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Ricordo di Alexander Langer, a dieci anni dalla sua morte per suicidio.

Alexander, viaggiatore leggero

5 luglio 2005
 Franca Zambonini

Langer «Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto». Al giusto aveva dedicato la vita. E previsto i guasti di uno sviluppo selvaggio, che definiva «impoverimento da cosiddetto benessere».

Milioni di italiani in fila sulle autostrade per il "ponte" del 2 giugno. Ogni cento abitanti, 89 telefonini. Le importazioni di scarpe dalla Cina aumentate, in un anno, del 700 per cento. Le vacanze ci aspettano con i rincari di spiagge, ristoranti, gelati... Siamo ricchi o poveri?

«Si produce falsa ricchezza per sfuggire a false povertà. Di falsa ricchezza si può anche perire, come di sovrappeso, sovramedicazione, surriscaldamento. L’antico re Mida, che ogni cosa trasformava in oro, ci appare come il vero patrono dei culti dello sviluppo». E ancora: «Ogni discorso sulla necessità di una svolta resta assurdo, sino a quando i bilanci pubblici e privati punteranno ad aumentare di anno in anno».

Così scriveva Alexander Langer, che voglio ricordare a dieci anni dalla scomparsa. Alex scelse per sé la morte più infelice e impensabile per un cristiano com’era lui: il suicidio. Il 3 luglio 1995, a 49 anni, si impiccò a un albero di Pian de’ Giullari, Firenze. Forse vinto dal male oscuro della depressione.

In uno dei biglietti lasciati agli amici aveva scritto: «I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili». E poi, come un testamento: «Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto».

Era una di quelle persone, forti e insieme fragili, che sanno confortare il dolore del prossimo ma non il proprio. Io lo conobbi a Tirana, nel ’91, e gli ho subito voluto bene. Deputato del Parlamento europeo, era uno degli osservatori alle prime elezioni libere dell’Albania. Di giorno girava per i seggi, la sera apriva davanti all’albergo un banchettino, al quale accorreva una fila di padri e madri che avevano i figli riparati in Italia sulle "carrette del mare" e non ne sapevano più niente. Alex raccoglieva nomi e indirizzi, per ore.

Al suo rientro in Italia, cercò gli scomparsi, molti ne trovò e avvisò le famiglie. Un incarico che nessuno gli aveva dato, suggeritogli dalla pietà verso gli altri. Forse aveva già i pesi, ma se li teneva dentro, sempre sorridente.

Alex era di Sterzing/Vipiteno, Alto Adige. Aveva imparato da ragazzo la convivenza, spesso difficile, tra etnie, lingue e usanze differenti. È stato tra i promotori del movimento dei Verdi, e il primo presidente del Gruppo Verde nel Parlamento europeo. Dovunque ha portato l’impegno cristiano, da profeta della fratellanza. Durante la tragedia della ex Jugoslavia si adoperò per la conciliazione tra le diverse etnie. «L’Europa muore o nasce a Sarajevo», fu il suo appello ai capi di governo.

Sognava un mondo reso migliore da «mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera». Quelli che oggi ci mancano, e ne avremmo tanto bisogno. Previde il pericolo di un «impoverimento da cosiddetto benessere». In un convegno ad Assisi, nel Natale del 1994, aveva proposto uno stile di vita meno rampante, meno competitivo.

«Voi sapete il motto che Pierre de Coubertin ha riattivato per le Olimpiadi: citius, più veloce, altius, più alto, fortius, più forte. Questo è il messaggio che oggi ci viene dato. Io vi propongo il contrario: lentius, più lento, profundius, più profondo, suavius, più dolce. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però si ottiene un fiato più lungo».

Una raccolta di suoi scritti, curata da Adriano Sofri ed edita da Sellerio nel 1996, si intitola Il viaggiatore leggero. Così è stato Alex durante la sua vita. Fino a quando i pesi gli sono diventati insostenibili.

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