Quando l'Asia vuole fare sul serio
C'era una volta l'Occidente delle tecnologie verdi, del risparmio energetico e della riconversione in chiave ecologica del proprio apparato produttivo. Oggi, se si vuole trovare qualcosa di simile a una pianificazione razionale della gestione dell'energia bisogna guardare a Oriente, dove le vecchie e nuove tigri sono costrette a fare i conti con l'aumento esponenziale del prezzo del barile. Il nuovo corso è partito dalla campagna "Cool biz" lanciata dal premier giapponese qualche mese fa. Presentandosi in maniche di camicia nelle occasioni pubbliche, Junichiro Koizumi ha invitato manager e funzionari ad abbandonare giacca e cravatta per adottare un abbigliamento meno formale e soprattutto pi˜ fresco, con l'esplicito obiettivo di ridurre i consumi causati dall'eccessivo impiego dei condizionatori. L'idea è stata subito adottata dal governo sudcoreano che ha invitato ufficialmente gli impiegati ad abbandonare la cravatta e spegnere l'aria condizionata. A quel punto, malgrado l'ondata di calore che la calda estate tropicale porta nel sud-est asiatico, la moda del risparmio ha contagiato i paesi della regione, tutti impegnati a proporre iniziative pi˜ o meno drastiche.
Se coreani e giapponesi si limitano agli appelli, in altri paesi i governi mostrano pi˜ decisione. In Thailandia è stata disposta la chiusura anticipata delle stazioni di servizio, è stata ridotta in modo sostanziale l'illuminazione stradale, in particolare le grandi scritte pubblicitarie che a Bangkok campeggiano ovunque, ed è stato deciso che gli impianti di climatizzazione degli uffici vanno spenti durante la pausa pranzo. Anche l'Indonesia ha adottato misure analoghe, cui si è aggiunta anche la chiusura anticipata delle trasmissioni televisive. Se Jakarta si trova a fronteggiare una vera e propria penuria di carburante, anche Pechino ha i suoi problemi. Da questa settimana è stato stabilito che la temperatura ideale per gli uffici è di 26 gradi, e tutti i palazzi dell'amministrazione pubblica cinese sono stati costretti ad adeguarsi. Una decisione che va a sommarsi al giro di vite imposto ai produttori locali di automobili, costretti dalla nuova normativa a migliorare l'efficienza dei veicoli. Paradossalmente oggi gli standard cinesi sull'efficienza energetica delle automobili - che stabiliscono quanta strada si puÚ fare con un litro di benzina - sono pi˜ stringenti di quelli americani. Spaventata dall'impennata del prezzo dell'oro nero, oltre che dall'allarmante livello d'inquinamento delle grandi città, la Cina cerca di arginare o almeno di razionalizzare la sua immensa sete di energia senza rinunciare al miracolo economico, esattamente come i paesi limitrofi.
In realtà in quasi tutti i paesi del sud-est asiatico il prezzo della benzina è calmierato dallo stato e queste misure pi˜ o meno efficaci vengono intraprese proprio perchÈ l'alto prezzo del petrolio rende drammatico il peso dei sussidi sul budget nazionale. Nelle Filippine il sistema dei sussidi è già stato abbandonato nel corso degli anni Novanta, anche se, con l'aumento del prezzo del petrolio, aumenta la pressione sociale che ne chiede il ripristino. Il governo indiano ha tagliato i sussidi sul diesel già da tre anni ma quando ha tentato di cancellare il sostegno al kerosene, utilizzato come combustibile per cucinare dalla maggior parte della popolazione rurale, ha dovuto fare marcia indietro per evitare una sollevazione popolare. Ecco quindi che, pur di non imboccare questa strada socialmente esplosiva, buona parte dei paesi asiatici sta cercando di ridurre il consumo di energia con una pletora di misure pi˜ o meno efficienti, pi˜ o meno razionali.
