potabile, e questo causa la morte (altrimenti evitabile) di più di due milioni di persone ogni anno. Tu parli del fatto che nel 2015 nei Paesi africani subsahariani ci saranno altri 37 milioni di persone malnutrite ma non fai notare che il numero di persone ben nutrite aumenterà dieci volte di più, e raggiungerà i 374 milioni. Dici che il mondo deve fare una scelta. È vero. Tuttavia raramente si tratta di una scelta del tipo «o tutto o niente». Possiamo fare quasi tutto ma non tutto insieme. La sfida è decidere quali siano le priorità. Io ne ho indicate alcune. Che cosa pensi si debba affrontare prima, e con maggior impegno, e che cosa può invece aspettare?

«Smettiamola di falsificare i dati»

C. P.—Avere delle priorità non significa sempre trovarsi davanti alla «scelta di Sophie». Se si bonificano le centrali energetiche a carbone, con un solo investimento si risolve sia il problema dell’inquinamento atmosferico che quello del mercurio. Non è necessario fare scelte assolute tra la responsabilità ambientale e il progresso economico. Se per il Pakistan ci si può permettere gli aerei militari F-16, ci si può permettere acqua potabile e scuole migliori a Karachi. Il problema è che una cattiva gestione non produce che guai. Il benessere si può ottenere in due modi: raccogliendo i frutti prodotti dall’ecosistema e dalle innovazioni umane o sfruttando gli ecosistemi in modi che impoveriscono il futuro. Abbiamo fatto quest’ultima scelta per la pesca oceanica, che è ormai per lo più impraticabile. Questo è quel che impressiona del Millennium Ecosystem Assessment, Bjørn. Un’onesta contabilità ecologica mostra che il progresso economico attuale potrebbe essere il risultato di una serie di transazioni extra-bilancio, che lasceranno i nostri figli con un pianeta in bancarotta. La principale priorità, per me, è smettere di truccare i bilanci.

«La scelta di Sophie è reale»

B. L. —Dare delle priorità significa che qualcosa deve essere rinviato. Naturalmente si possono fare investimenti per l’ambiente senza sacrificare il progresso economico, ma non possiamo farne di ogni genere. Ritorniamo ai 1300 scienziati e al loro rapporto sull’ecosistema del mondo. Quel che mostrano le loro conclusioni è che la gente muore di fame, non ha acqua potabile, viene avvelenata da aria inquinata in casa e muore per malattie contagiose facilmente curabili, ma nello stesso tempo lascia che l’ambiente venga distrutto. La tua soluzione è occuparti per prima cosa dell’ambiente. Non dovremmo, invece, per ragioni sia morali che pratiche, aiutarli ad acquisire ricchezza in modo che poi possano anche curarsi dell’ambiente?

«Aerei militari e altre false scelte»

C. P. — No, Bjørn, la scelta di Sophie si può evitare. Sono gli sbagli umani, non una realtà inevitabile, a farci credere che le scelte in favore dell’ambiente si debbano barattare con la prosperità. Una buona amministrazione ambientale fa risparmiare soldi ai Paesi poveri. Per incrementare il turismo leMaldive hanno consapevolmente salvaguardato la barriera corallina. Nel dicembre del 2004, quando lo tsunami ha colpito quel piccolo Paese del Sud asiatico, le barriere hanno assorbito l’urto del mare, e l’onda non è stata un letale muro di acqua. Oggi in Cina si verificano tumulti causati dalla cattiva gestione ambientale. Gli impianti a carbone dietro casa, un monumento al maoismo, non hanno senso né dal punto di vista ambientale né economico. Perché non aiutare la Cina a dismetterle e a sostituirle con turbine a vento?

«Contro i mulini a vento»

B. L.—Allora suggerisci di introdurre i mulini a vento in Cina? Io invece consiglio innanzitutto di distribuire cucine efficienti per combattere l’inquinamento all’interno delle case, salvare vite umane e risparmiare denaro. Tu suggerisci di mantenere le barriere coralline e le mangrovie, che proteggerebbero da un altro tsunami. Io dico di cominciare a salvare molte più vite umane affrontando le malattie infettive curabili. Tu sostieni che non esistano baratti possibili tra ambiente e prosperità. Ma il denaro che spendiamo per i mulini a vento non possiamo spenderlo per altre cose. Questo non significa che i progetti ambientali non siano importanti, ma solo che non sono l’unica cosa che bisogna fare. Spesso ci sono altri progetti, migliori, che debbono venire prima. Capisco che è facile divulgare numeri che impressionino, ma far notare priorità e quantità corrette non significa essere di parte, significa solo attenersi alla realtà.