PuÚ funzionare? Efficienza e risparmio energetico non si possono improvvisare dall'oggi al domani. Per ridurre lo spreco di energia elettrica bisogna riammodernare la rete, rendere pi˜ efficienti centrali e impianti, impiegare un'edilizia pi˜ razionale. Se si costruiscono edifici che sono delle vere e proprie serre, i condizionatori d'aria sono quasi un obbligo e difficilmente il problema potrà essere ovviato semplicemente lanciando la moda della camicia senza cravatta. Tuttavia, almeno secondo Andy Xie della banca internazionale d'investimento Morgan Stanley, i consumi di carburante si sono ridotti - nel senso che l'aumento del consumo non è stato dell'entità prevista - in quasi tutti i paesi asiatici, comprese India e Cina.
Se poi ci si prende la briga di andare un po' indietro nel tempo, quando la California della new economy venne letteralmente paralizzata dai black out del 1999 e del 2000, una crisi indotta dalle avventate speculazioni della Enron, si scopre che le misure emergenziali possono avere un grande impatto. Secondo Dan Kammen, direttore del Renewable and Appropriate Energy Laboratory dell'University of California, si uscì dalla crisi ´non perchÈ vennero costruite nuove centraliª ma perchÈ ´i consumatori ridussero immediatamente i loro consumi di elettricità del 10 per cento non appena fu dichiarata l'emergenzaª.
Una vicenda, quella californiana, che smentisce drasticamente gli strali dei soliti guardiani della fede liberista, che hanno immediatamente bocciato iniziative dei governi asiatici perchÈ porterebbero dritte dritte alla recessione. Invece di tali misure considerate demagogiche, i cosiddetti esperti consigliano di tagliare i sussidi e liberalizzare i prezzi dei combustibili, dimenticando che sono state proprio queste ricette a provocare la crisi californiana. Grazie alle disinvolte liberalizzazioni il sistema energetico dell'intera California venne consegnato nelle mani di una sola multinazionale che, dopo avere tratto scandalosi guadagni da un disinvolto gioco di speculazioni, ha lasciato precipitare nel buio uno degli stati pi˜ sviluppati e ricchi del pianeta. Quanto al declino economico che, secondo gli esperti, sarebbe indissolubilmente legato all'adozione di modelli di risparmio energetico, basti citare quanto accaduto sempre negli States fra il 1975 e il 2000, anni in cui il paese ha registrato una crescita del 50 per cento. Grazie all'adozione di una serie di iniziative da parte dei governi locali e dello stato federale, l'efficienza energetica di automobili ed elettrodomestici è considerevolmente aumentata e la cosiddetta "intensità energetica" - ovvero la quantità di energia necessaria per produrre un dollaro di Pil - è scesa del 40 per cento semplicemente migliorando le tecnologie, le politiche e i metodi di gestione.
Tragicamente questo percorso economicamente vantaggioso ed ecologicamente sensato - perchÈ ovviamente meno consumi e meno inquini - è stato progressivamente abbandonato quando il prezzo del petrolio ha cominciato a scendere, per essere definitivamente sepolto con l'ascesa al trono della junta petrolifera, intenzionata a difendere il tipico stile americano dello spreco a ogni costo.
Dopo cinque anni i frutti di questa strategia sono davanti agli occhi di tutti. La frenetica ricerca di nuovi giacimenti non ha portato a niente mentre impazzano le guerre ad alta o bassa intensità intorno ai nuovi e vecchi giacimenti. Nel frattempo l'approssimarsi del picco di produzione mondiale del petrolio - dopo il quale si apre il baratro dell'esaurimento - insieme all'aumento mondiale dei consumi e all'esplosiva situazione del Medio Oriente stanno proiettando il prezzo dell'oro nero ad altezze vertiginose, ma gli unici che sembrano rendersene conto sono appunto i leader dei paesi asiatici, paesi che continuano a registrare tassi di crescita sostenuti. Al contrario un Occidente sempre pi˜ stagnante economicamente e testardamente chiuso su se stesso, sembra incapace anche solo di prendere in considerazione l'approssimarsi della crisi energetica, figuriamoci poi mettere mano a qualsiasi progetto di transizione a un nuovo modello energetico.
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