«Non trattiamo la Terra come Enron»

C. P. — Continui a porre scelte artificiose come quella tra le cucine e le turbine a vento. Entrambe sono più auspicabili ed economiche delle caldaie a carbone in cortile. Semplicemente non è il caso che il mondo—o gli Stati Uniti— facciano solo una cosa alla volta. La leadership non significa raccogliere il frutto più basso, uno alla volta. Significa farci guidare dai nostri istinti più saggi, non da quelli più avidi. Dove prendiamo i soldi? Lasciamo che chi sfrutta i beni comuni paghi il conto. Se chi emette carbonio, negli Stati Uniti, in Arabia Saudita, Europa eGiappone pagasse per quel che inquina, avremmo fondi per l’acqua potabile, le stufe pulite, le turbine e i pannelli solari in India. Naturalmente se cominciamo a far pagare quelli che disperdono carbonio negli Stati Uniti, come suggerisce qualsiasi corso elementare di economia, costoro ne emetteranno molto meno. In luogo di un massiccio trasferimento di ricchezza, far pagare un giusto prezzo per le emissioni di carbonio diminuirebbe l’inquinamento negli Usa, genererebbe fondi per lo sviluppo in Cina, Africa e altre regioni in via di sviluppo e ridurrebbe l’instabilità climatica. Questo sistema non aumenterebbe la povertà. Potrebbe nuocere ai produttori di petrolio. E allora? Henry Ford è stato una sventura per i costruttori di calessi. Mi chiedi quali sono le mie priorità. Dobbiamo smetterla di truccare i conti, dobbiamo far pagare chi sfrutta i beni globali e investire il ricavato il più saggiamente possibile. Il risultato di queste decisioni non sarà il «migliore dei mondi possibili» del dottor Pangloss. Ma mi scandalizza che tutti credano di ottenere risultati migliori continuando a trattare la Terra come se fosse la Enron (la più grossa truffa finanziaria degli Stati Uniti, ndr).

«Meno charme e più onestà»

B. L. — Siamo d’accordo sul fatto che buoni investimenti migliorino il mondo. Ma quali sarebbero? A questa domanda ha risposto, l’anno scorso, il progetto del Copenhagen Consensus. Trenta specialisti provenienti da un ampio spettro di discipline insieme a otto importanti economisti, tra cui tre premi Nobel, hanno redatto un elenco di priorità globali. Gli scopi principali erano contrastare la diffusione dell’Hiv/Aids, porre fine ai sussidi all’agricoltura e combattere la malnutrizione e la malaria. Questi sono gli obiettivi in cui l’investimento può rendere meglio. Il Copenhagen Consensus ha concluso che affrontando in maniera sostanziale la questione del cambiamento climatico (il tuo argomento preferito) si sarebbe ottenuto poco con costi elevati. Anche se si raccoglie molto denaro, bisogna comunque spenderlo in maniera accorta. Se investire in cucine è più produttivo che investire in mulini a vento, dobbiamo comprare le cucine. La questione non è più complicata di così. Ma se vogliamo veramente fare del bene a lungo termine, è più onesto mettere la questione in questi termini. Continui a ripetere che trucchiamo i conti sull’ambiente. No. Sappiamo che esiste la questione ecologica. Ma dobbiamo affrontarne anche altre. Affrontiamo prima quelle in cui possiamo ottenere i risultati migliori. Il mondo ricco si sta occupando di molti dei suoi problemi ambientali perché può permetterselo. Se il mondo povero diventasse più ricco, farebbe la stessa cosa. Cercare di risolvere problemi importanti come le malattie, la fame e l’acqua inquinata recherà giovamento e darà ai poveri la possibilità di migliorare lo stato del loro mondo.

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